In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Le reti di distribuzione non sono figurine da scambiare

Il settore della distribuzione dei servizi finanziari ha vissuto negli ultimi anni una serie di cambiamenti, sia in termini regolamentari che di assetto proprietario attraverso una stagione di operazioni M&A. Ecco come è composto il quadro attuale e quali possono essere le prossime evoluzioni

Giuseppe Guglielmo Santorsola
santorsola
  1. IL QUADRO COMPLESSIVO DELL’INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA

Le società di distribuzione dei servizi finanziari rappresentano fin dall’inizio degli anni ’80 un canale di raccolta del risparmio (e anche di erogazione del credito) sempre più rilevante per quantità e qualità della propria attività. Sono sorte originariamente quali competitrici del settore bancario, offrendo soluzioni di prodotto e di servizio valutabili come innovative che hanno conquistato quote di mercato sempre crescenti.

Inoltre, i dati delle attività lorde sono risultati integrati da un ben più interessante dato in termini di attività al netto delle operazioni di riscatto, vendita ed abbandono, generando una competizione che ha necessariamente destato l’attenzione del canale tradizionale coperto dalle banche commerciali e dalle nicchie di mercato dedicate alla gestione del risparmio, caratterizzate da modelli di business tradizionali.

Nel corso degli anni molti operatori hanno, per varie motivazioni, tessuto alleanze o cessioni della propria attività alle stesse banche prima citate. Numerose hanno inoltre preferito trasformare la propria natura giuridica in banche, integrando attività di raccolta ed impiego con quella innovativa del modello di servizio legato a gamme di prodotto sempre più ampliate.

Sono pertanto diventate protagoniste del nuovo settore dell’intermediazione finanziaria, nozione che ha progressivamente sostituito quella dell’attività bancaria di base. Questo scenario si è sviluppato sia quando la componente tassi d’interesse del mercato è stata caratterizzata da valori adeguati (nel ventennio 1980-2000) sia quando gli stessi tassi sono sistematicamente diminuiti (dal 2000 ad oggi). Un’innovazione resistente rispetto alle differenti condizioni di economicità dell’attività di intermediazione in senso lato. 

Nel corso del tempo l’attività è stata sottoposta a frequenti ed incisive azioni di regolamentazione; una scelta necessaria in sé (anche a causa delle numerose esperienze negative che hanno colpito molti risparmiatori nella fase di carenza delle norme). Le banche hanno manifestato ampio interesse verso il nuovo canale anche in ragione del progredire del perimetro delle regole. Le stesse società necessitavano nel tempo di ampie risorse finanziarie per poter resistere alla competizione di mercato.

Le alleanze e le integrazioni sono cresciute nel tempo generando soluzioni di acquisto o di successiva cessione, generando scelte strategiche anche divergenti nel corso degli anni. L’indipendenza delle scelte di governance è stata altrettanto mutevole, individuando soluzioni che hanno manifestato risultati positivi in tutte le alternative, soprattutto dopo l’eliminazione delle esperienze negative o che sottendevano iniziative prive della necessaria valenza. 

Sotto il profilo della vigilanza, non è stato facile gestire il coordinamento tra Banca d’Italia e Consob, titolari delle funzioni nell’ambito creditizio e in quello dell’intermediazione mobiliare. Le norme hanno obbligato nel tempo ad un’intensa collaborazione, accresciuta quando l’ISVAP è stata trasformata in IVASS e ricondotta alla supervisione ed al controllo della Banca d’Italia, gestendo l’ulteriore integrazione del settore assicurativo (sempre più coinvolto nel campo finanziario). Più agevole è stata la disciplina in materia previdenziale, ove la COVIP è sorta già quale entità di vigilanza ricondotta alle competenze e alla partecipazione delle Autorità preesistenti. 

Il quadro brevemente riassunto consente di esaminare con maggiore chiarezza la situazione attuale che si intende analizzare in queste note.

2. RETI OGGETTO DI SCAMBIO IN CASO DI FUSIONI

Nel corso degli anni le seguenti società di intermediazione, dedicate alla distribuzione di servizi e strumenti finanziari fuori sede tramite consulenti finanziari, sono state oggetto di trasferimento indiretto dell’azionariato in caso di fusione o incorporazione delle banche capogruppo che le controllavano oppure in occasione di modifiche del modello di business:

BANCA SARA – BANCA FIDEURAM che ne acquista il 100%

CONSULTINVEST-SOL&FIN oggetto di una fusione fra loro

DBFA – ceduta a ZURICH 

FINECO – separata da UNICREDIT rimasta socia di minoranza e poi uscita

IWBANK – INTESA SANPAOLO acquisita tramite l’incorporazione di UBI

SANPAOLO INVEST – INTESA SANPAOLO nata da Fideuram poi inserita nel gruppo Intesa dopo la fusione di IMI attraverso SanPaolo

WEBANK – incorporata in BANCO BPM di cui resta un brand 

WIDIBA – UNICREDIT (legata all’eventuale acquisto di MPS controllante) 

Restano invece nella struttura azionaria originale:

ALLIANZ FA

AZIMUT
BANCA GENERALI
BANCA MEDIOLANUM

BNP PARIBAS

CHEBANCA!

CREDITO EMILIANO

Solo in pochi casi la sim è stata chiusa oppure ha visto modificato le aree di business utilizzate. 

Il problema principale concerne peraltro il comportamento dei consulenti finanziari che non hanno spesso accettato l’operazione di integrazione quando essa ha comportato un modello di gestione del loro rapporto diverso da quello preesistente. Questa soluzione è conseguenza della profonda segmentazione realizzatasi nel mercato nel corso degli ultimi anni con soluzioni organizzative, gestionali e remunerative profondamente diverse.

