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Lavori in corso nella giurisprudenza sul concordato preventivo

Una ordinanza del Tribunale di Bergamo elabora in modo originale i principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione. Il risultato solleva qualche dubbio ma dimostra la vivacità delle Corti territoriali in un settore in cui ci sono ancora molte questioni su cui occorre riflettere.

Alfonso Parziale
Alfonso Parziale

Il settore delle procedure concorsuali ha vissuto un periodo di grande vitalità e rinnovamento alla luce di alcune incisive riforme, che, negli ultimi dieci anni, ne hanno attenuato il tratto “punitivo”, per abbracciare una visione di stampo anglosassone, più vicina al principio della gestione della crisi e del risanamento dell’impresa in difficoltà.

Il ritmo costante con cui si sono succedute le modifiche della legge fallimentare (l’ultima nel 2012) e la formulazione non sempre impeccabile degli articolati hanno però lasciato ampi spazi alla produzione dottrinale e giurisprudenziale, che ha tentato di approfondire e risolvere alcuni punti non chiarissimi nella normativa vigente, sino a pervenire a soluzioni originali (e non prive di un certo pregio funzionale) come nel caso della recente ordinanza del Tribunale di Bergamo del 2 dicembre 2014.

Nel caso posto all’attenzione della Corte, all’esito di alcune vicende una società depositava una domanda di concordato preventivo, accompagnata dal relativo piano, che prevedeva, tra le altre cose, che i creditori chirografi (i.e., sprovvisti di garanzie) fossero soddisfatti in misura irrisoria (nell’ordine di pochissimi punti percentuali rispetto al valore originario del credito). Il Tribunale giudicava la proposta inammissibile, anche in considerazione del fatto che la percentuale di soddisfacimento offerta ai creditori chirografari fosse inferiore rispetto alla soglia, ritenuta minima, del 3%.

A scanso di equivoci, non esiste una norma della nostra Legge Fallimentare che preveda una percentuale “minima” di soddisfacimento dei creditori nell’ambito di un concordato preventivo. Il Tribunale di Bergamo, però, individua questo limite all’esito di un ragionamento che può riassumersi come segue:

(a)in linea con l’insegnamento della Corte di Cassazione (v. la nota sentenza 1521 del 23 gennaio 2013) il giudice non può valutare la convenienza economica della proposta di concordato, ma può verificare se la stessa sia idonea, tra le altre, a realizzare la causa della procedura di concordato preventivo, vale a dire, cioè, che consenta il superamento della situazione di crisi del debitore, attraverso il soddisfacimento dei creditori in un lasso di tempo ragionevolmente breve;

(b)l’affermazione della Corte, però, è per sua stessa natura una statuizione di principio che, come tra l’altro asserito da una recente pronuncia del Tribunale di Modena, deve essere successivamente “colorata”, dal giudice di merito, nella valutazione del caso concreto;

(c)quando un debitore propone un pagamento in percentuale irrisoria ai creditori, si può affermare che, nonostante l’apparenza, quel debitore sta fallendo nell’obbiettivo di assicurare un minimo soddisfacimento di quei crediti: il concordato quindi non riesce a soddisfare la sua causa e deve essere quindi dichiarato inammissibile.

La fissazione di una soglia minima esatta (e cioè il “3%”) non viene giustificata nel dettaglio e sembra in realtà, più che il frutto di un calcolo specifico, il risultato di una constatazione empirica, basata sull’esperienza della Corte. In effetti, in pronunce di altri Tribunali è stato adottato un valore più alto (5%) ma sempre ponendo alla base del ragionamento svolto le considerazioni sopra riportate.

Vi sono alcune ragioni di diritto e di coerenza del sistema per cui la soluzione adottata dal Tribunale di Bergamo non appare pienamente condivisibile. Tra le varie, si può ad esempio sottolineare che in molti casi la dichiarazione di inammissibilità del concordato a causa della minima soddisfazione dei creditori potrebbe comportare il fallimento della società, e di conseguenza, un soddisfacimento ancora minore (non garantendo, dunque, la migliore soddisfazione dei creditori coinvolti).

Allo stesso tempo, però, è evidente che una simile posizione garantirebbe al Tribunale alcuni indiscutibili vantaggi: un sistema che preveda una percentuale minima di soddisfacimento, infatti, è maggiormente intellegibile per il debitore, i creditori ed i professionisti che assistono tali soggetti e aiuta inoltre il sistema processuale ad indirizzare verso la procedura maggiormente confacente le imprese in crisi e quelle decotte, selezionando in via preventiva le imprese “meritevoli” di accedere alla procedura di concordato, perché, di fatto, capaci di ripagare una minima somma di denaro in favore dei creditori.

Come si può notare, quindi, la scelta del Tribunale di Bergamo elabora con originalità gli spunti della Suprema Corte ed arriva ad una soluzione certamente innovativa (seppur, forse, contestabile in alcuni suoi aspetti). Il dato apprezzabile, in definitiva, è lo sforzo del giudicante di individuare la strada più efficace per la migliore gestione della crisi di impresa. Alla luce di un possibile nuovo riordino delle procedure concorsuali (da poco è stata insediata una commissione ad hoc), la vitalità delle nostre Corti di merito deve certamente interpretarsi come un segnale positivo per il Paese.