approfondimenti/regolazione
Le nuove finalità della vigilanza assicurativa

Con la direttiva 2009/138/Ce in materia di accesso ed esercizio dell’attività di assicurazione e riassicurazione e il novellato art. 3 del codice delle assicurazioni private (rubricato alle finalità della vigilanza) portato dal d. lgs. 12 maggio 2015, n. 74 di attuazione della succitata direttiva, il legislatore, attraverso il capovolgimento della gerarchia dei valori oggetto di tutela, definisce un regime di protezione dell’assicurato – consumatore più avanzato rispetto alle omologhe disposizioni che tuttora regolano le finalità della vigilanza sul mercato bancario e su quello mobiliare. L’art.3 infatti prescrive che obiettivo primario della vigilanza è quello di garantire l’adeguata protezione degli assicurati e degli aventi diritto alle prestazioni assicurative. A tal fine, l’Ivass persegue la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e riassicurazione, nonché, unitamente alla Consob, ciascuna secondo le rispettive competenze, la loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela. La stabilità del sistema e dei mercati finanziari diventa, per la vigilanza, obiettivo subordinato al precedente e la trasparenza diviene “sostanziale”. Non evoca più solo informazione e correttezza nelle relazioni tra intermediari e clienti, ma anche (e soprattutto) adeguatezza delle comunicazioni alle caratteristiche dei servizi e della clientela.

Giuseppe Leonardo Carriero
Carriero

Il novellato art. 3 del codice delle assicurazioni private (rubricato alle finalità della vigilanza) portato dal d. lgs. 12 maggio 2015, n. 74 (di attuazione della direttiva 2009/138/Ce in materia di accesso ed esercizio della attività di assicurazione e riassicurazione, c.d. Solvibilità II) prescrive che “scopo principale della vigilanza è l’adeguata protezione degli assicurati e degli aventi diritto alle prestazioni assicurative. A tal fine l’Ivass persegue la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e riassicurazione, nonché, unitamente alla Consob, ciascuna secondo le rispettive competenze, la loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela. Altro obiettivo della vigilanza, ma subordinato al precedente, è la stabilità del sistema e dei mercati finanziari”. Richiedere, come la direttiva fa in termini addirittura più espliciti rispetto al decreto, che “gli Stati membri garantiscono che le autorità di vigilanza dispongano dei mezzi necessari e posseggano relative conoscenze, capacità e mandato per raggiungere l’obiettivo principale della vigilanza, ovvero la tutela dei contraenti e dei beneficiari” (art. 27) determina, per un verso, un vero e proprio capovolgimento di prospettiva rispetto alla previgente disposizione sulle finalità della vigilanza assicurativa e, per altro verso, un regime di protezione dell’assicurato – consumatore più avanzato rispetto alle omologhe disposizioni che tuttora regolano le finalità della vigilanza sul mercato bancario e su quello mobiliare.

È appena il caso di ricordare che la disposizione sostituita faceva consistere gli obiettivi della vigilanza nella “sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e riassicurazione”; nella trasparenza e correttezza dei comportamenti delle imprese, degli intermediari e degli altri operatori di settore “avendo riguardo alla stabilità, all’efficienza, alla competitività e al buon funzionamento del sistema assicurativo, alla tutela degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative, all’informazione ed alla protezione dei consumatori”.

Negli indicati termini, la disposizione del nuovo art. 3 del codice capovolge la gerarchia dei valori oggetto di tutela, (re)introduce elementi oggettivi di diversificazione negli obiettivi della vigilanza dei diversi comparti, diviene – quanto alla protezione della parte più debole del rapporto – mosca cocchiera per più sollecite ed effettive linee di policy nel senso indicato anche in segmenti diversi di un mercato unitario. Vale sul punto solo ricordare che le caratteristiche di questi mercati riposano nella natura fiduciaria dei beni che, a diverso titolo, qui vengono prodotti, offerti, negoziati. La fiducia nei c.d. credence goods è un bene immateriale rappresentativo della qualità del prodotto. Presuppone il possesso, da parte del fiduciario (tanto nella veste di emittente quanto in quella di collocatore), di elevati standards reputazionali faticosamente conquistati nel periodo medio – lungo in misura inversa alla facilità della loro immediata dispersione. Di un sistema finanziario può ragionevolmente predicarsi l’efficienza (laddove riduca il rischio d’impresa e incrementi gli utili) e la competitività (quando riduca le barriere all’ingresso, eviti concentrazioni, intese lesive della concorrenza, abusi di posizione dominante insieme a rendite di posizione ed extra profitti) senza che ciò necessariamente determini che quello stesso sistema debba produrre, in via diretta, un reticolo di adeguate relazioni fiduciarie tra intermediari e clienti. Se le crisi finanziarie sono quasi sempre dovute non già a un crollo del rendimento o a un’impennata oggettiva del rischio, bensì a cadute di fiducia, spesso amplificate (se non addirittura provocate) dalle imperfezioni del quadro istituzionale, ben può la relazione fiduciaria (anche nel descritto contesto) risultare affievolita, non essendo efficienza e competitività del sistema garanti del superamento di opacità negoziali, processi di formazione della volontà non consapevoli, assenza di rapporti cooperativi tra i paciscenti.

