ANTITRUST
L'America cerca nuove regole, l'Europa fa scuola

La mossa della FTC contro il deal Microsoft-Activision rilancia negli Usa il dibattito sulla necessità di rivedere le regole sulla concorrenza. Alcuni guardano all'Europa dove è appena entrato in vigore il Digital Markets Act. Altri propongono una soluzione modello tlc

Paola Pilati

L’Europa diventa il modello da seguire in campo di regole antitrust? Da quando Lina Khan, la trentatreenne presidente della Federal Trade Commission ha messo nel mirino le Bigh Tech, negli Usa sta prendendo corpo una corrente di opinione che chiede di rivedere la legge sulla concorrenza in chiave meno rigida, e guarda alle mosse europee nei confronti del Big Tech come fonte di ispirazione.

A dare vigore al fronte dei revisionisti è stata l’iniziativa della Khan, appoggiata dal capo dipartimento antitrust del ministero della Giustizia, di avviare un procedimento per bloccare l’acquisizione da parte di Microsoft della società di videogame Activision Blizzard per 69 miliardi di dollari.

Un deal di queste dimensioni, nel campo delle tecnologie rivolte ai consumatori, non si vedeva da vent’anni, da quando cioè Aol conquistò Time Warner. L’argomento che ha fatto scattare l’intervento di Khan – che i media continuano a dipingere come una “progressive” e anche una “aggressive”, in abile sequenza alquanto denigratoria – è stato il rischio che il matrimonio tra la console di Microsoft Xbox e il servizio di videogame in streaming di Activision, che vanta 370 milioni di utenti al mese e due giochi famosissimi come Call of Duty e Candy Crush, possa dare a Microsoft un potere eccessivo sul mercato del gaming, rendendo impossible ai rivali di competere.

Sebbene anche altri 16 regolatori in giro per il mondo abbiano messi sotto i raggi X questa acquisizione, è la FTC che si è mossa per prima. Il confronto per decretare chi ha ragione si svolgerà nei tribunali, e il “New York Times”, per esempio, si chiede se il cammino della giustizia non finisca per essere troppo lento rispetto all’evoluzione della tecnologia, e che quindi nell’attesa si finisca per mettere a repentaglio il mercato stesso, perché nel frattempo si dilegueranno gli eventuali concorrenti.

Un simile intervento antitrust nei confronti di Google per il suo potere dominante nel settore dei motori di ricerca, avviato due anno fa, si prevede che non vedrà la sentenza definitiva prima del 2027. Una lungaggine che nel mondo tech è innaturale.

Microsoft promette resistenza e nel frattempo porta avanti le su strategie senza mostrarsi intimidita. Ha appena acquistato il 4 per cento del London stock exchange da Blackstone-Thomson Reuters per due miliardi, a cui si unisce una fornitura di servizi alla Borsa di Londra che, secondo il boss Microsoft Satya Nadella, porterà a un nuovo modo di scegliere e scambiare asset class tra istituzioni finanziarie. Una rivoluzione, insomma.

Nel territorio dell’Unione europea la vita del big tech è meno spianata che in UK, almeno per ora. Da quando è stato approvato il Digital markets act, appena entrato in vigore a novembre, le piattaforme online devono adottare misure molto più severe del passato per proteggere gli utenti, devono essere più trasparenti ed evitare di diffondere notizie false. Per i “gatekeeper” cioè quelle oltre i 7,5 miliardi di euro di fatturato e almeno 45 milioni di utenti al mese – cioè Alphabet, che possiede Google e YouTube, Amazon, Apple, Microsoft e Meta – gli impegni sono anche più stringenti: Google non può più raccogliere i dati degli utenti senza il loro consenso e Apple dovrà offrire una laternativa agli App Store sugli iphone e ipad, tanto per fare qualche esempio.

Ma è il caso Amazon che ha portato l’Unione Europea a brillare come il modello da seguire. Dopo un lungo corpo a corpo, sembra ormai imminente l’agreement: per chiudere con l’Antitrust europeo, Amazon si impegna ad aumentare la visibilità ai prodotti dei rivali sul suo sito e a garantire parità di trattamento nelle sue “buy box”. Concessioni che la metterebbero al riparo dal rischio di una multa stratosferica: il Dma ha deciso di usare la mano pesante con chi viola le regole europee sulla concorrenza e può imporre multe fino al 10 per cento dei ricavi.

La legge europea potrebbe diventare lo standard da imitare in giro per il mondo (l’hanno fatto in Giappone e in Brasile) e anche negli Usa. Ma, come si diceva all’inizio, sui propri campioni l’opinione pubblica e i politici americani hanno un occhio di riguardo. Poiché a qualche compromesso occorrerà comunque arrivare, l’idea che avanza è che i potrebbe usare per il Big Tech il sistema applicato ai grandi gruppi di telecomunicazioni, che devono dare accesso al loro network alle società concorrenti. Allo stesso modo anche le tech company potrebbero dare accesso libero alle proprie piattaforme, permettendo una condivisione dei dati con loro e la portabilità degli stessi dati agli utenti. Per esempio, chi ha sempre acquistato su Amazon può utilizzare la storia dei suoi acquisti per migliorare la sua performance su un altro sito, oppure un nuovo social network può connettere i suoi utenti a Facebook senza cederne le informazioni personali. Questo potrebbe placare Lina Khan? La partita delle varie lobby è appena iniziata.