Indipendentemente dall’approfondimento delle singole situazioni – che non è obiettivo di queste note né argomento attualmente commentabile in attesa di alcune importanti soluzioni – la valutazione di carattere generale concerne la considerazione sulla validità del considerare queste operazioni come parte della complessiva azione di M&A dei gruppi bancari che, spesso, ha annullato parte del valore implicito nelle società di distribuzione, quando oggetti passivi delle scelte strategiche generali. 

Possiamo al contrario considerare le occasioni in cui si sono realizzate alcune soluzioni di MBO, gestite dai responsabili delle reti o quelle rare situazioni nelle quali l’identità è rimasta volutamente al di fuori di contesti bancari ed assicurativi per costruire un modello di business specifico di successo attraverso la costruzione di un proprio complesso di strumenti e servizi finanziari.

Nel merito delle soluzioni interne ai gruppi bancari attualmente dotati di più società di distribuzione, indipendentemente dalle scelte dei singoli consulenti finanziari, è opportuno valutare le soluzioni attivate per salvaguardare il valore dei marchi e per identificare segmentazioni dedicate a soluzioni nell’ambito del private e wealth management, differenziando i modelli di business rispetto a quelle nelle aree affluent e retail, ricomponendo le squadre dei CF.

Il tema fondamentale, nel medio periodo, riguarda peraltro la reazione dei clienti fidelizzati del singolo consulente che possono non gradire la riassegnazione o la inevitabile pressione verso la ricomposizione del proprio portafoglio, condizionata anche dai relativi costi del passaggio a soluzioni di prodotto e servizi diversi da quelli detenuti in precedenza; probabilmente il tema più delicato da considerare in termini di policy e di governance.

Dal punto di vista dei consulenti, in molti casi, si è trattato di un ritorno verso soggetti controllanti dal quale si erano separati in precedenza, soluzione spesso non gradita.

3. QUALCHE IPOTESI PER IL FUTURO

Dopo 50 anni di presenza attiva e di successo sul mercato, le società di distribuzione sono certamente in grado di isolare la propria strategia utilizzando il valore del proprio marchio e la capacità di perseguire gli obiettivi dei propri piani industriali investendo il patrimonio accumulato, senza dedicarlo al rafforzamento dei soggetti controllanti. In alcuni casi importanti i risultati di gestione sono stati positivi nell’ambito di risultati consolidati di gruppo negativi o insoddisfacenti rispetto agli obiettivi. Un tema delicato che coinvolge la governance delle singole società, spesso ma non sempre guidate da quella della società controllante. 

La professionalità ed il carisma di alcuni manager hanno spesso consentito una soddisfacente autonomia nelle scelte strategiche; in altri casi alcuni di essi hanno deciso diversamente spostando quote importanti dei propri collaboratori verso altre società dotate di soluzioni ritenute più idonee, ricomponendo le quote di mercato, soprattutto nella fascia mediana del segmento di mercato.

Ulteriormente, alcune società hanno tratto vantaggio dal restare estranee dalla ricomposizione del proprio azionariato. Ciò non esclude che, nel prossimo futuro, si concretizzino esigenze di fusioni che coinvolgeranno anche le società indipendenti. Esse potranno peraltro, essere l’esito di proprie strategie e potrebbero essere guidate dalla presenza di consulenti finanziari quali soci delle stesse società, una soluzione ancora rara nel complesso del settore.

Resta da considerare il ruolo delle organizzazioni associative e sindacali che raggruppano i consulenti finanziari. Una differenziazione importante individua differenze rilevanti fra:

  • i consulenti finanziari dedicati all’offerta fuori sede nell’ambito di società specializzate;
  • i consulenti finanziari dedicati all’offerta fuori sede inquadrati all’interno del personale dipendente delle banche con modelli tradizionali;
  • i consulenti non dedicati all’offerta fuori sede, quanto all’attività nell’ambito delle filiali bancarie, inquadrati e qualificati in ossequio alla normativa MiFID II;
  • i consulenti finanziari indipendenti, invero in numero ancora inferiore a quello potenzialmente stimato inizialmente;
  • i consulenti finanziari (poco numerosi) operanti nell’ambito delle società di consulenza finanziaria, spesso dedicati in prevalenza ad attività non retail quanto con operatori istituzionali e professionali.

Questo quadro sarà probabilmente oggetto di una ricomposizione nel prossimo futuro attraverso scelte individuali o soluzioni guidate da organizzazioni associative e sindacali, non sempre coese nei propri comportamenti, anche perché obiettivamente rappresentative di attese fra loro diverse.

Un’ultima valutazione riguarda la capitalizzazione di quelle società del settore che sono quotate e che hanno realizzato crescite importanti del proprio valore, in contrasto con le difficoltà incontrate dalle banche più tradizionali, comprese quelle controllanti.

In alcuni casi il rapporto fra la loro elevata capitalizzazione e quella delle banche “ordinarie” esprime valori e rapporti non in linea con i dati contabili. In altri casi, la capogruppo ha ceduto la rete realizzando plusvalenze e dedicando questi valori per ricomporre la propria struttura patrimoniale, almeno nel breve periodo. 

Tutto quanto esposto mi porta a considerare che i canali distributivi del settore finanziario e assicurativo non siano “figurine da scambiare”, ma soluzioni strategiche da gestire in modo separato per poter meglio apportare valore agli azionisti di qualsiasi natura ed ai clienti che ne rappresentano l’asset più importante.

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