A circa metà della campagna elettorale, fermiamoci un momento e guardiamoci indietro. Ci accorgeremo subito che questa campagna elettorale ha alcuni aspetti peculiari che la differenziano dalle precedenti di questo secolo e degli ultimi decenni di quello precedente. Quali sono questi aspetti e che cosa ci suggeriscono in prospettiva? Qui ne evidenzio solo due all’interno di un quadro non semplice.
Innanzi tutto, vi è una nuova legge elettorale alla prima prova. Dunque, ogni leader o gruppo di leader ha cercato di capirne e di anticiparne i possibili effetti proponendo una strategia elettorale conseguente ed appropriata all’immagine e al programma della propria lista. La domanda – aperta – è se la legge è stata correttamente interpretata. Nell’elaborare le proprie strategie l’elemento che andava considerato con maggiore attenzione era la presenza dei partiti sul territorio, un aspetto diventato ancora più importante a causa della componente di collegi uninominali, che anche se pesano per un terzo in realtà trascinano il voto anche nel proporzionale. Ricordiamoci che l’elettore ha un solo voto a disposizione. Questo aspetto ha, poi, reso ancora più rilevante la scelta dei candidati e la formazione delle liste. Si sostiene, semplicisticamente che le liste sono riempite di ‘nominati’. Ma a parte eccezioni che trovano uno spazio molto (troppo?) ampio sui giornali e in televisione, un partito ha interesse ad avere candidati che attirano voti, non candidati che li respingono. Con questo vincolo che potevano fare i partiti che avevano meno presenza territoriale, per ragioni diverse (nuovi partiti o partiti con nessun radicamento neanche in passato)? La risposta è ben nota: inserire nelle liste candidati con reti di rapporti e conoscenze in grado di assicurare voti. In certe aree del sud non sfugge a nessuno la pericolosità di una simile strategia.In ogni caso, alla domanda generale ovvero se i leader hanno indovinato le proprie strategie potremo dare una risposta solo a risultati elettorali acquisiti.
Un secondo aspetto da sottolineare è che la presenza dei collegi uninominali ha un’altra conseguenza, potenzialmente molto rilevante e diffusa in tutto il territorio. Si può tradurre, cioè, in un’ulteriore personalizzazione anche a livello locale del messaggio politico. Qui, però, il quadro è contraddittorio. Infatti, l’accentuazione e la diffusione territoriale della personalizzazione politica si scontra con una caratteristica intrinseca del fenomeno stesso. La personalizzazione ha una tendenza propria a fare emergere attraverso televisione e stampa leader nazionali e non locali. Cioè vi è una spinta intrinseca per una nazionalizzazione della leadership (personalizzata). A fronte di questo è emerso qualcosa di nuovo. Nella campagna elettorale hanno assunto importanza centrale anche i social network che per le loro stesse caratteristiche segmentano il pubblico, non lo nazionalizzano. In altre parole, possono frammentare ovvero localizzare quella tendenza alla personalizzazione, contrastando così la spinta nazionale degli altri media. Anche su questo punto che cosa succederà lo sapremo dopo le elezioni.
Vi sarebbe anche un terzo aspetto da considerare. Ma per la sua importanza a questo dovremo dedicare un intervento a sé stante.