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Decreto liquidità
Le nuove norme sul fallimento difendono davvero le imprese?

Il lungo rinvio del nuovo Codice sulla crisi d'impresa. Sospesi i ricorsi sullo stato di insolvenza. Scadenze più lunghe per l'imprenditore che cerca di evitare il fallimento. Analisi ravvicinata dei pro e contro sulle misure prese dal Governo in materia di procedure concorsuali

Benedetta Noro
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La situazione emergenziale causata a livello mondiale dalla diffusione del Covid-19 ha reso necessari plurimi interventi legislativi al fine di gestire e regolare in maniera tempestiva gli impatti che la pandemia sta avendo a livello sociale, economico, sanitario e giuridico. 

Il legislatore italiano, più volte, con i suoi recenti provvedimenti ha dovuto imbattersi nella “sfida” di bilanciare differenti interessi costituzionalmente garantiti, costretto a una temporanea soppressione della libertà individuale a favore dell’interesse collettivo alla sicurezza pubblica e alla sanità.

Con il decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2020 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 94 del 8 aprile 2020) definito più comunemente come “Decreto Liquidità” e recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e di lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”, il Governo italiano ha dovuto necessariamente porre rimedio alle gravi ripercussioni economiche dettate da questo evento eccezionale e imprevedibile.

La presente trattazione si propone di analizzare le previsioni del Decreto Liquidità in materia concorsuale e di evidenziarne la ratio sottostante ed eventuali profili problematici.

Gli interventi in questa materia sono stati dettati dall’esigenza di evitare un collasso economico, coerentemente con il resto delle previsioni del Decreto Liquidità, prediligendo le procedure alternative al fallimento nell’ottica di garantire una seppur limitata continuità aziendale.

In particolare, le misure adottate nell’ambito delle procedure concorsuali possono essere ricondotte a tre: 1) il rinvio al 1 settembre 2021 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, 2)  l’improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e delle altre procedure basate sullo stato di insolvenza fino al 30 giugno, 3) il differimento dei termini dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione dei debiti già pendenti.

  1. Il rinvio al 1° settembre 2021 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Il differimento al 1° settembre 2021 dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019), contenente la riforma organica delle procedure concorsuali di cui all’attuale “legge fallimentare” e della disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento (legge n. 3/2012), è stato ritenuto indispensabile dal legislatore nell’intento di garantire la certezza del diritto in questo momento storico così delicato. 

Come avviene per ogni innovazione, infatti, l’entrata in vigore del nuovo Codice, che già aveva suscitato perplessità tra i cultori della materia, con la conseguente previsione dei nuovi istituti giuridici che questo regola (es. le procedure di allerta), avrebbe necessitato – per così dire – di un periodo “cuscinetto” per permettere a tutti gli operatori del diritto interessati di “prendere confidenza” con le modifiche apportate alla materia concorsuale. 

Ogni novità, difatti, comporta con sé dei problemi di praticabilità di cui si ha contezza solo nel momento in cui l’istituto viene effettivamente posto in essere e utilizzato. 

La scelta del rinvio da parte del legislatore appare in questo senso più che condivisibile e sensata rimandando a un periodo in cui la crisi economica sarà auspicabilmente superata la prova di nuovi istituti giuridici continuando, invece, per il momento, a utilizzare quegli istituti che sono già “collaudati” e ben noti. 

Il legislatore ha proseguito sulla scia che già la Banca d’Italia nella sua Memoria del 26 novembre 2018 aveva manifestato: di “consentire una graduale familiarizzazione degli operatori con le nuove regole e approfondirne i contenuti in modo da indentificare e correggere per tempo possibili incoerenze”. Questo soprattutto rispetto a istituti di nuova coniatura come le c.d. misure di allerta, volte a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese e concepite per operare in un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni meramente fisiologiche, all’interno del quale, quindi, la preponderanza delle imprese non sia colpita dalla crisi. L’entrata in vigore del Codice in un contesto economico caratterizzato da una crisi provocata da un fattore esogeno alle imprese avrebbe compromesso, invece, il successo dei nuovi rimedi previsti, rischiando anzi di generare effetti negativi dovuti alla loro mancata conoscenza.

Un problema da non sottovalutare sarà, però, quello di convivenza delle norme della vecchia legge fallimentare con quelle del Codice già entrate in vigore. Ricordiamo infatti che lo stesso Codice aveva previsto un’entrata in vigore “a scaglioni” delle sue disposizioni. 

In ultimo, il differimento dell’entrata in vigore potrebbe apparire eccessivamente lungo in relazione all’urgenza di intervenire per ridurre la durata delle procedure concorsuali, obiettivo che il nuovo Codice si prefiggeva di raggiungere tramite il riordino dei numerosi interventi normativi, di natura episodica e talvolta emergenziale, che hanno generato vari indirizzi giurisprudenziali, con un incremento delle controversie pendenti e il notevole rallentamento dei tempi di definizione delle procedure concorsuali.

2. L’improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e delle altre procedure basate sullo stato di insolvenza fino al 30 giugno

L’art. 10 del Decreto Liquidità prevede l’improcedibilità dei ricorsi per le dichiarazioni di fallimento e le altre procedure basate sullo stato di insolvenza con il precipuo scopo di evitare, da una parte, che gli imprenditori siano costretti a presentare istanze di fallimento in proprio causate esclusivamente dagli effetti della pandemia sul tessuto economico del Paese – compromettendo anche gli interessi dei creditori che rischiano di non essere soddisfatti data la situazione attuale – e dall’altro di non creare ulteriori difficoltà per gli uffici giudiziari, il cui funzionamento risulta già paralizzato in questo periodo.

