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L'acqua può diventare un bene d'investimento?

Trattare l'acqua come una vera asset class, come l'oro, i minerali, il petrolio, per molti è ancora un tabù. Eppure la finanza si sta sempre di più interessando all'acqua, anche grazie all'evoluzione della tecnologia. Ecco il panorama

Paola Pilati

Si può investire sull’acqua? Certo investono le utility, perché è oggetto del loro servizio ai cittadini. Investono i soggetti pubblici, per colmare i gap di fornitura territoriale. Ma la finanza che atteggiamento ha nei confronti dell’acqua?

Se in Italia i privati investitori si tengono lontani dall’acqua, all’estero sulle risorse idriche il mondo del business si è già attivato. Dal 2018 negli Usa è attiva una borsa che registra gli scambi d’acqua in California con un indice, il Nasdaq Veles California Water Index (NQH2O Index), che ogni mercoledì mattina comunica il prezzo medio, alla fonte, dell’acqua venduta nella settimana precedente nello Stato, che è il terzo per grandezza negli Usa ma il primo per consumo di acqua, con il 9 per cento del totale. Partito da $371,11, ora quota 728,44 dollari. Da un anno, questo indice ha dato vita anche a un indice dei futures con cui gli agricoltori californiani posso proteggersi dalle variazioni del prezzo dell’acqua.

La creazione di questo indice era intesa per dare trasparenza all’intero mercato. Ma il mercato è troppo locale e segmentato per poter essere utilizzato a livello globale. La sua utilità, oggi che la sensibilità per la sostenibilità rispetto all’uso delle risorse è molto cresciuta, va però oltre la trasparenza. E suona un allarme rispetto al fatto che per il 2025 due terzi della popolazione mondiale potranno trovarsi di fronte alla drammatica situazione di scarsità di approvvigionamento, causata dai cambiamenti climatici e dall’aumento della popolazione. Un rischio sociale e ambientale, ma un rischio che anche il business comincia a registrare.

In un anno il Dow Jones Global Water index, che include 50 tra le grandi imprese quotate a livello globale impegnate in attività legate all’acqua – dalla depurazione alla desalinizzazione alle infrastrutture – ha registrato un incremento del 26 per cento, con un’accelerazione rispetto alla media degli ultimi dieci anni, che è stata del 12 per cento.

Ma immaginare di trattare l’acqua come una vera asset class, come l’oro, i minerali, il petrolio e via dicendo, per molti è ancora concettualmente un tabù. Da noi, per esempio: in Italia con un referendum del 2011 si chiuse la strada a qualsiasi tentativo di valorizzare l’acqua come qualsiasi altro bene commerciale. Oggi qualcosa potrebbe cambiare?

La prospettiva della scarsità rispetto al fabbisogno futuro, e quindi della necessità di investire per renderla disponibile, sta cambiando la visione e l’interesse degli investitori. Le opportunità vengono dalla tecnologia che spinge in questa direzione. Un esempio? Si chiama Progetto Groenlandia ed è nato dalla collaborazione tra North Atlantic Research and Survey (guidata da un ex ammiraglio della Royal Navy e con l’imprenditore Patrick Greaves come Ceo) e Thomas Schumann Capital, fondo che ha creato un indice che quantifica il “rischio acqua” per una serie di prodotti finanziari.

L’obiettivo è quello di trainare gli iceberg che navigano liberamente nel Nord Atlantico verso il sito operativo in Scozia, dove saranno trasformati in ghiaccio e acqua e poi trasportati nei mercati di sbocco: Africa e Medioriente. Un progetto prima di tutto umanitario, nelle intenzioni degli ideatori, visto che evita l’innalzamento dei mari provocato dal libero scioglimento dei ghiacci, e contemporaneamente provvede alla grande sete di oltre due miliardi di persone, rispondendo quindi agli obiettivi numero 6 e numero 13 dello Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Ma anche un progetto con un suo senso economico-finanziario, visto che il mercato stima che un dollaro investito in acqua potabile può rendere da 3 a 34 dollari.

Il secondo progetto si chiama SKYH2O ed è basato sulla tecnologia di una impresa californiana che ha inventato un sistema per estrarre su scala industriale acqua dall’atmosfera. La macchina, una specie di grande deumidificatore, sarebbe in grado di produrre 10 mila litri di acqua potabile al giorno e funzionare per 25 anni. Concorrente, nelle intenzioni, di impianti di desalinizzazione o distillazione, ma certo dipende dalla localizzazione.

Tutta questa evoluzione tecnologica porterà, inevitabilmente, a spostare l’acqua da bene pubblico oggetto di una sorta di diritto sociale, a prodotto economico. E al suo decollo come asset ci saranno meno ostacoli.