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Le sfide della Blockchain ai giuristi

Da tempo si discute di criptovalute e, in particolare, dei bitcoin. Tuttavia l’attenzione del mercato e degli studiosi si è concentrata soprattutto sulla tecnologia che consente di trasferire i bitcoin: la Blockchain. Si tratta di una piattaforma digitale che si serve di una infrastruttura decentrata, creata e sostenuta dai partecipanti alla piattaforma stessa: i titolari di blocchi della catena, i cui computer registrano simultaneamente ogni transazione che riguarda i bitcoin.

Edoardo Rulli
Rulli

È possibile che migliaia di computer di utenti orgogliosamente anonimi e sparsi in giro per il mondo diano vita a un sistema di registrazione degli scambi che sia percepito come più sicuro, veloce e affidabile di un pubblico registro o di un mercato regolamentato? La risposta potrebbe essere affermativa. Blockchain, un sistema decentrato e convergente di registrazione dati, pare a molti più sicuro, sul piano della cristallizzazione di un’intervenuta transazione, di ogni sistema fondato sulla fiducia riposta in un intermediario o in un’istituzione deputata alla tenuta di un registro accentrato. Ciò per la semplice ragione che qualsiasi trusted third party potrebbe, in ipotesi, alterare il registro che la legge o i soggetti che concludono una transazione le affidano.

Si dirà che per dare esecuzione a un pagamento e per offrirne la prova non vi è alcuna utilità a sostituire una banca con un sistema decentrato gestito da anonimi utenti. Il costo di un bonifico val bene la sicurezza di ordinante e beneficiario. Ma se il registro decentrato è tenuto, anzi, creato dalla sinergia di migliaia di computer che censiscono il medesimo dato (e.g. il trasferimento di un bitcoin dal portafoglio virtuale A al portafoglio virtuale B) e se questi, nel censirlo, lo validano non una ma migliaia di volte rendendolo disponibile on-line in tempo reale, be’, allora anche la più affidabile delle trusted third party rischia di dover ammettere che sistema più sicuro non esiste. Il terzo affidabile, infatti, può avere un dipendente poco accorto, o infedele, oppure subire un attacco informatico e così perdere un dato, patire una modifica al registro. Un registro validato e conservato da migliaia di posizioni digitali che formano i blocchi di una catena virtuale non sembra avere questo problema.

Si sono registrati furti di bitcoin. È vero, ma il punto non cambia perché accedere al portafoglio digitale di un utente (wallet) è cosa diversa dal truccare il registro diffuso (distributed ledger), per la semplice ragione che una tale manovra richiederebbe un’azione coordinata capace di incidere su tutti i blocchi della catena e, ovviamente, il consenso di ognuno dei titolari di quei blocchi. Ipotesi questa che sembra dover essere esclusa perché per alterare una registrazione condivisa e validata da tutti i blocchi della catena sarebbe necessaria una potenza di calcolo superiore a quella generata dalla somma dei partecipanti alla catena.

L’approdo cui si è appena giunti può essere messo in discussione da nuovi sviluppi tecnologici, così come dall’aumento della capacità di calcolo dei c.d. supercomputer (la capacità di decrittazione, cioè di compiere complessi calcoli matematici in pochi istanti, è in costante crescita). Non mancano altre criticità.

Si pensi agli errori di inserimento di un dato: se ne possono commettere anche nel compilare un registro diffuso, non distinguendosi questo, per il profilo, da qualsiasi registro accentrato.

Vi sono poi i rischi connessi alla sicurezza, ben noti anche agli sviluppatori della tecnologia Blockchain per bitcoin visto che otto degli ultimi dieci contributi – tra guide e tutorial – comparsi sul loro sito sono dedicati a temi relativi a privacy, controllo password e crittografia.

Non è questa la sede per approfondire il grado di vulnerabilità di un registro diffuso. Resta però che questa tecnica, vulnerabile o invulnerabile che sia, si presta a numerosissime applicazioni che possono influenzare non solo il modo di intendere la moneta o quello di trasferire il denaro, ma più in generale il modo di concepire la registrazione di ogni atto di destinazione patrimoniale, così come di ogni atto o fatto inerente la vita di un’impresa o anche di una persona. E di questo il giurista si deve occupare perché non accada che una tecnologia apparentemente semplificatrice, partendo da un àmbito, il digitale, che sta fuori dallo spazio fisico e dalla legge, si sostituisca a quest’ultima nei fatti, rendendone impossibile l’applicazione.

Perché continuare a chiedere la trascrizione o l’iscrizione del trasferimento di un bene in conservatoria o nel pubblico registro automobilistico se la “conclusione del contratto” e la “pubblicità del contratto” divengono una cosa sola? Se un trasferimento esiste in quanto validato e pubblicato sul web, le iscrizioni con effetti di pubblicità dichiarativa non conservano particolare utilità pratica, se non quella che la legge conferisce alle stesse (i.e. opponibilità ai terzi). Ma, facendo un’ipotesi non irrealistica, ci si potrebbe domandare: quid iuris in caso di contrasto tra una registrazione validata da migliaia di computer e l’iscrizione in un registro accentrato? È evidente che sarebbe troppo facile per il giurista rispondere trincerandosi dietro le norme che attribuiscono prevalenza al registro accentrato se il fatto contrario risulta da migliaia di registrazioni che convergono in una piattaforma che, se non è invulnerabile, certamente non è più vulnerabile del registro accentrato stesso.

