Il rapporto tra regioni e governance dell’UE è una componente essenziale dell’efficacia delle politiche europee. L’obiettivo non è tanto ridisegnare le competenze, quanto costruire una governance capace di riconoscere la varietà degli assetti interni degli Stati e di valorizzare le competenze locali come risorsa per un’Europa più vicina ai cittadini*
Nel processo di costruzione europea, il ruolo delle autorità subnazionali è rimasto a lungo sullo sfondo, quasi una variabile marginale rispetto all’asse principale rappresentato dal rapporto tra Bruxelles e gli Stati membri. Eppure, le trasformazioni politiche ed economiche degli ultimi anni – dalla crisi finanziaria all’emergenza pandemica, fino all’evoluzione delle politiche di coesione – hanno reso sempre più evidente che le regioni e gli altri livelli di governo territoriale non possono essere semplicemente “attuatori” passivi delle decisioni prese altrove.
Lo dimostra il recente caso della Regione Veneto, che nel 2024, con la legge regionale 86, ha chiesto un coinvolgimento strutturale nelle decisioni europee che incidono sul proprio territorio. Una mossa che, sia pur ridimensionata dalla Corte costituzionale, ha riacceso il dibattito sul tema: qual è, e quale dovrebbe essere, il ruolo delle autorità subnazionali nel sistema dell’Unione Europea?
La risposta non è univoca. Sul piano formale, l’UE continua a essere “cieca” rispetto agli assetti interni degli Stati membri: si relaziona con i governi centrali, a cui spetta la responsabilità ultima dell’attuazione del diritto europeo. Anche dopo il Trattato di Lisbona – che ha riconosciuto le autonomie regionali come parte integrante dell’identità nazionale – le regioni non godono di un accesso diretto al processo decisionale europeo, né di strumenti per contestare le scelte comunitarie davanti alla Corte di Giustizia. La sovranità “esterna”, in altre parole, resta appannaggio degli Stati, mentre quella “interna” è materia di equilibrio costituzionale domestico.
Ciò non significa che le autorità regionali siano del tutto escluse. Esistono meccanismi – formali e informali – che ne facilitano il coinvolgimento: la possibilità di rappresentanza nei consessi europei, la partecipazione al Comitato delle Regioni, l’accesso al sistema di allerta precoce sui principi di sussidiarietà, nonché il crescente ruolo degli uffici di rappresentanza regionali a Bruxelles. Anche a livello nazionale, vari Stati hanno sviluppato forme di coordinamento e consultazione che consentono ai livelli territoriali di contribuire alla definizione delle posizioni europee.
Il caso più evidente di collaborazione istituzionalizzata tra l’UE e le autorità subnazionali è la politica di coesione. Grazie al principio di partenariato, i governi regionali sono coinvolti nella progettazione e gestione dei fondi strutturali. In molti Stati membri, ciò ha contribuito al rafforzamento delle capacità amministrative locali e alla costruzione di un modello multilivello di governance. Tuttavia, anche in questo ambito si osservano tendenze evolutive che stanno ridefinendo i rapporti di forza.
Negli ultimi anni, infatti, la politica di coesione è stata sempre più orientata verso obiettivi strategici di scala europea – come il Green Deal, la trasformazione digitale, la resilienza economica – riducendo lo spazio per interventi puramente territoriali. L’adozione di condizionalità macroeconomiche e giuridiche, nonché il crescente peso della Commissione nella fase attuativa, segnalano una maggiore centralizzazione del processo. Si tratta di una scelta che punta a rafforzare l’efficacia dell’azione pubblica, ma che può sollevare interrogativi sulla tenuta del principio di sussidiarietà e sull’autonomia decisionale delle regioni.
La Recovery and Resilience Facility (RRF) ha accelerato questa dinamica. Nato come strumento straordinario per fronteggiare l’impatto economico della pandemia, il RRF ha introdotto un modello di governance fondato su piani nazionali approvati dall’UE e vincolati a obiettivi misurabili. Le autorità subnazionali, pur potenzialmente coinvolte in fase attuativa, non sono soggetti protagonisti del processo di programmazione. Questo approccio – sebbene promettente in termini di controllo e risultati – rischia di consolidare una logica top-down che, nel lungo periodo, potrebbe ridurre la capacità delle politiche europee di adattarsi alle specificità territoriali.
Il tema della coerenza tra livelli di governo si pone con particolare urgenza anche in ambito fiscale. Le regole dell’Unione in materia di bilancio – rafforzate con l’Unione Economica e Monetaria – mirano alla sostenibilità dei conti pubblici, ma non intervengono direttamente sulla distribuzione delle competenze tra Stato e regioni. Ciò genera una situazione potenzialmente problematica: da un lato, le regioni possono avere un’ampia autonomia di spesa; dall’altro, le responsabilità in caso di scostamenti ricadono sullo Stato centrale. Si tratta di una asimmetria che, senza adeguati strumenti di coordinamento, rischia di compromettere l’efficacia delle regole europee.
Germania e Spagna – due Paesi con forti strutture federali – hanno introdotto riforme per allineare i propri sistemi fiscali agli obblighi europei, vincolando anche le entità territoriali al rispetto della disciplina di bilancio. Ma le esperienze mostrano che l’applicazione concreta resta complessa: in Germania, le sanzioni sono limitate ai casi di assistenza finanziaria; in Spagna, gli squilibri verticali e orizzontali tra le regioni pongono sfide sistemiche alla tenuta del modello.
La recente revisione delle regole fiscali europee, orientata a una maggiore flessibilità e alla semplificazione dei parametri di monitoraggio, potrebbe offrire un’occasione per costruire quadri nazionali più coerenti e inclusivi, anche nel rapporto tra centro e periferia. Tuttavia, il successo di questo processo dipenderà dalla capacità degli Stati di negoziare assetti che tengano insieme responsabilità condivisa, efficienza amministrativa e autonomia territoriale.
Nel complesso, il rapporto tra autorità subnazionali e governance dell’UE non si può più considerare una questione marginale. È una componente essenziale del funzionamento democratico e dell’efficacia delle politiche europee. Le dinamiche attuali indicano un bisogno crescente di coordinamento e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali. L’obiettivo non è tanto ridisegnare i confini delle competenze, quanto costruire una governance più integrata, capace di riconoscere la varietà degli assetti interni degli Stati e di valorizzare le competenze locali come risorsa per un’Europa più resiliente e vicina ai cittadini.
* La versione integrale di questo articolo è pubblicata sul sul n°1/2025 di Economia Italiana