new
approfondimenti/politica economica
Le banche centrali e la convergenza dei modelli di controllo monetario

Nel giro degli ultimi 15 anni i modelli di controllo della BCE e della FED, pur in un contesto di ancora profonda differenza nella definizione degli obiettivi finali di politica monetaria, si sono avvicinati. Ecco le convergenze e le differenze ancora esistenti

Giorgio Di Giorgio
g-di-giorgio

Gli ultimi anni hanno visto molte banche centrali impegnate in una sfida che non avevano avuto modo di cogliere nelle ultime tre decadi, in alcuni casi quattro: quella del ritorno dell’inflazione e di come ricondurla in prossimità dei valori obiettivo. Oggi, seppur non ancora completamente vinta, la sfida sembra avviarsi ad una conclusione positiva, almeno nell’Eurozona, ma probabilmente anche negli Stati Uniti.

È interessante notare che la sfida è stata giocata in un contesto alquanto mutato per quello che riguarda sia gli obiettivi, ma soprattutto gli strumenti e quindi il modello di controllo monetario adottato. Si è trattato in verità di un percorso lungo, durato circa 15 anni, avviatosi con la grande crisi finanziaria internazionale del 2007-08, almeno per la Federal Reserve, e con la crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona.

Il percorso ha, per molti versi, avvicinato i modelli di controllo della BCE e della FED, pur in un contesto di ancora profonda differenza nella definizione degli obiettivi finali di politica monetaria sulle due sponde dell’Atlantico. Ed è stato caratterizzato da fasi in cui la FED, oltre a impegnarsi in processi creativi di ingegneria finanziaria per rifornire di liquidità sostanzialmente tutti gli attori del sistema finanziario statunitense, ha deciso di adottare alcuni strumenti già in uso nell’Eurozona. E da fasi in cui, invece, ad adottare prassi di politica monetaria vigenti negli USA, è stata la BCE.

Vale la pena di ripercorrere, sia pure sintetizzando molto, i momenti salienti di questo interessante percorso.

A partire dall’estate del 2007, la Fed, alle prese con un mercato interbancario completamente ingessato dall’opacità presente nei bilanci di diversi attori del sistema finanziario, che avevano assunto rischi rilevanti operando su ABS e CDO collegati prevalentemente al mercato immobiliare, ha affiancato alle tradizionali operazioni di mercato aperto diverse nuove “facilities” con cui erogare liquidità a tassi convenienti, e dall’ottobre del 2008 prossimi allo zero, a banche, fondi comuni di investimento sul mercato monetario, operatori di cartolarizzazione, primary dealers e quanto altro.

Ha anche iniziato a remunerare le riserve in eccesso (e quelle obbligatorie) avvicinandosi alla strategia del corridoio ufficiale dei tassi che la BCE aveva privilegiato sin dall’inizio del suo operato. Un corridoio più stretto, in linea con il concetto di interest rate targeting, mentre il corridoio “tradizionale” della BCE, più ampio, lasciava a movimenti del tasso interbancario la capacità di assorbire shocks sul mercato monetario al fine di mantenere un maggiore controllo sulla base monetaria e gli aggregati monetari (in particolare M3, già tuttavia depotenziato dal 2004 da obiettivo intermedio a semplice variabile rilevante nell’analisi monetaria). 

L’adozione di un corridoio dei tassi ufficiali di interesse negli USA, costituito dal tasso di remunerazione delle riserve e dal tasso ufficiale di sconto, anticipava di poco, nel 2012, la prima definizione esplicita della stabilità dei prezzi come primo tra i tre obiettivi finali di politica monetaria annunciati esplicitamente dalla FED a guida Bernanke, ereditando peraltro il target del 2% già in uso, seppure con una definizione leggermente diversa nell’Eurozona (all’epoca, “un tasso di inflazione vicino ma inferiore al 2% nel medio termine). Sull’onda dei diversi programmi di quantitative easing adottati, la FED iniziava a muoversi in un regime esplicito di liquidità abbondante, acquisendo un sostanziale monopolio come attore sul mercato interbancario overnight.

