MERCATI
La sfida dollaro-oro

Le commodities sono sempre più asset strategici. Ecco i segnali di un cambio di mentalità nel settore delle materie prime a livello mondiale

P.P.

La fuga dall’oro, la cui quotazione è rapidamente scesa nelle ultime settimane sotto il 1.800 dollari l’oncia, livello considerato una barriera invalicabile, è solo uno degli elementi che fa parlare di un “cambio di mentalità” nel settore delle commodities.

In che cosa consiste? Nel fatto che materie prime energetiche, merci agricole, metalli preziosi, sono sempre meno delle “commodities”, merci fruibili sul mercato, e sempre più degli “asset strategici” la cui disponibilità dipende da fattori extra-mercato: nel caso del gas, un asset indispensabile per l’Occidente per perseguire la transizione verde, ma anche asset-arma di ricatto e di nuove alleanze per la Russia; nel caso dell’oro, non solo un bene rifugio ma un mezzo utilizzato delle banche centrali di molti paesi, soprattutto emergenti, per ridurre gli asset in dollari e la dipendenza dalla politica monetaria Usa, nonché la loro vulnerabilità da eventuali sanzioni occidentali in economia.

È il quadro che emerge da una analisi dell’Ufficio studi di IntesaSanPaolo, che per il secondo semestre dell’anno mette in evidenza tre fattori base: la guerra in Ucraina; le elezioni di mid-term negli Usa; il 20° congresso nazionale del Partito comunista cinese.

Il primo fattore non dovrebbe presentare novità fino all’autunno. Il secondo fattore influirà sulla determinazione della politica americana sui vari fronti geopolitici; il terzo segnerà la traiettoria del gigante asiatico in termini diplomatici a favore della pace, per tutelare i propri interessi sulla via della Seta e in difesa del mercato europeo.

Questi fattori potrebbero ridare vitalità al settore delle materie prime e incidere sulle quotazioni, previste sempre in tensione. Ma non influire sul cambio di mentalità, che si è già verificato e rimarrà la tendenza di fondo negli anni a venire. La stretta monetaria in atto da parte delle banche centrali per combattere l’inflazione e l’aumento dei tassi favoriranno il corso delle materie prime, e i paesi in via di sviluppo accumuleranno materie prime come strategia per diventare, o restare, fornitori a lungo termine delle stesse. Ci sarà, insomma, un travaso di ricchezza e anche una accentuata de-dollarizzazione.

A soffrire di più della rivalutazione del dollaro causata dalla stretta della Fed e dall’aumento dei rendimenti dei Treasury, saranno i metalli preziosi come l’oro. Lo scoppio della guerra aveva prodotto una corsa verso i beni rifugio, ma ben presto le quotazioni hanno lasciato i picchi raggiunti e sono scese fino a far pensare a un cambio di trend.

Le cause sono molteplici. È diminuito l’acquisto di oro da parte delle banche centrali nei primi mesi dell’anno (del 29 per cento), ed è anche anche diminuito l’acquisto di oro per la gioielleria, sia in Cina che in India. Ma è soprattutto l’oro “finanziario” che ha determinato il crollo sotto la barriera dei 1800 dollari l’oncia: gli Etf con oro fisico sottostante hanno prima trainato le quotazioni oltre i 2000 dollari l’oncia, poi hanno smobilitato le loro posizioni quando la risalita dei tassi era cosa assodata.

Le previsioni di Intesa sulle quotazioni dell’oro in prospettiva sono però ottimistiche. Potrebbero riprendere vigore, dice l’analisi della banca, sia perché i timori inflazionistici possono sostenere la voglia di lingotti e monete, sia per i nuovi acquisti da parte di alcune banche centrali in chiave di diversificazione rispetto al dollaro. Unico rischio? Un eccessivo rafforzamento del dollaro, che finirebbe per scombinare tutte le previsioni.