Le elezioni europee si avvicinano, e la campagna per conquistare i voti è iniziata. Sappiamo già che sarà diversa da tutte le altre che l’hanno preceduta e simile a quelle che seguiranno. In breve, con questa campagna e le successive elezioni vi è stato un punto di svolta: per la prima volta in questi giorni non si parlerà di temi nazionali, ma di Europa. Non solo, ma malgrado il fatto che ci siano in concomitanza diverse elezioni locali, delle tematiche ad esse collegate si parlerà assai poco. Perché? Come è stato possibile un cambiamento così forte?
La risposta è semplice: la crisi economica, che ancora non aveva prodotto i suoi effetti in occasione delle precedenti elezioni nel giugno 2009. Sappiamo che alcune conseguenze politiche non sono il risultato di fattori, completamente nuovi, prodotti dalla crisi economica. La crisi ingrandisce oppure agisce da catalizzatore di fattori già esistenti. In questa prospettiva, l’impatto della crisi è avvenuto in due direzioni.
La prima è evidente e forte. La crisi ha evidenziato come le differenze tra i diversi paesi fosse tale che le regole fissate a Maastricht e l’introduzione dell’euro creavano svantaggi per certe economie e vantaggi per altre. In breve, con politiche economiche nazionali, condizionate dagli accordi europei e dall’appartenere all’area euro, la crisi ha avuto impatti economici diversi e provocato reazioni differenziate. Innanzi tutto, dunque, sono state create le basi più efficaci per partiti e opinioni anti-europee, anche laddove esistevano tradizionalmente gli atteggiamenti pro-europei più diffusi, come in Italia. Lo stesso è avvenuto in diversi altri paesi, soprattutto quelli (Grecia, Spagna Portogallo) che hanno risentito maggiormente la crisi. Questo conferma la connessione causale appena evidenziata.
La seconda direzione di impatto è meno evidente, meno intuitiva, ma altrettanto forte. Laddove non esisteva un’opinione a favore del decentramento, basata su solide differenze linguistiche e culturali, la crisi ha avuto un effetto di accentramento. Da una parte, i tagli dei costi hanno portato a ridurre le risorse disponibili per i governi locali, regioni incluse. Di qui, la spinta all’accentramento dei servizi. Dall’altra, anche le aree più ricche e che in passato hanno sostenuto la domanda di decentramento e dato voti alla Lega Nord, ora sotto l’effetto della crisi economica richiedono l’intervento e gli aiuti del centro. Anche a questo proposito il richiamo agli altri paesi del sud europa conferma e precisa questo impatto. Da una parte, Grecia e Portogallo si centralizzano ancora di più, se possibile. Dall’altra in Spagna, il decentramento, che ha radici solide, riceve una spinta ulteriore, i cui sviluppi saranno tutti da vedere, ad esempio, in Catalogna dopo il referendum, negato dal centro e convocato dai leaders politici locali.
Insomma, tra le diverse conseguenze politiche della crisi economica, le elezioni europee ne hanno subito evidenziato due, importanti. Ma ve ne sono anche altre, innescate dall’insoddisfazione dei cittadini colpiti dalla crisi. Ma su queste si potrà tornare in altra occasione.