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La sfida più grande? La disclosure dei costi

Al check-up di un anno di vita, il giudizio della Consob sulla Mifid II è favorevole, afferma il commissario Carmine Di Noia. E non c’è fretta di rimetterci le mani. Perché se il primo obiettivo della direttiva è di tutelare meglio gli investitori, i risultati già si vedono. Sono stati vietati alcuni strumenti di trading come le opzioni binarie. I requisiti di conoscenza del personale degli intermediari sono stati messi in chiaro. Le informative ex ante ai clienti sui costi sono già attive. Ci vorrà invece più tempo per ottenere quelle del primo consuntivo sui costi complessivi del servizio e dei prodotti. Intanto, i connotati del mercato, con la nuova regolamentazione, stanno già cambiando…

parla Carmine Di Noia, Consob

In vigore dall’inizio del 2018, che effetti concreti ha già avuto la Mifid 2 sull’Italia?

L’obiettivo di Mifid2 è quello di innalzare il livello di tutela degli investitori, alla luce anche dei limiti della normativa previgente evidenziati dalla crisi finanziaria.

Le disposizioni di maggior impatto in termini di rafforzamento della protezione dei clienti sono, anche a livello nazionale, quelle relative al cosiddetto governo dei prodotti, la product governance. La finalità è di “anticipare” la cura dell’interesse del cliente alla fase antecedente all’immissione sul mercato dei prodotti finanziari, così da assicurarne la coerenza con le caratteristiche e le esigenze della clientela target già dal momento della loro progettazione.

Mifid2 attribuisce, inoltre, alle Autorità anche poteri di intervento diretto sui prodotti. Dal punto di vista dei clienti retail il primo effetto concreto lo si è visto con l’intervento dell’Esma che, in stretto coordinamento con le Autorità nazionali, ha bloccato la distribuzione delle opzioni binarie (uno strumento di trading legato all’opzione che accada o non accada una certa cosa, ndr.) e ha limitato quella dei contract for difference (uno strumento derivato che opera sulle differenze di prezzo dei contratti, ndr.), considerati pregiudizievoli per la tutela degli investitori.

Un’altra area d’innovazione è la maggiore trasparenza informativa per i clienti con riferimento ai costi caricati dagli intermediari, per consentire scelte di investimento più consapevoli.

Viene infine rafforzata la valutazione di adeguatezza, richiedendo agli intermediari confronti fra i prodotti consigliati nell’interesse della clientela.

 

La Consob ha monitorato il mercato in questo primo anno di trasformazione? Possiede dei dati utili a illustrare cosa è accaduto finora?

Il monitoraggio è partito ben prima che la nuova normativa fosse applicata. Per agevolare le funzioni di controllo del mercato, la Consob ha poi sollecitato gli intermediari, con una Comunicazione del marzo 2018, ad integrare la relazione annuale sui servizi con dettagli circa gli interventi realizzati o programmati nella prospettiva di adeguamento alla Mifid2.

I processi messi in atto dall’industria finanziaria continuano ad essere sotto la nostra lente di osservazione. Intendiamo assicurare la conformità delle soluzioni adottate dagli operatori in sede d’implementazione della disciplina.

Al tempo stesso vogliamo anche individuare i profili di maggiore difficoltà applicativa o interpretativa, così da poter valutare, se del caso, eventuali misure d’indirizzo a livello nazionale ed europeo. Come ad esempio abbiamo fatto lo scorso ottobre con alcuni chiarimenti pubblici in materia di requisiti di conoscenza e competenza del personale degli intermediari.

È opinione diffusa all’estero che la Mifid2 abbia complicato, più che regolato il mercato. Anzi, che abbia per ora fallito la sua missione. Qual è la sua posizione?

Mifid2 vuol essere proprio la risposta del legislatore europeo ai fallimenti della normativa previgente in materia di servizi d’investimento. L’obiettivo viene perseguito attraverso la definizione di regole più stringenti e di maggior dettaglio. È dunque possibile, ed è stato riscontrato, che ci sia una certa complessità applicativa. Tuttavia la nuova disciplina è in vigore da appena un anno. È ancora presto per tirare un bilancio sulla reale efficacia.

Qual è l’impegno più difficile da mettere in pratica per le nostre imprese finanziarie?

L’area che appare come una maggiore sfida per gli operatori, non solo a livello nazionale, resta quella legata all’implementazione dei dettagliati obblighi di disclosure sui costi. Questo anche a causa degli investimenti, alquanto significativi, che ciò comporta. I flussi informativi tra gli intermediari produttori e i distributori devono essere reimpostati. Gli operatori italiani, comunque, sono abituati da tempo al pressing della Consob per il rafforzamento delle tutele degli investitori. Basti pensare alla Comunicazione del 2009 sui prodotti finanziari illiquidi e a quella del 2014 sui prodotti complessi.

