Il Principe

di Leonardo Morlino

Le ragioni dell'astensionismo. E come provare a contrastarlo

C'è l'astensionismo involontario che non supera il 10 per cento. Ma c'è un 20 per cento di astenuti che si sentono indifferenti o alienati. Ecco le opzioni per fermare il fenomeno

Leonardo Morlino
MORLINO

La democrazia italiana ha una lunga storia di alta partecipazione, innanzi tutto, elettorale. E ora? È mai possibile che nel paese in cui tradizionalmente votava più del 90% dell’elettorato le prossime elezioni nazionali vedranno – con tutta probabilità – le astensioni superare il 30% ovvero la partecipazione scendere sotto la soglia del 70%? Che è successo? E, soprattutto, questo trend si può effettivamente invertire o anche solo fermare?

Nello spiegare l’astensionismo mettiamo qui da parte il cosiddetto ‘astensionismo involontario’ ovvero dovuto a particolare condizioni di età, salute o a impegni diversi (viaggi, sport, affari), che grosso modo riguarda l’8-10% dell’elettorato ed è in larga misura fisiologico se non si prendono alcuni provvedimenti indicati nel libro bianco Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto, preparato da una commissione voluta dal ministro D’Incà e presieduta da Franco Bassanini.

Il volume è ricco di analisi e dati sia su questo tipo di astensionismo che sugli altri due, quello dovuto a indifferenza, distacco e quello che esprime sfiducia, critica, alienazione, che insieme riguardano l’altro 20% dell’elettorato che si astiene. Se ci concentriamo su questi due tipi, alle tradizionali ragioni dobbiamo ora aggiungere un’altra che può riguardare entrambi.

La prima ragione di solito ricordata, che alla fine è fondamentale per spiegare gli indifferenti emerge soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino alla fine del 1989 e riguarda numerosi paesi europei. In breve, si è preso atto che in questa parte del mondo la democrazia non era più esplicitamente sfidata dopo il fallimento, economico e sociale di un altro tipo di regime autoritario, presente in tutta l’est Europa. Dunque, andare a votare non è più una questione essenziale per difendere la democrazia.

In più, anche la crescita economica e il maggiore benessere di quegli anni e anche di quelli precedenti spingono a pensare che ormai la politica sia meno rilevante e non sia più così necessario votare. Infatti, nel corso degli anni Novanta in quasi tutti i paesi europei si assiste al declino della partecipazione elettorale. L’Italia rimane un’eccezione a questo trend in quanto quegli sono gli anni del terremoto politico che porta alla scomparsa di tutti i partiti tradizionali dei decenni precedenti e alla nascita di nuovi o trasformazione di quelli precedenti.

La seconda ragione emerge con evidenza con la Grande Depressione (2008) e dopo. A seguito della profonda crisi economica, che colpisce soprattutto il Sud Europa, cresce molto l’insoddisfazione, la critica e la sfiducia che caratterizza il secondo tipo di astensionismo, quello degli gli alienati, mentre sopravvengono le trasformazioni partitiche dirette a catturare il  loro voto, con la crescita e il successo dei partiti neo-populisti, la Lega spostatasi a destra e il M5Stelle che invece non ha inizialmente un’esplicita collocazione lungo l’asse destra-sinistra.

A questi due si è aggiunta una terza ragione, che si è intravista meglio nel corso del 2022 e durante questa campagna elettorale, e che sta alimentando ulteriormente l’astensione elettorale. La pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina hanno creato un clima d’incertezza, hanno avuto un impatto asimmetrico sui diversi settori economici, hanno portato alla crescita di disuguaglianza e soprattutto povertà.

Questa nuova situazione ha messo i cittadini di fronte a due realtà, confusamente percepite. La prima è che in alcune occasioni la politica non è  in grado di risolvere i problemi enormi che dovrebbero essere affrontati. Ci s’ingolfa in un chiacchiericcio e in polemiche che coprono il vuoto di programmi e prospettive da parte dei leader politici. E poi, di fronte a macro avvenimenti improvvisi e imprevisti, rappresentanza e responsabilità (accountability) democratica perdono sostanzialmente di significato e rilevanza: oggi ci s’impegna su programmi e temi che domani saranno scavalcati da altri divenuti improvvisamente più urgenti. Per esemplificare, in questi giorni il costo dell’energia surclassa e sostituisce tutti gli altri precedenti impegni. In prospettiva, se la guerra continuerà – come ci si aspetta – ci potranno essere ancora altre priorità.

In breve, oggi i politici saranno eletti per fare politiche sulle quali si sono impegnati che fra qualche mese dovranno mettere da parte di fronte ad altre urgenze. Tutto questo, anche se confusamente, porta a ulteriori incertezze. E di fronte a questa situazione o si ha l’ottimismo e la capacità di credere in nuove opzioni, pure indeterminate ma caratterizzate dall’essere ‘nuove’, come è evidenziato dal successo – almeno nei sondaggi – della Meloni, oppure si cede al pessimismo che si può tradurre sia in indifferenza che in maggiore insoddisfazione e alienazione.

Si possono ridurre o fermare i due tipi di astensione? Sull’alienazione non c’è molto da fare se non ricorrendo all’estremo della manipolazione con particolari fake news in grado di far tornare sui propri passi estremisti e moderati alienati.

Sull’indifferenza si può incidere in due modi. Il primo è quello più usato e consiste nel ricorrere a un meccanismo di manipolazione già sperimentato in diverse elezioni, anche negli USA, e anche in questa campagna elettorale in corso. Si tratta di indurre o accrescere la polarizzazione: i leader e partiti interessati attraverso canali diversi diffondono la convinzione che ci siano solo sue soluzioni politiche possibili e, se non se ne vuole una, l’elettore deve andare a votare per sostenere l’altra. Nel caso specifico, questo meccanismo può favorire il PD e FdI.

La seconda modalità è più difficile e ha assai minori probabilità di successo: si tratta di riuscire a mettere a punto un programma che crei prospettive e speranze tali da attrarre certi settori dell’indifferenza toccando interessi e sensibilità percepite da quegli elettori potenziali, anche se quei programmi rimarranno sulla carta magari perché superati da urgenze sopravvenute. Con tutta evidenza indurre la (bi)polarizzazione sembra più semplice che creare prospettive e speranze, ma ad esempio a Berlusconi nel 1994 e a Renzi venti anni dopo (2014) era riuscito. Sarà comunque una partita impegnativa e alla fine non è detto che gli astensionisti saranno di meno.