Giorgia Meloni imboccherà la strada della riforma presidenziale subito, o preferirà lavorare sul proprio consolidamento per vincere le prossime elezioni? Ecco pro e contro dei diversi scenari
A fine anno, di solito, è il momento dei bilanci, particolarmente importanti per una democrazia che è rimasta sbilanciata ormai per più di trenta anni, dalla caduta del muro di Berlino (1989), che ha coinciso con l’inchiesta ‘Mani Pulite’ e il terremoto partitico dei primi anni Novanta. La fine d’anno è anche il momento in cui si cerca l’impossibile: prevedere quello che ci aspetta.
Tolstoj aveva dato un titolo significativo a una sua novelletta: “Agli uomini non è permesso conoscere il futuro”, ma gli uomini non solo ignorano questa massima, ma fanno di tutto per sapere quello che li aspetta, magari per anticiparlo. Dunque, sembra inevitabile chiedersi: che avverrà alla democrazia italiana dopo la vittoria della coalizione di destra-centro, condotta da Giorgia Meloni? Quali direzioni prenderà?
All’inizio degli anni Novanta era finito il periodo di stabile instabilità assicurato dalla Democrazia Cristiana, sempre al governo in posizione pivotale all’interno di una democrazia quasi-consensuale. Ed era iniziata una lunghissima transizione, caratterizzata da una continua, stabile instabilità in cui per la prima volta vi erano alternanze al governo tra partiti e coalizioni diverse, ma in cui l’instabilità era resa innocua dall’essere in Europa, pur senza mai giungere a soluzioni maggioritarie che alcuni volevano e altri fortemente temevano.
In questi trenta anni, i momenti di entusiasmo, attese e speranze, registrate dai sondaggi, sono stati soprattutto due: con Berlusconi e Forza Italia! nel 1994 e Renzi nel 2014. Ma entrambi questi momenti, anche protratti, sono stati seguiti da delusioni, distacco dalla politica, insoddisfazione e protesta.
Ora dopo il succedersi l’una dopo l’altra di quattro crisi – la Grande Recessione (2008-14), la crisi immigratoria (2015 e dopo), la pandemia (2020-21), l’invasione russa dell’Ucraina (2022) con le conseguenti emergenze energetiche e l’inflazione – che hanno cambiato diversi aspetti sia dell’Europa che dell’Italia, la vittoria della coalizione di destra-centro è sostenuta da una crescita della soddisfazione dei cittadini negli ultimi mesi, registrata dai sondaggi. Si sono create per la terza volta negli ultimi trenta anni aspettative speranze? Potrebbe essere una svolta, ma sarebbe importante sapere/capire in che direzione.
Dal punto di vista delle politiche, potrà cambiare ben poco. Lo si è visto con le marce indietro fatte dal governo nella legge di bilancio dopo le osservazioni della Commissione europea, ad esempio, su condono fiscale e limiti dell’uso dei contanti, anche se alla fine qualcosa di probabilmente non gradito dalla Commissione è rimasto. È noto che proprio per il suo enorme debito estero l’Italia è una sorvegliata speciale in Europa ed ha minimi margini di manovra. Qualsiasi sgarro non verrà punita dall’Unione europea, ma ancora prima dai mercati.
È ovvio allora pensare che il cambiamento verrà dalla politica, promuovendo la svolta tanto attesa in senso maggioritario? Se sarà così, lo capiremo quasi subito. Infatti, se venisse imboccata questa via, sarebbero secondarie tutte le nomine di sottogoverno da fare nei prossimi mesi. E già nel corso dei primi mesi del 2023 si imboccherebbe la riforma presidenziale, che metterebbe i primi importanti paletti in direzione maggioritaria, magari insieme a una revisione della riforma della giustizia per rendere meno indipendenti specie i vertici del sistema giudiziario, quelli più politicamente rilevanti.
Se invece si trovassero resistenze non superabili, nella società civile prima ancora che in parlamento, la prudente Meloni farà quello che la gran parte dei leader fa dopo elezioni nettamente vittoriose. Cioè usare il potere e le maggioranze parlamentari acquisite per porre le basi per vincere le elezioni successive, stabilizzando così la propria posizione. In questa prospettiva, quindi, quelle del settembre 2022 diventerebbero ‘elezioni critiche’, cioè elezioni che sono poi seguite da almeno altre due o tre tornate elettorali vincenti per la coalizione di destra-centro.
Dopo circa trenta anni di sostanziale stallo, quali sono le probabilità che passi la prima soluzione, il cambio in senso maggioritario? E quali le probabilità che passi la seconda? Ovvero una terza, prosieguo dello stallo? Il fattore decisivo che può escludere la terza soluzione è la tenuta della coalizione, ed è dunque nelle mani di Salvini e Berlusconi, rispetto ai quali la premier ha l’ulteriore vantaggio che i primi due leader hanno posizioni e interessi diversi tra loro.
La realizzazione del primo scenario è più complessa e difficile del secondo. Oltre l’accordo all’interno della coalizione, che in questo caso sarebbe pressoché scontato, ci vorrà il sostegno degli elettori in sede di un assai probabile referendum, e in questo caso ci potrebbe essere una mobilitazione cittadina, come quella dei primi anni Cinquanta dello scorso secolo sulla riforma elettorale diventata nota come ‘legge truffa’, oppure quella contro la riforma Renzi del dicembre 2016.
Se questi ragionamenti sono corretti, il secondo scenario, la stabilizzazione del potere della destra-centro con un prolungamento dell’attuale situazione di mix proporzionale/maggioritario, rimane quello più probabile, tutto basato sulla prudenza e abilità della Meloni anche di indebolire i suoi partner di governo. In questo quadro, le politiche sulla povertà e sulla riduzione delle disuguaglianze inevitabilmente sarebbero messe in un angolo, ovvero dimenticate. Sarà proprio così?