Uno studio della Bis indaga sulle cause e le conseguenze della nuova relazione tra l'andamento del dollaro e quello delle materie prime: fino a ieri se il primo saliva le seconde scendevano, ora crescono insieme
Il rapporto che per lungo tempo ha regolato la relazione tra il dollaro e l’andamento dei prezzi delle commodity è cambiato. Per la prima volta, il comportamento della valuta americana e le quotazioni delle materie prime, che sono in gran parte quotate in dollari, hanno invertito la marcia: invece di muoversi in direzione opposta – quando il dollaro saliva le commodities scendevano – ora si muovono in tandem e salgono insieme.
L’osservazione di questo fenomeno è un nuovo rompicapo per gli economisti, che vedono trasformarsi sotto i loro occhi schemi che si credevano immutabili. Lo analizza un articolo del bollettino della BIS , la Banca per i Regolamenti Internazionali, che osserva che il cambio della correlazione – da negativa a positiva – dei due andamenti si è riscontrata sia nel 2021 che nel 2022, e riguarda non solo le materie prime energetiche direttamente coinvolte dalla guerra, ma anche le altre.
La novità ha certamente delle ragioni contingenti, come la corsa al dollaro per far fronte al boom dei prezzi delle commodities a causa della guerra, e per la ricerca di un safe heaven mentre l’inflazione scatenava il rialzo dei tassi. Eppure in periodi di crisi similari, come le due Guerre del Golfo e la Grande crisi finanziaria, la relazione classica dollaro in discesa con i prezzi del petrolio in salita, non era mai cambiata.
Ci devono essere quindi delle regioni strutturali, dice il paper Bis. E le indica nel fatto che gli Usa si sono trasformati da importatori di materia prima energetica in esportatori.
Dall’inizio dell’estrazione dello shale gas, cioè dal 2010 in poi, la produzione di gas e petrolio made in Usa è molto cresciuta, trasformando il paese in un esportatore netto. La guerra Russia Ucraina ha rafforzato il trend, fino a spingere gli Usa a sorpassare, nel gas liquefatto, il Qatar e l’Australia. Anche qui si è prodotto un cambiamento: le ragioni di scambio degli Usa subivano storicamente un peggioramento quando i prezzi delle commodities salivano, ora invece migliorano.
Il cambio della relazione commodity-dollaro ha effetti soprattutto sull’economia globale: per via del rincaro delle commodities, su quella porzione di mondo che è importatore di materia prima, per via del rincaro del dollaro, sulle economie emergenti. Innescando su entrambi i fronti un effetto stagflazione: la bestia nera fatta di crescita debole più alta inflazione, assai difficile da sgominare.
La storia non si ferma qui. Perché il paper disegna anche quali mutazioni si possono determinare nel lungo termine. La prima considerazione è che, se le nuova relazione dollaro-commodities dovesse durare, potrebbe impattare sulla stabilità dell’impalcatura finanziaria macro perché aumenta la volatilità e diminuisce la capacità di intervento quando condizioni finanziare e policy monetarie e fiscali sono in disequilibrio.
L’altro fronte colpito dal nuovo ruolo degli Usa come esportatore netto di energia è il regime del petrodollaro. Regime che per decenni ha permesso ai grandi produttori di scambiare il proprio petrolio in dollari, reinvestendone parte dei proventi in titoli del Tesoro Usa (rafforzando così lo status del dollaro come riserva internazionale).
Ora ci sono già i segnali di un cambio di passo. I maggiori paesi del Golfo hanno ridotto gli investimenti nel debito Usa e non perché incassino di meno, ma perché parte delle loro esportazioni di petrolio hanno abbandonato il dollaro e si svolgono in altre valute, tanto è vero che le riserve globali in valuta registrano una quota di dollari che non è mai stata così bassa negli ultimi trent’anni. Si vedrà con il tempo che cosa vuol dire la diminuzione della quota di petrodollari nel sistema. E come potrà ancora cambiare il ruolo del dollaro a livello globale.
P.P.