IL PRINCIPE
Legge elettorale/2.
I moderati hanno due vantaggi.
A patto di saperli usare.
Leonardo Morlino
MORLINO

Analizzando più a fondo la legge, che sperimenteremo per la prima volta in marzo, ci sono regole che possono avvantaggiare alcuni partiti rispetto ad altri? Sulla base di quello che sappiamo su altri sistemi elettorali, due regole di questa legge possono favorire in certe condizioni i candidati moderati. Si tratta della spinta a formare coalizioni e della presenza dei seggi uninominali per poco più di un terzo del totale (232 su 630 alla Camera e 116 su 315 al Senato). Vediamole prima nei loro ipotetici effetti e poi in quali condizioni possono favorire i partiti moderati.
Il Movimento 5 Stelle ha dichiarato che non farà coalizioni elettorali e, di conseguenza, ha rinunciato in anticipo al vantaggio previsto nella legge. Nel caso farà coalizioni o accordi specifici dopo le elezioni. Probabilmente così faranno altri partiti più o meno estremisti, come Liberi e Uguali, in realtà già una mini-coalizione tra gruppi di sinistra. Forza Italia con la sua capacità di coalizione anche a destra ed eventualmente il PD dovrebbero     essere, invece, avvantaggiati da questa regola. D’altra parte, però, formare coalizioni elettorali può portare anche problemi non semplici. Innanzi tutto, vi è la difficoltà di stipulare patti espliciti che alla fine convincano gli elettori. Non è semplice concludere accordi elettorali, e ancora più difficile mantenerli dopo, anche se sulla carta patti trasparenti dovrebbero rassicurare l’elettore e dargli un potere di controllo rispetto alla fase successiva in cui una coalizione vincente dovrà governare. Dunque, pur con tutte le riserve indicate, questa norma potrà avvantaggiare alcuni partiti moderati se sapranno approfittare della legge sia nel definire i programmi con altre forze politiche, che nel determinare e ‘piazzare’ i propri candidati in collegi adatti, sia uninominali che plurinominali, e ovviamente nel condurre la propria campagna elettorale.
Vediamo l’impatto della seconda regola riguardante i collegi uninominali. Un locus classico sui sistemi uninominali maggioritari è che favoriscono     i candidati moderati sulla base della semplice constatazione che quando in un collegio vi è da attribuire un solo seggio i candidati che attirano più voti sono quelli che essendo centrali ovvero non estremisti possono attirare simpatie ed essere votati da parti diverse. Questa regola del voto moderato che decide le elezioni nei paesi con maggioritario uninominale si è mostrata empiricamente valida per decenni. Ma c’è un ma. Abbiamo visto come abbia vinto nel 2016, per la prima volta nella storia elettorale moderna degli USA, un candidato estremista e radicale come Trump, e come siano emersi leader radicali a sinistra come Sanders negli Usa o il laburista Corbyn nel Regno Unito. E allora? La regola non vale più? No, non è così. La regola è in astratto sempre valida purché, però, esista un elettorato disponibile a farsi attrarre dal candidato moderato ovvero, per semplicità, purché esista un elettorato moderato sia a destra che a sinistra. Infatti, ricerche successive alle elezione di Trump hanno mostrato come in diversi Stati americani quell’elettorato sia sostanzialmente sparito in questi anni passando da una distribuzione del voto a dromedario a una a cammello tra destra e sinistra. In breve, l’effetto a favore di candidati o partiti moderati non può esserci se vi è un ampio elettorato nettamente radicalizzato.
E in Italia nei prossimi mesi quale sarà la situazione? Ovviamente non lo sappiamo. Qualche sondaggio dopo le elezioni siciliane ha fatto emergere     tre tipi di radicalizzazione: la prima definibile come protesta attiva che segue e vota i partiti radicali di protesta come i 5 Stelle o anche Salvini; la seconda è una protesta passiva che si rifugia nell’astensione e sembra soprattutto riguardare gli ex-votanti PD e su cui evidentemente la campagna elettorale di quel partito si dovrà concentrare, ma che saranno evidentemente oggetto di attenzione da parte di Grassi e LeU; la terza è una protesta-alienazione caratterizzata da distacco e rifiuto totale della politica. Questa terza forma di radicalizzazione potrebbe anche avere effetti paradossali rinforzando indirettamente i partiti moderati in presenza di un declino della protesta attiva e di un rientro di quella passiva, magari anche a favore di LeU.
In ogni caso, in una fase post-crisi economica la consistenza effettiva di queste tre forme di radicalizzazione sarà in buona parte determinata dalla campagna elettorale. Dunque, anche l’effetto a favore dei partiti moderati, proprio dei collegi uninominali, dipenderà dalla campagna elettorale che     i leader partitici sapranno condurre. Più, in generale, nella campagna elettorale si vedrà se i leader moderati hanno colto tutte le diverse implicazioni date dalle due opportunità proprie di questa legge elettorale e nel contempo se i leader radicali riusciranno a contrastarle efficacemente. La partita è tutta da giocare.

 

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