La scelta di attuare una misura a valenza generica, a prescindere dal sindacare la causa che ha provocato il fallimento, deriva dall’incapacità, in questo momento, per i Tribunali di accertare se la causa derivi dalla pandemia o dipenda da altri fattori.

Anche questa misura si sposa con l’intervento unitario del legislatore di evitare che imprese sane vengano estromesse dal mercato poiché colpite dai gravi effetti economici dovuti alla diffusione del virus con conseguenti liquidazioni inefficienti per i creditori in un mercato messo in ginocchio dalla pandemia. 

L’improcedibilità delle dichiarazioni di fallimento comporta con sé l’effetto che gli imprenditori possano valutare con maggiore ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa, senza essere esposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento del dissesto. Considerazione che viene automatico porsi è però: le altre misure del Decreto Liquidità saranno effettivamente in grado di evitare i fallimenti delle imprese?

Ulteriore perplessità è relativa al mancato operare di un distinguo da parte della norma che potrebbe causare un grave danno a quegli imprenditori la cui situazione aziendale risultava già gravemente compromessa prima del diffondersi del virus.

Un’ultima riflessione merita lo strumento utilizzato dal legislatore per perseguire il suo intento, ovvero la dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi. Tale scelta legislativa appare discutibile comportando la dichiarazione di improcedibilità un’attività giudiziale sfociante nell’adozione di un provvedimento formale da comunicare alle parti. Resta da sciogliere, infatti, il nodo del come questa previsione si concilierà con il più generale periodo di sospensione legale fino all’11 maggio 2020 previsto dall’art. 83, comma 1, del decreto legge n. 18/2020. 

3. Il differimento dei termini dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione dei debiti già pendenti 

Complementare all’intervento relativo all’improcedibilità dei ricorsi per le dichiarazioni di fallimento è la misura adottata in materia di concordati preventivi e accordi di ristrutturazione in corso, dove emerge chiaramente il favore del legislatore per tali strumenti di risoluzione della crisi d’impresa alternativi al fallimento e la cui riuscita rischia di essere seriamente minacciata dalla attuale situazione emergenziale. 

Questa misura è volta a evitare che l’eventuale aggravamento della situazione di crisi dell’impresa già soggetta a procedura, dovuto all’emergenza sanitaria, possa pregiudicare il buon esito del risanamento e portare al fallimento dell’impresa stessa.

A tal fine il decreto prevede: (i) per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione dei debiti già omologati, una proroga ex lege di sei mesi dei termini di adempimento in scadenza nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 ed il 31 dicembre 2021. 

(ii) Con riguardo ai procedimenti in cui il piano o accordo non sia stato ancora omologato alla data del 23 febbraio invece, viene introdotta la possibilità per il debitore di richiedere un termine di 90 giorni per la presentazione di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato o di un nuovo accordo di ristrutturazione, che tenga conto dei fattori economici sopravvenuti per effetto della crisi epidemiologica. Nel caso in cui il debitore intenda modificare soltanto i termini di adempimento originariamente previsti nella proposta o dell’accordo con i creditori, può presentare al Tribunale una memoria contenente l’indicazione dei nuovi termini e la documentazione comprovante la necessità della proroga. 

(iii) Infine, nei procedimenti di concordato in bianco o pre-accordo di ristrutturazione dei debiti, in cui i termini per il deposito della proposta e del piano siano già stati prorogati, il debitore può presentare istanza per un ulteriore proroga di 90 giorni. L’istanza deve indicare gli elementi che ne rendono necessaria la concessione con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica COVID-19. 

Questo intervento legislativo concede all’imprenditore il fattore tempo nel convincimento che venga da quest’ultimo sfruttato per ristrutturarsi meglio, cambiando i piani già in essere o differendone le scadenze o trovando risorse anche se non è chiaro quali, viste le numerosi preclusioni previste dallo stesso Decreto Liquidità anche per i soggetti già in sofferenza almeno bancaria.

Interrogativo che non sembra essersi posto il legislatore concedendo la proroga di sei mesi nel caso di società che abbiano già ottenuto l’omologazione né come può evitarsi un’interruzione dei cicli aziendali, che sembrano essere molto a cuore del Governo, facendo gravare il problema della liquidità sui fornitori delle imprese che ottengono la proroga.

Considerazioni conclusive

Sicuramente il compito del legislatore di gestire un’emergenza (generale: quella causata dal Covid-19) nell’emergenza (particolare: la situazione di crisi di un’impresa) risulta arduo. Come in tutte le situazioni caratterizzate da urgenza preme considerare, in sede di conversione dei decreti in legge, la necessità di operare un maggior raccordo tra i vari interventi, ponendo una maggiore attenzione su quelle che sono le ripercussioni pratiche delle misure.

A uno sguardo d’insieme sembrerebbe che il legislatore abbia ritenuto maggiormente adatta alla situazione di crisi la procedura concorsuale rimessa all’iniziativa dell’imprenditore (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione), concedendo allo stesso il fattore tempo e una sorta di temporanea irresponsabilità verso i creditori senza chiedergli in cambio una maggiore diligenza. 

Siamo sicuri che questi interventi mirino a realizzare quell’utilità sociale (richiamata dall’art. 41 della Costituzione) verso la quale l’impresa deve essere diretta o sono frutto di un mero intervento tardivo del legislatore?