La BCE ha invece agito dapprima in sostanziale continuità con il suo modello operativo, allungando solo la scadenza delle operazioni di rifinanziamento bancarie e ampliando il collateral accettato a garanzia. Si ricorderanno le due imponenti iniezioni di liquidità da oltre 1.000 miliardi euro avviate con le Long term Refinincing Operations di fine 2011 e inizio 2012 durante il passaggio di consegne dalla Presidenza Trichet a quella Draghi.  Con l’accentramento della crisi nell’Eurozona e il crescere di pericolosi rischi deflazionistici, gradualmente, la BCE ha recuperato terreno sul fronte dell’innovazione negli strumenti di politica monetaria, portando i tassi di interesse in territorio negativo, prima, e adottando finalmente nel 2015 il quantitative easing. Nel tempo, la BCE ha considerato utile passare ad un modello simile a quello della FED e basato sul tasso di interesse ufficiale inferiore come guida per le decisioni di politica monetaria. Anche la nostra Banca Centrale si è mossa dal controllo dell’ammontare di liquidità al controllo del suo prezzo, in un contesto di riserve “ampie” e non limitate, in quello che è divenuto un nuovo “gergo” di policy.

Negli anni successivi, la FED ha ulteriormente raffinato il suo modello di controllo introducendo nuovi tassi ufficiali, tra cui quello sulle overnight reverse repo transactions (ONRRr), attraverso il quale offre, a istituzioni finanziarie non bancarie che hanno interesse a depositare liquidità overnight presso la FED, un tasso di poco inferiore a quello offerto alle banche per depositare le riserve in eccesso. Di fatto, oggi, il nuovo corridoio effettivo negli USA è limitato a pochi basis points, il differenziale tra il tasso sulle riserve in eccesso (nel frattempo quelle obbligatorie sono state eliminate, nel 2020), che coincide con il tasso ufficiale di sconto per il credito primario, e l’ONRRr appunto: un perfetto interest rate peg

La BCE ha appena varato, in marzo, la revisione periodica del suo modello di controllo, confermando il tasso sui depositi presso la BCE come tasso guida delle decisioni di politica monetaria, la piena allocazione della liquidità richiesta in asta con le operazioni di mercato aperto ordinarie al settore bancario, ad un tasso di poco superiore (oggi 50 basis points, ma soli 15 da settembre), mantenendo tuttavia un differenziale maggiore con il “tetto” del corridoio ufficiale dei tassi, costituito nell’Eurozona dal tasso di rifinanziamento marginale: questo differenziale, da alcuni anni pari a 75 basis points, scenderà a 40 da settembre 2024.

Pur mantenendo due riunioni mensili del Consiglio Direttivo, la BCE ha esplicitato che solo una volta ogni 3 si prenderanno, in assenza di emergenze, decisioni di politica monetaria sui tassi di interesse. Quindi 8 volte l’anno, come la FED da molto tempo è usa fare attraverso le riunioni calendarizzate del Comitato sulle Operazioni di Mercato Aperto (FOMC).

I modelli di controllo monetario decisamente convergenti lasciano tuttavia sostanzialmente intatte le differenze esistenti in merito agli obiettivi di politica monetaria, la cui ultima revisione è dell’estate 2020 per la FED e dell’estate successiva per la BCE.

La FED ha infatti confermato il suo mandato “duale” e spostato al primo posto nell’indicazione dei suoi obiettivi, probabilmente complice il momento COVID, quello della maximum employment, e adottato un average inflation targeting che le consente di accettare, a seguito di periodi caratterizzati da tassi di inflazione superiori (o inferiori) al 2%, anche periodi caratterizzati da una inflazione più bassa (alta).

La BCE ha semmai irrigidito la sua definizione di stabilità dei prezzi, fissando “esattamente” al 2% il suo target, e assicurando che seguirà comportamenti simmetrici nel contrastare deviazioni dallo stesso.  E questo spiega l’attesa a tagliare i tassi oggi, nell’Eurozona, che sarebbe invece suggerita da una congiuntura economica decisamente meno brillante di quella degli USA.

Le vicissitudini economiche e finanziarie degli ultimi quindici anni hanno stimolato le banche centrali ad affinare e ampliare i loro strumenti di intervento e le modalità di gestione della politica monetaria. Si è trattato di un percorso lungo e non facile. Oggi che la nuova ondata inflazionistica si sta ritirando,  le banche centrali sono in ottima posizione per cooperare allo sviluppo economico e mantenere il controllo sui prezzi. La parola, di nuovo, passa alla politica economica e – per l’Europa – alla definizione e attuazione di una politica industriale comune, capace di stimolare l’innovazione e reggere la sfida che USA e Sudest asiatico pongono al Vecchio continente.