approfondimenti/politica economica
La sfida delle riforme

L’economia italiana mostra segnali di ripresa incoraggianti e l’inflazione rimane sotto controllo. Tuttavia, la riduzione della pressione fiscale, necessaria per la competitività delle aziende e per sostenere i consumi delle famiglie, non può essere realizzata senza interventi di contenimento e di rimodulazione della spesa pubblica, che consentano anche la ripresa di investimenti produttivi in infrastrutture e in capitale umano. La riforma degli enti locali e della giustizia civile è tuttora in corso. La spesa pensionistica rimane elevata e non consente politiche di diverso sostegno “sociale”. Il rientro da un debito eccessivo è questione che balzerà al primo posto finito il QE e richiede anche di riprendere seriamente una politica di liberalizzazioni, dismissioni e privatizzazioni. Nel contesto di una ripresa che va rafforzandosi, non bisogna dimenticare che la sfida delle riforme rimane ancora da combattere e da vincere.

Giorgio Di Giorgio
DiGiorgio

La fine dell’estate ha portato segnali incoraggianti per l’economia italiana, che sembra finalmente aver “agganciato” il treno della ripresa, che viaggia già da inizio anno negli altri paesi dell’Eurozona e consente di stimare un tasso di crescita per l’area, nel 2017, in linea o forse anche superiore a quello degli Stati Uniti. Una altra notizia è che il rapido rafforzamento dell’euro sul dollaro sta contribuendo a contenere la risalita del tasso di inflazione verso il livello obiettivo della BCE, moderando gli umori dei “falchi”, che prima dell’estate già suggerivano un abbandono anticipato dell’espansione quantitativa. Questo conferma la validità di un approccio prudente da parte del Presidente della BCE, che continua a sostenere la necessità di proseguire con una politica monetaria accomodante, centrata su livelli dei tassi di interesse di policy ancora a lungo molto bassi, almeno fino a quando ritmi adeguati di sviluppo dell’economia reale si accompagneranno a miglioramenti strutturali sul mercato del lavoro. Quest’ultimo risulta infatti caratterizzato da una dinamica positiva dell’occupazione ma da tassi di disoccupazione ancora elevati a causa anche del mismatch di skills esistente tra offerta e domanda di lavoro in un contesto in cui profonde modifiche nei sistemi produttivi, sia nel settore manifatturiero che in quello dei servizi, sono indotte dal processo di innovazione tecnologica.

La combinazione di politiche monetarie accomodanti e di una dinamica macroeeconomica più vivace non deve però far dimenticare che, con una probabilità elevata, il programma di espansione quantitative della BCE terminerà comunque, come pianificato, a dicembre. Le implicazioni sui mercati obbligazionari dovrebbero essere quelle di una riduzione dei corsi dei titoli e di un aumento nei rendimenti, in particolare sulle scadenze governative più lunghe, ma anche nel settore corporate. Occorreranno nervi saldi e maturità degli operatori e grandi capacità di fine tuning da parte delle autorità per far si che la transizione dal “new normal” al vecchio mondo non si accompagni a eccessi di nervosismo e di volatilità che potrebbero innescare spillovers negativi (e forse ingiustificati) anche sui mercati azionari. Questi sono sui massimi, negli USA, ma non incoerenti con la dinamica positiva dei profitti, mentre sia in Europa che in Giappone esistono ancora buone opportunità di espansione.

La fine del QE, per l’Italia, riporterà in evidenza il tema, troppo spesso accantonato, dell’eccesso di debito pubblico. Il risparmio in conto interessi         degli ultimi due anni, importante e del quale ancora beneficeremo per i prossimi due o tre, data la vita media residua del nostro debito, non è stato sin qui sfruttato per generare avanzi primari più consistenti. Le politiche di contenimento della spesa primaria (la cosiddetta spending review), nei fatti, non hanno raggiunto gli obiettivi che erano stati indicati da Carlo Cottarelli quando era Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica; questo è avvenuto anche per scelte politiche condivisibili, come la riduzione del prelievo fiscale sui redditi più bassi (gli 80 euro in più al mese) che, pur iniziando oggi a manifestare effetti positivi sul consumo, mantengono il disavanzo a livelli più elevati rispetto a quanto compatibile con una riduzione più rapida del rapporto debito/PIL. Ma soprattutto per alcune scelte coraggiose rinviate troppo a lungo di riallocazione della spesa.

Nessuno pensa a proporre drastiche misure di austerità, ma occorre sottolineare che con un rapporto superiore al 130 per cento, il rischio di riprendere un sentiero pericoloso a seguito di aumenti (non imminenti, ma che prima o poi si verificheranno) nei tassi di interesse rimane elevato. La riduzione della pressione fiscale, necessaria per la competitività delle aziende e per sostenere i consumi delle famiglie, non può essere realizzata senza interventi di contenimento e di rimodulazione della spesa pubblica, che consentano anche la ripresa di investimenti produttivi in infrastrutture e in capitale umano, due dei settori più penalizzati nell’ultimo decennio. La riforma degli enti locali è rimasta incompiuta, permangono eccessivi livelli decisionali e proliferano centri di spesa e di inefficienze che ostacolano l’ammodernamento del Paese. Una burocrazia pesante impone tempi lunghi e incerti alle autorizzazioni necessarie per intraprendere opere ed attività utili. Una giustizia, in particolare amministrativa, ma anche civile, ossessionata dal rispetto dei cavilli formali sacrifica troppo spesso la “sostanza” dei fatti e dei comportamenti su cui si esprimono i giudici, peraltro al termine di dibattimenti, istruttorie e processi che continuano a richiedere tempi di circa 3 volte superiori a quelli medi dei nostri partner in Europa. La spesa pensionistica rimane elevata e non consente politiche di diverso sostegno “sociale” quali interventi a favore dei giovani che faticano a entrare nel mondo del lavoro e dei poveri. Onestamente, l’ultima “mancia” in tema di pensioni elargita prima del referendum e l’assurdo e anacronistico ritorno del dibattito sull’anticipo dei termini per il pensionamento, non si comprendono affatto. Così come non è comprensibile assistere al mantenimento in vita di organismi inutili o dannosi, quali ormai è possibile definire diverse società pubbliche locali in dissesto. Il rientro da un debito eccessivo richiede anche di riprendere seriamente una politica di liberalizzazioni, dismissioni e privatizzazioni che non deve classificarsi di destra o di sinistra, ma essere semplicemente ispirata dall’obiettivo di consentire una vita più facile e servizi migliori ai cittadini e alle imprese del Paese. Ovviamente, nell’ambito di regole ben scritte e sottoposte al controllo di una amministrazione moderna ed efficiente.

Anche nel contesto di una ripresa che va rafforzandosi, non bisogna dimenticare che la sfida delle riforme rimane ancora da combattere e da vincere.