Il PNRR è a metà percorso: ecco una prima valutazione della sua efficacia nel promuovere la crescita del Paese, sia sotto forma di investimenti che di riforme
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la cui implementazione è prevista entro il 2026, è il perno dell’attuale strategia di crescita dell’Italia. Il nostro Paese ha già ricevuto risorse per oltre 100 miliardi di euro avendo perseguito circa il 30% del totale dei suoi traguardi ed obiettivi a fronte di una media europea di circa il 20%.
Per valutare la sua efficacia occorre concentrarsi sul contributo che il PNRR può offrire alla crescita di medio termine del Paese, alla luce delle ragioni che hanno negativamente influito sul potenziale di crescita dell’Italia nello scorso decennio.
Innanzitutto, bisogna considerare che il cammino che attende il Paese nell’implementare il Piano è ancora lungo: a fine 2023 erano state spese meno della metà delle risorse già ricevute dall’Europa, concentrate peraltro in crediti fiscali. Ne deriva, pertanto, una difficoltà del nostro Paese nell’avvio e nella fase di esecuzione di lavori pubblici finanziati dal PNRR.
Inoltre, solo il 5% delle risorse complessive è stato dedicato alle riforme, ponendo la domanda se questo sia sufficiente, considerando il peso delle riforme strutturali nelle motivazioni che avevano convinto l’Europa a varare il NextGenEU.
L’anno in corso si sta, tuttavia, rivelando importante sul fronte delle riforme in quanto mira a portare la loro soglia di attuazione a circa il 70%. Si tratta di attuare, in prevalenza, riforme abilitanti e di settore, con l’obiettivo di rimuovere ostacoli burocratici ed aumentare l’efficienza del settore produttivo.
Se questo percorso si traducesse, come atteso, in una accelerazione nella fase di esecuzione, accompagnato ad un incremento della spesa effettiva, il “rischio di implementazione” del Piano verrebbe significativamente ridimensionato. Permane, tuttavia, ancora alto il rischio che una elevata concentrazione di opere pubbliche in un lasso temporale ristretto possa creare strozzature dal lato dell’offerta, soprattutto nel settore delle costruzioni, rendendo inattuabili le tempistiche previste dal Piano.
La corretta gestione del rischio di implementazione del PNRR è un aspetto cruciale per l’economia italiana stante il rilevante l’impatto che il Piano potrà esercitare sulla crescita del paese. Una recente stima, basata sul Piano rivisto e riportata nel Programma Nazionale di Riforme 2024, prevede un contributo positivo del 3,4% al 2026 al Pil nazionale.
Da un punto di vista aggregato, oltre alla distinzione tra progetti esistenti e progetti nuovi, rileva la natura dei programmi di spesa finanziati. Le recenti revisioni hanno ridotto la componente di investimenti e ciò potrebbe tradursi in un minor contributo del Piano alla crescita, stante l’effetto moltiplicativo più alto che contraddistingue gli investimenti rispetto alla spesa.
In ogni caso, anche una stima conservativa colloca il contributo del PNRR alla crescita del PIL non inferiore al 3% nel 2026, un valore comunque significativo.
Nonostante un loro ridimensionamento, gli investimenti pubblici promossi in questi anni rimarranno il perno su cui promuovere la crescita dell’Italia, a cui si dovrebbe affiancare la mobilitazione di investimenti privati per rendere i processi produttivi più efficienti e sostenibili.
L’Italia, infatti, si troverà ad allocare una quantità più elevata di risorse in investimenti pubblici rispetto al periodo precedente la pandemia, favorendo un riallineamento con l’Europa. Inoltre, nell’ambito della nuova governance di bilancio dell’Unione europea, gli stati membri dovranno impegnarsi a realizzare riforme ed investimenti al fine di mitigare l’aggiustamento fiscale richiesto dalle nuove regole.
Tale impegno potrebbe rappresentare una garanzia che venga preservato un livello medio di investimenti pubblici prossimo a quanto raggiunto nel periodo di copertura del PNRR e, più importante, non inferiore a quanto osservato in Italia negli ultimi venti anni.
Se si guarda alla dinamica del PIL potenziale dell’Italia, il suo tasso di crescita si è posto su un trend in constante discesa dalla fine degli anni Novanta.
Al fine di individuare quali leve utilizzare per innescare un possibile rafforzamento del potenziale dell’Italia, è utile procedere ad una decomposizione dello stesso nelle sue determinanti principali, ossia lavoro, capitale e produttività totale dei fattori (PTF). Da tale decomposizione emerge come sulla crescita dello scorso decennio abbia pesato un basso contributo del capitale, e dunque degli investimenti, ed una crescita debole della PTF.
A seguito della pandemia, ed anche grazie ad una crescente disponibilità di risorse pubbliche, si è osservato un significativo rimbalzo degli investimenti fissi, in aumento del 26% rispetto al 2019, a fronte di un 2% in Europa. Nel periodo 2020-2023, l’accumulazione di capitale è tornata a crescere, dunque supportando la crescita della produttività del lavoro e del potenziale dell’economia, processo che dovrebbe proseguire nei prossimi anni per affrontare adeguatamente le transizioni green e tech a cui il Paese è chiamato a rispondere.
Oltre al basso contributo della crescita del capitale, il Paese ha registrato una debole crescita della PTF, su cui ha probabilmente pesato una bassa efficienza dei processi produttivi ed una eccessiva regolamentazione sull’attività di impresa, la mancanza di lavoratori con appropriate competenze, una non completa apertura del mercato e una debolezza del quadro istituzionale.
Le riforme incluse nel PNRR, tra cui gli interventi diretti a favorire un aumento dell’accesso ai mercati di alcuni servizi promuovendo l’ingresso di nuove imprese, dovrebbero tutte concorrere a supportare un miglioramento della PTF nel lungo periodo.
L’altro fattore primario rilevante nel promuovere la crescita è il lavoro. Tuttavia, se si guarda alle caratteristiche del mercato del lavoro in Italia, emerge che, per il futuro, il contributo positivo del fattore lavoro appare più incerto a causa dell’atteso calo demografico. Se non verrà compensato da un sufficiente aumento della partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto delle donne, tutto questo si tradurrà in una contrazione della forza lavoro.
Oggi la partecipazione al mercato del lavoro in Italia, specie della popolazione femminile, rimane significativamente più bassa rispetto al resto d’Europa. Appare evidente che ridurre una simile distanza rappresenti una urgente priorità per il paese, se si vuole sostenere un miglioramento nella crescita del potenziale dell’economia. Il PNRR contiene delle utili misure in tal senso, ad esempio l’introduzione di un sistema di certificazione della parità di genere per le imprese, ma servirebbe un cambio di passo più deciso ed esaustivo.
L’importanza del PNRR, quindi, non si esaurisce nella pur importante componente di risorse pubbliche aggiuntive che fornisce sottoforma di investimenti, ma anche nelle riforme che devono aumentare la partecipazione al lavoro e favorire una crescita della produttività, eliminando gli ostacoli che per troppi decenni hanno frenato il potenziale dell’economia italiana.