Il Principe

di Leonardo Morlino

Le tre crisi e il ruolo dei leader

La Grande recessione, la pandemia, la guerra. Quali sono state e saranno le loro conseguenze politiche?

Leonardo Morlino
MORLINO

Nel giro di pochi anni siamo stati investiti da tre crisi di portata epocale, senza alcuna esagerazione.

La prima è stata la Grande Recessione che ha investito tutta l’Europa ed è iniziata nel 2008 ma si è sentita dopo il declino del PIL nel 2009 (in tutti i paesi europei meno la Polonia), ancora di più dopo il 2012, specie nei quattro paesi del Sud Europa (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo) e si è protratta per alcuni anni, caratterizzati da stagnazione.

È stata una crisi economica con le caratteristiche solite (non solo declino del prodotto lordo, ma anche disoccupazione soprattutto giovanile, blocco della mobilità sociale, riduzione del welfare). Si è anche intrecciata, da una parte, ai problemi di immigrazione e, dall’altra, a quelli di sicurezza, innescati da episodi di terrorismo internazionale, a cominciare dall’attentato al Bataclan a Parigi, nel novembre 2015.

La seconda è arrivata in modo del tutto inaspettato nel febbraio 2020, quando ci si stava riprendendo dalla crisi precedente con la pandemia. Come è ben noto, si è diffusa in tutto il mondo con l’aggiunta di una profonda crisi umanitaria e una economica. Nei due anni successivi è stata affrontata con azioni diverse e, in parte superata, con molte e diverse conseguenze.

La terza crisi, altrettanto inaspettata, ma probabilmente più prevedibile, è quella dovuta all’invasione russa dell’Ucraina, che ha investito e sta modificando gli assetti internazionali maturati in questi due ultimi decenni, dopo la fine della Guerra Fredda e la fine, già dall’inizio di questo secolo, del ruolo dominante degli Stati Uniti. 

La domanda che possiamo porci è: quali sono state, sono e saranno le conseguenze politiche di queste tre crisi, tutte potenzialmente con risvolti interni e internazionali?

Dato il tempo trascorso, per la prima crisi abbiamo le idee un po’ più chiare. In diversi paesi europei, e in modo più nettamente accentuato in quelli del Sud Europa in cui possiamo aggiungere la Francia, ci sono stati movimenti sociali che si sono stati trasformati in partiti, che poi sono andati al governo o lo hanno appoggiato (Grecia e Spagna); sono stati creati subito partiti appena iniziata la protesta (soprattutto l’Italia con il Movimento 5 Stelle, ma anche in diversi altri paesi europei, compresi Germania e Regno Unito); ci sono stati movimenti sociali che sono rimasti tali pur riuscendo ad avere un qualche impatto sulle politiche (è il caso dei Gilets Jaunes e dei provvedimenti che Macron, pur rieletto, era stato costretto a rivedere).

Vi sono state anche situazioni in cui la critica alla democrazia si è spinta fino all’alienazione senza partecipazione politica, ma accompagnata da politiche esplicitamente di sinistra dei partiti tradizionali (questo è avvenuto in Portogallo, dove i partiti neopopulisti non hanno avuto successo). In breve, si è espressa l’insoddisfazione in tutti i modi possibili in una democrazia, con spostamenti di voti considerevoli e forte crescita della polarizzazione partitica ovvero della distanza tra i leaders partitici sui temi più rilevanti. 

Si possono intravvedere anche le conseguenze politiche della seconda crisi, che ha avuto precipuamente un impatto catalizzatore accelerando o rallentando processi già in corso a seconda della situazione esistente, malgrado sia lungi dall’essere superata. Per brevità, ne indico qui soprattutto tre.

Nelle nostre democrazie, anche per la spinta indiretta dell’Unione europea, era già in corso da tempo un processo di rafforzamento del potere esecutivo sul legislativo. La pandemia con tutti i provvedimenti di emergenza ha rafforzato questo aspetto in tutte le democrazie, anche in quelle come l’Italia in cui l’esecutivo era più debole.

Il secondo fenomeno, più profondo, è stato il consolidamento, probabilmente definitivo, della concezione della democrazia come l’istituzione che deve dare sicurezza personale ed economica in cui sfuggire alla povertà, curare la salute e, possibilmente, assicurare l’istruzione sono ormai compiti irrinunciabili per la sua legittimazione.

La terza conseguenza è stata più evidente in alcuni casi, meno in altri. La si è vista soprattutto nelle elezioni svolte in questi due anni con un ritorno del voto moderato, spinto dall’incertezza a partecipare, una conseguente spinta alla depolarizzazione e un minore appoggio a quelli che erano stati partiti di protesta. Così, ad esempio, nelle elezioni presidenziali americane Biden ha prevalso sul radicale Trump; in Cile i moderati hanno scelto di votare un candidato di sinistra, meno estremizzato di quello di destra; e in Francia, pur in un contesto assai polarizzato, Macron è riuscito ad essere eletto.

E le conseguenze politiche della terza crisi? Senza dubbio, le vedremo nei prossimi anni e molto dipenderà da quanto si protrarrà la guerra. Ora solo due conseguenze cominciano ad emergere con qualche evidenza, pur potenzialmente con un impatto politico ed economico molto forte.

La prima è la fine di posizioni neutrali in Europa con il conseguente allargamento della Nato, e la potenziale insostenibilità di tali posizioni fuori dall’Europa. Ad esempio, fino a quando l’India potrà mantenere la sua apparente neutralità? La seconda è la fine della globalizzazione come è stata finora realizzata e l’inizio di una ri-globalizzazione che dovrà ricostruire tutte le catene commerciali rilevanti in modo nuovo. L’impatto politico, anche interno ai paesi, sarà profondo. Per brevità, si pensi solo alle conseguenze per la Germania, che ha costruito la sua democrazia con libertà e relative disuguaglianze sul benessere fondato sulla ‘vecchia’ globalizzazione. 

Vi è un punto da indicare alla fine che ci offre la conclusione di questa breve, sommaria analisi. Contesto di incertezza e cambiamenti profondi porteranno, inevitabilmente, in primo piano le leadership con le loro capacità, o carenze, nell’affrontare la seconda e la terza crisi. Il boccino è nelle loro mani.