MINISONDAGGIO
Le conseguenze economiche della guerra

Le opinioni di due esperti disegnano lo scenario che ci possiamo attendere con la crisi ucraina

Dal rischio recessione

a quello di stagflazione. L'atteggiamento dei mercati.

Il difficile compito delle banche centrali.

Che cosa cambia con la guerra

Luca De Biasi, Wealth Business Leader Mercer Italia

Il conflitto in Ucraina che influenza avrà sui mercati finanziari e sull’economia? Sarà un impatto di breve o di lungo termine?

Rispondere a questa domanda è complesso, dipende da fattori esogeni (quanto dura, se si arriva ad un punto di mediazione, se ci sono ulteriori sanzioni,….). Tuttavia provo ad immaginare che anche se il conflitto viene gestito mediante il convergere verso una soluzione o mediazione e quindi un rimbalzo di breve termine, l’impatto sull’inflazione potrà lo stesso essere duraturo e quindi anche l’impatto indiretto di lungo termine.

L’aumento della volatilità per lo scenario bellico contagerà tutti i mercati o sarà concentrato su alcuni?

Direi tutti i mercati in generale, l’Europa potrebbe avere impatti maggiori per via della dipendenza energetica e delle materie prime.

Luca DeBiasi

Appena i mercati potranno analizzare meglio le conseguenze del conflitto e delle sanzioni, si potrebbe immaginare una spinta selettiva sui titoli più legati alla guerra?

Limitatamente.

Il conflitto, ancorché regionale, potrebbe avere un costo in termini di recessione economica globale?

Assolutamente sì per via delle implicazioni su globalizzazione, commercio e soprattutto inflazione.

Rischiamo di entrare in un periodo di stagflazione?

È uno dei principali rischi che personalmente ravviso.

Quale immagina sarà la reazione delle banche centrali in termini di tassi e di QE?

Potrebbero rallentare i rialzi dei tassi, accettando che l’inflazione da costi, causata anche dalla guerra, non sia interamente gestibile con politiche monetarie.

Gian Franco Traverso Guicciardi, Head of research di Banca Finnat

Il conflitto in Ucraina che influenza avrà sui mercati finanziari e sull’economia? Sarà un impatto di breve o di lungo termine?

L’impatto sarà direttamente proporzionale alla durata del conflitto e soprattutto delle sanzioni. Come la storia ha dimostrato, gli eventi bellici possono anche essere volani economici non indifferenti, sia durante e soprattutto dopo. Qui però siamo in presenza di sanzioni effettivamente importanti, che rischiano di avere un impatto forte per chi le attua. Gli Usa sono in una botte di ferro: non varano certo sanzioni contro la Cina, che sono il loro primo partner commerciale, ma contro la Russia si possono permettere di farle, perché è al trentesimo posto come partner commerciale. Per l’Europa è diverso. La Russia è il nostro terzo/quarto partner commerciale, e il contraccolpo economico può essere importante.

Gian Franco Traverso Guicciardi

L’aumento della volatilità per lo scenario bellico contagerà tutti i mercati o sarà concentrato su alcuni?

Una guerra nel cuore dell’Europa non può non danneggiarci, infatti siamo già entrati in fase “bear market”. Quello americano rimane ancora in fase “bull”, ma poiché è a livelli molto alti, resta suscettibile di correzioni significative, anche del 15/20 per cento. L’area Asia-pacifico potrebbe convogliare i flussi in uscita dai primi due, ma solo a patto che non si risvegli il contenzioso Usa-Cina, o quello tra Cina e Taiwan.

Appena i mercati potranno analizzare meglio le conseguenze del conflitto e delle sanzioni, si potrebbe immaginare una spinta selettiva sui titoli più legati alla guerra?

Purtroppo penso di sì: di fronte a noi ci sono opportunità investimento nella difesa. Ma come la mettiamo con il rispetto dei fattori ESG?

Il conflitto, ancorché regionale, potrebbe avere un costo in termini di recessione economica globale?

Non vedo il rischio di una recessione globale. Il rischio di una recessione è elevato solo in Europa, non negli Usa né nell’area del Pacifico. C’è il timore che le sanzioni possano picchiare duro sull’Eurozona. E cresce l’incertezza su che cosa faranno le banche centrali. Continueranno ad alzare i tassi di interesse come annunciato? A interrompere il QE? Tutto è diventato più complicato: rischiamo di avere un’inflazione ancora più elevata e più duratura, con un contraccolpo economico non indifferente. Perché i segnali di stagflazione si stanno facendo più concreti.

Rischiamo di entrare in un periodo di stagflazione?

Il rischio c’è: i segnali di stagflazione che fino a qualche settimana fa erano assenti, ora rischiano di affacciarsi nell’Eurozona. Prima che le sanzioni possano avere effetto, rischia di passare molto tempo, mentre a noi il rischio stagflattivo potrebbe fare molto male.

Quale immagina sarà la reazione delle banche centrali in termini di tassi e di QE?

Sarà tutto molto più difficile da gestire: questa inflazione è generata da shock di offerta e non di domanda. Quindi è un’inflazione cattiva, difficile da affrontare con gli strumenti della politica monetaria. Sull’eccesso di domanda si può intervenire con un aumento dei tassi per ridurre i consumi. Ma un aumento dei tassi non ha effetto su uno shock esogeno che produce inflazione. Gestire un’inflazione del genere con le politiche monetarie è molto difficile. Servirebbe un “quantitative tightening” per gestire l’eccesso di moneta in circolazione – il 36 per cento dei dollari oggi in circolazione è stato creato negli ultimi due anni – ma con quello che sta succedendo è ancora più difficile.

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