Con l’inizio del 2019 la trasparenza e la standardizzazione dei costi da parte degli intermediari dovrebbe essere stata messa a punto. È davvero così? Quando avverrà la notifica ai clienti? E a tutti, cioè dettaglio e istituzionali, oppure solo ad alcuni?

In materia di trasparenza sui costi e di oneri degli investimenti Mifid2 prevede innanzitutto un obbligo di informativa ex-ante, ossia in tempo utile prima della prestazione del servizio d’investimento, dei complessivi costi sottesi all’operazione. In questo modo i clienti possono fare confronti e prendere decisioni consapevoli. Sono disposizioni applicabili dal 2018. I clienti, quindi, già ricevono per ogni operazione informazioni sui costi della transazione.

Gli intermediari sono tenuti anche a dare informazioni ex-post sui costi di servizio e di prodotto complessivi. La reportistica ai clienti deve avere cadenza almeno annuale. Non è però stabilito un termine perentorio entro cui deve essere fornita. È un’informativa che risulta in corso di formalizzazione da parte degli intermediari, secondo tempistiche in via di definizione presso i diversi operatori. Presumibilmente sarà data nei primi mesi del 2019.

Tra le innovazioni introdotte da Mifid2 c’è inoltre il dovere di disclosure sui costi anche nei confronti dei clienti non al dettaglio, sia pure con qualche semplificazione. La crisi finanziaria ha evidenziato, infatti, l’esigenza di una più completa informativa anche a favore dei clienti professionali e delle controparti qualificate.

A livello di associazioni di categoria sono stati realizzati interventi volti a favorire la standardizzazione e la comparabilità dell’informativa aggregata sui costi e sugli oneri dei servizi prestati, che gli intermediari sono tenuti a fornire alla clientela. L’industria dei produttori ha elaborato, per esempio, il cosiddetto European Mifid Template, l’Emt, uno strumento per facilitare e standardizzare il flusso informativo con gli intermediari distributori. L’intento è quello di assolvere ai nuovi obblighi normativi non solo in materia di costi e oneri, ma anche di product governance.

Per molti osservatori il cosiddetto unbundling dei costi della ricerca da quello dell’esecuzione dell’ordine, che doveva dare una informazione chiara al cliente del costo del servizio che stava usando, è diventata un boomerang: ha tagliato drasticamente (si dice anche del 70 per cento) la spesa degli intermediari nell’analisi. Ha messo sul lastrico molti analisti. Ha ridotto la qualità dell’analisi stessa. Ha tagliato le gambe agli analisti indipendenti. Che ne pensa?

Nelle intenzioni del legislatore europeo l’obbligo dell’unbundling rispetto ai costi degli altri servizi erogati dal prestatore della ricerca, tipicamente il broker che si occupa anche dell’esecuzione degli ordini per conto degli stessi utilizzatori della ricerca, persegue un obiettivo di trasparenza. Al tempo stesso intende anche indirizzare gli operatori verso il rispetto dei più generali doveri di correttezza nel rapporto con i clienti, ivi inclusi quelli di best execution. Gli obiettivi restano validi. È vero anche che l’esperienza maturata nella prima fase di applicazione può fornire spunti utili per rimediare a eventuali effetti collaterali indesiderati, come quelli citati. Andranno considerati nel loro complesso, tenendo conto dei costi, ma anche dei benefici.

La Mifid2 potrebbe essere un incentivo al consolidamento del mercato. Questo perché i costi che impone sono troppo alti. È un processo già in corso?

Il consolidamento è in atto già da tempo. Tra il 2011 e metà 2018 il numero delle banche autorizzate alla prestazione dei servizi d’investimento è sceso in Italia da 676 a 460. A monte di questo processo c’è l’esigenza di raggiungere sempre più elevati livelli di efficienza e redditività attraverso economie di scala e di scopo. I costi della regolamentazione sono solo uno dei driver di questa evoluzione.

Pensa che dopo il periodo di grazia del primo anno di vita sulla Mifid2 si possa riaprire il cantiere per introdurre delle modifiche, come chiedono per esempio i francesi? Qual è a questo proposito la posizione della Consob?

Prima di avviare la revisione di Mifid2, è opportuno attendere un consolidamento dei processi in corso e verificare sul campo gli effetti concreti della nuova disciplina. Solo così sarà possibile una valutazione complessiva dei costi e dei benefici in vista di eventuali nuove modifiche normative. Non ci dimentichiamo che l’incessante riscrittura delle regole costituisce di per sé un fattore di incertezza per l’industria e comporta spesso anche un incremento dei costi.

Come regolatori siete soddisfatti del cammino fatto in Italia? Che voto darebbe?

Il giudizio, nell’insieme, non può che essere favorevole. Gli obiettivi di Mifid2 restano condivisibili. Il percorso tracciato va nella direzione di una sempre maggiore convergenza a livello europeo nell’interpretazione e applicazione di queste regole. Non per niente Consob è sempre più attiva sia nei processi di definizione delle regole, di rango primario e secondario, sia in fase interpretativa attraverso l’interazione con l’Esma e le altre Autorità europee.

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