La tutela della concorrenza tra gli operatori genera efficienza economica e prezzi più contenuti. Non sempre contratti qualitativamente migliori. Non è da sola in grado di corrispondere alle esigenze di una utenza per contro fortemente interessata alla qualità del contratto. Di un contratto nel quale l’oggetto della controprestazione è rappresentato non già da un bene (o da un servizio) specifico che il consumatore può personalmente apprezzare sulla scorta delle informazioni obbligatorie possedute, quanto piuttosto dall’aspettativa che i frutti dell’investimento effettuato o del servizio finanziario convenuto possano adeguatamente corrispondere alla soddisfazione del bisogno che ha condotto alla conclusione dell’accordo. Il trasferimento della ricchezza non è perciò prodromico all’immediata sua trasformazione in un prodotto, quanto piuttosto alla sua commutazione temporale: presente contro futura per le operazioni bancarie, mobiliari e assicurative; futura contro presente per quelle creditizie.

Inadempimenti contrattuali, vizi del volere, violazioni di legge, illeciti civili ben potranno (e dovranno) produrre i rimedi risarcitori o restitutori sanciti in sede giurisdizionale, previo accertamento dei fatti denunciati. È tuttavia per lo meno dubbio che tali rimedi possano, da soli, assicurare efficaci tutele a questa particolare categoria di oblati. Ove si aggiunga l’ampia oscillazione giurisprudenziale e la stessa divaricazione disciplinare esistente nei diversi paesi dell’Unione, non potrà che concludersi per la centralità e l’indispensabilità della tutela amministrativa (fornita dalle c.d. autorità amministrative indipendenti) in via prevalentemente preventiva attraverso la panoplia di strumenti da queste posseduti. Diviene allora evidente che la protezione del risparmiatore/investitore/assicurato rappresenta un obiettivo di vigilanza autonomo perché, in assenza di specifiche (e continuamente aggiornate) regole tecniche e di altrettanto specifici controlli sulla commercializzazione di questi prodotti altamente fiduciari, il relativo mercato sconta elevati (e intollerabili) rischi in grado di poterne decretare il fallimento. La soluzione di continuità rispetto al passato risiede proprio nel diverso assetto del mercato finanziario, un tempo composto da intermediari specializzati nella tradizionale attività bancaria, mobiliare, assicurativa, ora invece rappresentato da operatori polifunzionali attivi nella produzione e nella distribuzione di nuove forme di ricchezza rappresentate da contratti che non costituiscono solo strumenti di circolazione di beni ma addirittura tecniche virtuali di creazione dello stesso bene (o prodotto) oggetto dello scambio. Basti pensare al contratto “derivato”.

Preservare questo mercato implica tutelare i beni (virtuali) in esso scambiati in termini, forme e soprattutto modalità profondamente diverse rispetto al più recente passato, non potendo gli obiettivi della supervisione essere circoscritti alle tradizionali variabili relative all’impresa ma dovendo, per contro, estendersi ai regimi dell’autonomia privata. Le ricadute delle riportate linee evolutive di politica del diritto rilevano anche nella definizione delle tecniche giuridiche di protezione. Queste continuano a fare principale affidamento sulla trasparenza delle condizioni contrattuali nei diversi insiemi considerati ma con significati e portata affatto diversi rispetto alla primigenia accezione del termine, sostanzialmente coincidente con quello di mera informazione obbligatoria.

Oltre a estendersi e diversificarsi, la trasparenza cambia soprattutto significato e portata. Diviene (come si usa dire con linguaggio atecnico) “sostanziale”. Non evoca più solo informazione e correttezza nelle relazioni tra intermediari e clienti, ma anche (e soprattutto) adeguatezza delle comunicazioni alle caratteristiche dei servizi e della clientela. Diviene perciò sinonima di assistenza se non di vera e propria consulenza all’oblato. In alcuni casi, si fa vera e propria regola di condotta. In siffatta guisa, le modalità dell’agire affiancano le regole formali di validità dell’accordo e specificano i contenuti degli obblighi informativi, non più limitati al solo versante quantitativo. Arricchiscono, di conseguenza, l’insieme di rimedi esperibili (che non si esauriscono nelle sole nullità di protezione) e prefigurano specifici assetti disciplinari nel più generale ambito dei c.d. contratti del consumatore, conformando non tanto o non solo l’atto d’autonomia quanto piuttosto le modalità del contrarre e le stesse strutture dell’impresa in forza di ulteriori specifiche regole di organizzazione aziendale. La commistione tra pubblico e privato o, in termini equivalenti, la compenetrazione della tutela del cliente tra gli obiettivi di vigilanza è pertanto dichiarata e manifesta.