Analoghe conclusioni potrebbero trarsi con riferimento al registro delle imprese: a che serve la pubblicità di un fatto se questo è già pubblicato sul web? Con riguardo poi ai mercati regolamentati, come la borsa, in un futuro non lontano si potrebbe sostenere che a nessuno serva un soggetto gestore di un mercato se il mercato è i suoi stessi partecipanti.

Questi pochi esempi dimostrano come la tecnica del registro diffuso, tenuto da molti, possa sostituirsi a quella del registro accentrato, tenuto da uno solo. In questa sostituzione c’è la seduttività del mito della società di eguali. Un sogno che un tempo avremmo bollato come anarcoide o minoritario ma che va invece preso, ora, molto seriamente. Innanzi tutto perché pone un problema di diritto, anzi “di diritti”: non tutti i partecipanti a un sistema di blocchi sono egualmente alfabetizzati digitalmente. C’è chi non capisce nulla di tecnologia e non è in grado di utilizzarla se non servendosi di interfaccia e software creati da imprenditori del settore. Qui emerge una forma di asimmetria informativa che è tra le più gravi e difficili da correggere in quanto relativa non già alla mancata conoscenza di una o più informazioni specifiche, ma all’ignoranza di un metodo, di un sistema, di un mondo: il digitale. Si tratta di un gap conoscitivo non eliminabile, se non in qualche decina di anni. Per non lasciare indietro una o due generazioni di non alfabetizzati, ci vuole la legge, la quale però sconta un limite: essa vale su di un territorio, la blockchain non solo si propone, ma opera già in un super-territorio dove le regole se le scrivono i partecipanti.

Il punto è che nel conflitto, tutto politico, tra regole tecniche del mercato digitale e precetti legali di uno Stato-territorio, il rischio è che quest’ultimo capitoli. L’esperienza recente sembrerebbe insegnare che se una tecnologia è efficiente, generalmente, sarà utilizzata, è solo questione         di tempo (è vero che la Cina ha bandito le Initial Coin Offering, ma nulla vieta a un cittadino cinese di parteciparvi; gli basterà servirsi di un intermediario o, nella peggiore delle ipotesi, fare un viaggio in Giappone per provvedere direttamente).

Per evitare che lo Stato, così come ogni altra forma di governo di un territorio (l’Unione europea), capitoli è necessario lo sforzo degli studiosi del diritto. Vanno affrontati i nodi del conflitto tra tecnica e legge muovendo dai principi. Limitandosi a qualche esempio, è necessario domandarsi che cosa ne sarà del principio consensualistico in un mondo dominato dalla scritturazione digitale o, anche, che cosa si dovrà intendere per “forma scritta” nel prossimo futuro. Del resto, l’unica prova credibile e, sul piano dell’effettività, creduta circa l’esecuzione di un atto di destinazione patrimoniale, se la transazione è avvenuta su blockchain, è la blockchain stessa. E allora può il consenso, nel mondo dei blocchi, essere manifestato dalle parti in una forma diversa dalla registrazione digitale? Che cosa accade se vi è un vizio del consenso, si può annullare quel contratto? E se il trasferimento è avvenuto in conseguenza di un reato, si può dichiarare la nullità di quel contratto? Ha senso individuare categorie protette – consumatore, investitore al dettaglio – se muta il paradigma dell’asimmetria informativa in base al quale esse sono state individuate dal legislatore?

L’intelligenza della legge degli uomini sta proprio nella sua modulabile applicazione, nella capacità di rispondere a quelle domande, eventualmente eliminando gli effetti prodotti da un atto invalido mediante la sua cancellazione dal registro accentrato. Questo perché, per la legge, l’iscrizione non è la prova indiscutibile della validità o dell’efficacia di un atto, ma solo quella del suo compimento: si può tornare indietro, si può correggere l’errore.

La tecnica del registro diffuso si pregia invece di rendere l’iscrizione immodificabile, evitando in tutto o in parte di offrire risposta a quelle domande. Del resto, solo se la tecnica si presenta come indiscutibile può prevalere sulla legge. Una indiscutibilità peraltro alimentata dai disillusi che della “piattaforma che registra” si fidano più dell’uomo, proprio per la ragione che qui si discute: perché la macchina registra e non può cancellare (su blockchain una transazione può essere forse restituita, ma mai cancellata, mai può essere tamquam non esset).

La mediazione tra questi valori, tra intelligenze umane, tra digitale e carta, tra tecnica e legge rappresenta una grande sfida per i giuristi. Alcune, forse molte, categorie del diritto andranno rivisitate. È un compito difficile dal quale non ci si deve sottrarre, perché altrimenti sarà svolto da qualcun altro, se non contro, certamente al di fuori della legge.