Verso Jackson Hole
Le sfide di Powell
Paola Pilati

Nel meeting di Jackson Hole edizione 2018, che si tiene il 24 e il 25 agosto nella cittadina del Wyoming, gli osservatori non prevedevano fuochi d’artificio. L’incontro tra i banchieri centrali sarà, ha scritto per esempio Ubs, soprattutto l’occasione per affrontare argomenti di tipo accademico, analisi sul funzionamento del mercato, piuttosto che una piattaforma per lanciare cambiamenti di rotta nelle proprie policy.

L’argomento scelto per il dibattito è il ruolo delle grandi aziende tecnologiche nel mondo delle banche e delle finanza. A dare l’avvio e il tono di fondo alla conferenza di Jackson Hole sarà il discorso del presidente della Fed venerdì, che già dal titolo – “Monetary policy in a changing economy” – è apparso a molti tanto generico da permettergli di coprire qualsiasi argomento, dal dollaro alle tariffe doganali.

D’altra parte Jerome Powell e il Fomc hanno già ampiamente indicato la strada che seguiranno con i rialzi del tassi, il prossimo dei quali è previsto in settembre, così la suspence è poca.

Dunque anche i banchieri centrali, gli unici che in questi anni di sconvolgimenti nella scala del potere sembravano riusciti a conservare il proprio, vengono ormai visti come un irrilevante club di teorici dell’economia?

A elettrizzare un po’ il clima ci ha pensato Donald Trump. In una intervista a Reuters ha lanciato a Powell, da lui stesso nominato, dei messaggi molto espliciti su come dovrebbe guidare la Fed, facendo sobbalzare i guardiani dell’indipendenza della banca centrale dal potere politico, mentre il dollaro capitombolava su mercati. «Dovrei essere aiutato dalla Fed», si è lamentato il presidente Usa, criticando la scelta di aumentare i tassi, scelta che secondo the Donald non aiuterebbe l’economia né lui verso le prossime elezioni di mid-term.

La tribuna del Wyoming servirà dunque a Powell per spiegare meglio le ragioni di fondo delle sue prossime mosse, che finora non sono andate nella direzione voluta da Trump? Certo è difficile che cambino orientamento, dato l’andamento dell’economia americana, che cresce al ritmo del 4 per cento su base annua, ha un tasso di disoccupazione ai minimi, e sta vivendo il ritorno alla fiducia dei consumatori. E soprattutto non è nello stile della Fed ingaggiare un ping pong con il presidente.

Ma i mercati hanno rizzato le orecchie e staranno attenti a tutte le sfumature del dibattito nella due giorni di Jackson Hole per cogliere anche il più piccolo segnale di fumo.

Anche sul tema di fondo del meeting di Jackson Hole di quest’anno, e cioè il ruolo che i big della tecnologia si stanno ritagliando nel mondo finora di esclusiva competenza delle banche, i banchieri non sembrano volersi limitare solo a lanciare dei “warnings”.

Sull’argomento, è arrivata come un allarme l’intervista del presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, al Central banking Journal (https://www.stlouisfed.org/from-the-president/video-appearances/2018/bullard-central-banking-journal), in cui il banchiere rompe gli indugi e indica lo shadow banking come causa di una futura nuova crisi finanziaria. Visto che il potere regolatorio del Federal Reserve System si può esercitare solo su soggetti che hanno la forma legale di banche, le società tecnologiche si muovono liberamente, e deliberatamente, in un territorio in cui possono offrire servizi finanziari fuori dal quadro regolatorio.

Quanto ai regolatori, negli Usa il Financial stability oversight council è un insieme di agenzie che fanno capo al ministro del Tesoro, e quindi tutt’altro che indipendenti dalla politica: può bastare, ci chiede Bullard, o non serve forse un intervento di una istituzione superiore, prima che i danni prodotti siano irrimediabili? Insomma uno scenario inquietante, che cambia la percezione corrente sulle meraviglie del fintech e sulla sua capacità di abbassare i prezzi dei servizi e renderli democraticamente più a portata di tutti.