Non di sola evoluzione domestica si tratta. La crisi ha revocato in dubbio i principali assiomi della letteratura economica neoclassica (in particolare, quelli dei mercati efficienti e delle aspettative razionali). Forte è il sospetto, anche da parte dei supremi sacerdoti del libero mercato, che un’economia capitalistica non gestita è intrinsecamente instabile. Il Dodd – Frank Act del 21 luglio 2010 di riforma del sistema finanziario USA istituisce una nuova autorità federale a tutela dei consumatori di prodotti e servizi finanziari (Consumer Financial Protection Agency) dotata di poteri di regolazione, di supervisione e sanzionatori con la possibilità per le corrispondenti amministrazioni statali di applicare norme ancora più restrittive di quelle previste a livello federale. Ciò in un contesto nel quale la tutela del consumatore non si è fin qui mai attuata a livello amministrativo. A dispetto delle apparenze (e dei luoghi comuni), gli ordinamenti perciò convergono.

In Europa, di là anche del 22° considerando del regolamento sulla vigilanza unica (che prevede espressamente la funzione di tutela del consumatore), tra i compiti delle tre autorità di vigilanza “microprudenziale” v’è l’espressa menzione di un ruolo guida nella promozione della trasparenza, della semplicità e dell’equità del mercato per i prodotti o servizi finanziari destinati ai consumatori.

Nella novellata norma dell’art. 3 l’obiettivo della “sana e prudente gestione” delle imprese di assicurazione e riassicurazione diviene strumentale (o, se si preferisce, obiettivo intermedio) al perseguimento dello scopo principale della vigilanza. Ai fini indicati, vale qui solo ricordare come di grande rilievo appaiono la posizione e la valenza generalizzante attribuite alla nozione di sana e prudente gestione, nozione anche nel settore assicurativo accreditata di ascendenze comunitarie. Infatti la formula compare negli artt. 8 e 15 della direttiva 92/49/CEE nonché negli artt. 7 e 14 della direttiva 92/96/CEE come motivo di diniego dell’autorizzazione all’esercizio dell’impresa con soci di qualità non adeguata e come motivo di diniego dell’autorizzazione a detenere partecipazioni qualificate o idonee ad influire sulla gestione in imprese già esercenti l’attività. Ma la sana e prudente gestione assurge anche a principio dell’intero governo delle imprese, cioè a criterio ispiratore che queste sono chiamate a divisare, conformando la loro struttura patrimoniale, amministrativa e distributiva, nonché le loro politiche di mercato, nel rispetto delle esigenze di contenimento del rischio espresso dai vari indici patrimoniali disciplinati dalla legislazione di settore. Ciò in quanto la gestione, oltre che sana, deve anche essere prudente, ossia avversa al moral hazard, rivestendo tale aspetto rilevanza particolare dettata dal fatto che l’esercizio dell’attività assicurativa avviene con i premi raccolti fra gli assicurati. Si tratta diun principio che, nel rispetto del rischio d’impresa, impone ai soggetti vigilati la costante osservanza non solo della disciplina di vigilanza ma anche delle norme di carattere tecnico, di correttezza e di diligenza per garantire l’obiettivo in questione.

Da ultimo, il senso del riferimento alla garanzia della stabilità delle imprese, ancorché sotto ordinato agli altri scopi della vigilanza, si comprende quando si consideri che detto obiettivo ha storicamente rappresentato il filo rosso che ha unito idealmente gli ampi poteri di regolazione e controllo     del cessato ISVAP nei confronti dei destinatari della vigilanza comprendenti il momento genetico, quello funzionale, quello estintivo attraverso un assetto disciplinare (primario e sub – primario) in larga parte derogatorio, additivo o sostitutivo rispetto al diritto comune delle società e astrattamente idoneo a garantire tutela al risparmio assicurativo e (per questa via) a rendere effettiva nel comparto in rassegna l’attuazione degli obiettivi sanciti dalla carta costituzionale. A questo fine sono volte le misure patrimoniali (riserve tecniche, margini di solvibilità, norme, regole prudenziali, etc.) tese a circoscrivere i rischi d’insolvenza dell’intermediario assicurativo che, pur non assumendo veste strutturalmente sistemica (come invece nel comparto bancario), possono talora determinare rischi di contagio (si pensi al frazionamento e alla diffusione del rischio riveniente da meccanismi di riassicurazione). In ogni caso, i rapporti tra gli intermediari bancari, assicurativi, finanziari che operano in un mercato comunque unitario sollecitano una particolare attenzione anche sotto questo versante. Lo testimoniano, sul piano delle politiche di supervisione, la speciale disciplina della “vigilanza supplementare” sui conglomerati finanziari; su quello empirico, le recenti vicende che hanno importanti impatti su tutti gli intermediari del mercato.

