approfondimenti/politica economica
IL NUOVO VERTICE DELLA BCE
Lagarde, portafoglio e cuore
Paola Pilati

L’affare Tapie, a 11 anni dall’assegno da 403 milioni di euro che lo Stato francese ha pagato sull’unghia al discusso uomo d’affari dopo un semplice arbitrato, non ha lasciato neanche un’ombra nella stellare carriera di Christine Lagarde. Questo, nonostante il fatto che a firmare quell’assegno, nel 2008, fosse lei come ministro delle Finanze, e che nel 2017 una corte regolare abbia rovesciato il risultato di quell’arbitrato: non era vero che Bernard Tapie fosse stato truffato dal Crédit Lyonnais incaricato della vendita della sua Adidas, quindi i soldi andavano restituiti. Di conseguenza, la Lagarde è stata ritenuta colpevole di negligenza per la fretta nel chiudere il caso. Con una coda al veleno: nell’aprile di quest’anno per l’ex capo dello staff della Lagarde all’epoca dell’arbitrato, i giudici hanno chiesto tre anni di prigione proprio per il ruolo nello scandalo Tapie.

Visto che la colpa di quella negligenza non ha portato con sé alcuna condanna, la carriera di Lagarde è rimasta immacolata. E anche la pubblicazione della lettera riservata in cui faceva atto di sottomissione a Sarkozy (“utilise-moi…”, scriveva all’allora presidente) quando era già capo dell’Fmi, non l’ha danneggiata più di tanto. D’altra parte, quale incidente avrebbe potuto surclassare lo scandalo sessuale che ha stroncato la carriera del suo predecessore al Fondo, il connazionale Dominique Strauss-Kahn? Lagarde, arrivando al vertice dell’organismo da cui dipendono gli aiuti finanziari ai paesi in difficoltà nel ripagare i propri debiti, è stata la carta con cui il Fondo si è riconquistato “allure”: prima donna in quella posizione, con esperienze top al di qua e aldilà dell’Atlantico anche senza essere una “enarca”, vuol dire fibra d’acciaio. E anche una certa civetteria francese con cui dare lezioni a Washington, sia di classe che di disinvoltura, come quando ha alluso alla tutt’altro che soporifera vita intima delle sessantenni.

Il Fondo l’ha proiettata oggi al vertice della Bce, la poltrona più scottante ma più seducente in lizza. Ma non è solo la mossa vincente di una partita a scacchi stile Bilderberg. Christine se l’è guadagnata. Perché se il Fondo ha cambiato la Lagarde, la Lagarde ha cambiato il Fondo. Lo dimostra la storia della Grecia, forse il momento più basso della storia dell’organismo di Washington. 

Sulle sanzioni imposte al paese che aveva truccato i conti per entrare nell’euro, la volontà di punizione da parte dei partner europei ha senz’altro giocato il ruolo maggiore, come pure ha avuto peso la preoccupazione delle banche tedesche e francesi di rientrare dei loro crediti. Ma l’Fmi ha messo il suo carico di severità chiedendo tagli sanguinosi in cambio degli aiuti. 

A posteriori, il mea culpa: i calcoli fatti dal Fondo e dalla Ue sugli effetti dei tagli, si è giustificata Lagarde, erano sbagliati. Ma con quell’ammissione ha fatto la prima mossa per smarcarsi dall’asse franco-tedesco e dalla visione europeo-centrica, e ha aperto la strada a posizioni più dialoganti. Quelle che biasimano l’austerità come origine della lunga stagnazione, e adesso aspettano di entrare in partita nell’Europa uscita dalle elezioni.

Per non ripetere l’errore fatto con Atene, il Fondo non si è tirato indietro quando si è trattato di aiutare l’Argentina, che continua a soccorrere con generosi prestiti. E la managing director ha cominciato a interpretare il suo nuovo personaggio sulla scena mondiale. Ha fulminato Trump per le guerre commerciali e per gli attacchi al capo della Fed Jay Powell, ha criticato la Brexit, liquidato i mini-bot made in Italy dicendo che ci sono modi migliori per pagare gli arretrati, lanciato un allarme sull’ingresso delle big tech nel mondo della finanza, invocato più inclusione sociale e partecipazione femminile al mondo produttivo, consigliato all’eurozona di finanziare un fondo per far fronte ai prossimi rovesci. Insomma ha costruito pian piano un’immagine pubblica che esce dal ruolo tecnico riservato al Fondo monetario, e ne fa una protagonista politica.

È proprio il fatto di essere un personaggio politico, e con una formazione giuridica, non una economista, che appare come il fattore di massima discontinutà per la guida della Bce. Più adatto ai tempi nuovi, in cui la leadership si gioca sulla capacità di convincere, sull’efficacia dei messaggi, sulla forza delle personalità. Nei suoi anni al Fondo, Lagarde ha costruito la sua immagine di standing mondiale senza risparmiarsi, partecipando ai grandi eventi come agli incontri con gli studenti nelle università, pronunciando 200 discorsi con l’affilata ma bonaria saggezza di una Mary Poppins, esigente e materna, diretta e sapiente. E facendo dialogare il portafoglio del Fondo, le sue munizioni classiche, con il cuore, come ha detto all’ultima conferenza dell’International labour organisation. Binomio inedito finora.

Riuscirà Christine a non far rimpiangere Mario Draghi? “Lagarde non cambierà tanto la politica monetaria”, è l’opinione di Wolfgang Munchau sul “Financial Times”, “quanto piuttosto come la Bce dialogherà con le altre istituzioni europee”. 

Il vertice della nuova Commissione, infatti, è tutta composta da interlocutori con una formazione, una ispirazione, un forte credo federalista. Quindi disponibili a lavorare nella stessa direzione: quella verso una riforma dell’eurozona, dotandola di quegli strumenti di stabilizzazione e cooperazione di cui ancora è priva, gli eurobond. Di un safe-asset che interpreti una vera capital market union. Di un’azione coordinata di stimoli fiscali. Di un ministro delle finanze europeo. Magari di un fondo europeo per i giorni di pioggia, come l’Fmi aveva proposto un anno fa con un ballon d’essai che si era subito arenato per le resistenze del Nord-Europa, sempre sospettoso di dover pagare il prezzo delle politiche di spesa dei paesi del Sud. Temi tutt’altro che nuovi, e incagliati da tempo.

«I banchieri centrali sono gli eroi della crisi finanziaria globale», ha detto lei tempo fa in un discorso. Ora che fa parte del club, dovrà dimostrare di saper lasciare la sua impronta nella direzione in cui ha sempre predicato. Se il training accumulato in otto anni di Fmi non le basterà, si appoggerà agli economisti, come ha fatto a Washington prima con Olivier Blanchard, poi con la nuova capo economista, una donna, l’indiana Gita Gopinath. A Francoforte c’è Philip Lane ad attenderla. Ma per indicarle il cammino c’è soprattutto Draghi. Il quale ha già annunciato un nuovo quantitative easing, proprio quando lo strumento sembrava destinato alla soffitta. Un modo per offrire a Christine l’attrezzo giusto da usare una volta in sella.