È appena il caso di ricordare che, a seguito della l. n. 262/2005, sulla tutela del risparmio, e (soprattutto) del successivo decreto correttivo (d. lgs. 29 dicembre 2006, n. 303), le polizze e le operazioni di cui ai rami vita III e V ex art. 3, co. 1 del cap (operazioni di capitalizzazione e prodotti linked anche non integralmente finanziari), la disciplina afferente a prodotti della specie risulta particolarmente composita. Sotto il versante delle fonti primarie, questi contratti sono, contestualmente, “prodotti assicurativi” a norma della lett. ss) sub art. 1, co. 1, cap (“tutti i contratti emessi da imprese di assicurazione nell’esercizio delle attività rientranti nei rami vita o nei rami danni come definiti dall’art. 2”) e “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione” ai sensi della lett. w – bis) sub art. 1, co. 1, del Tuf. Sul piano positivo, le perplessità derivano dalla struttura del contratto, la quale contempla (insieme) finalità di investimento e previdenziali segnatamente in quanto la sua durata, pur coincidendo con la vita residua del contraente e prevedendo (nel caso dell’evento morte) che il pagamento del capitale vada ai beneficiari della polizza, è condizionata dalla possibilità di esercitare il diritto di riscatto trascorso un breve termine dalla data di decorrenza dell’accordo. Su quello disciplinare, le perplessità sono rafforzate da un singolare e incomprensibile concorso di norme che prevede l’assoggettamento di tali contratti alle regole di condotta stabilite dagli artt. 21 e 23 del Tuf e ai poteri di vigilanza regolamentare della Consob nei confronti dei soli “soggetti abilitati” (v. art. 1, co. 1, lett. r del Tuf) e delle imprese di assicurazione (art. 25 – bis). Ove tali prodotti siano invece negoziati o collocati da intermediari assicurativi e riassicurativi ex art 109 (tranne che per quelli della lett. d), ritornerà a valere la diversa regola dell’assoggettamento alle sole norme del cap e alla conseguente disciplina attuativa emanata dall’autorità di settore (Isvap/Ivass). Non omettendo di rammentare, da un lato, che la disciplina si complica ulteriormente con riguardo alle polizze c.d. “multiramo” (caratterizzate dalla combinazione di coperture assicurative di ramo I, assicurazione vita, con quelle di ramo III, unit index linked); dall’altro, che l’impatto della più recente giurisprudenza valorizza il carattere sempre più pervasivo della clausola generale di buona fede (sub specie effettività degli obblighi di protezione per solidarietà contrattuale), anche oltre i limiti delle disposizioni regolamentari, la disposizione in rassegna avrebbe potuto, sul punto, concorrere a un definitivo chiarimento dell’ actio finium regundorum con riguardo a prodotti della specie. Mette conto qui solo riportare le diverse posizioni espresse, rispettivamente dal Presidente dell’Ivass (fautore della “peculiarità del settore assicurativo anche con riguardo ai prodotti d’investimento”) e dal rappresentante della Consob (per contro, confermativa dell’assetto vigente), in sede di audizioni presso le competenti commissioni parlamentari in ordine allo schema di decreto legislativo in oggetto. Ha infine prevalso, nel testo della norma in commento, la seconda, nella parte in cui richiama la condivisione di poteri Ivass/Consob quanto a trasparenza e correttezza nei confronti della clientela. Negli indicati termini, la disposizione nasce e si propone come già superata dalla successiva evoluzione del diritto dell’Unione, atteso che la recente direttiva Ue 2016/97 del 20 gennaio 2016 sulla distribuzione assicurativa contempla una nozione ampia di “prodotto di investimento assicurativo”, estesa a contratti che presentano “una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato” (art. 2, par. 1, n. 17), con specifiche regole di condotta tanto di adeguatezza quanto di appropriatezza, analoghe a quelle ex Mifid 2. Rappresenta perciò, in siffatta guisa, l’ennesima puntata del capitolo dedicato alle occasioni perdute.