Il Principe

di Leonardo Morlino

La riforma del premierato. Che cosa c’è dietro?

Quale che sia la riforma che sarà approvata, porterà a un passaggio verso una democrazia maggioritaria, con politiche moderate e maggiore spazio alla protesta. Nell'analisi del politologo, lo scenario a cui andiamo incontro

Leonardo Morlino
MORLINO

Come atteso, la Presidente del Consiglio ha tutte le intenzioni di portare in fondo una riforma istituzionale rilevante e caratterizzata dall’elezione diretta del primo ministro. La prima formulazione è stata molto criticata dagli esperti e sembra avere oppositori anche all’interno della maggioranza di governo. In breve, non sappiamo quale sarà la versione finale della riforma. Ad esempio, sarà decisiva la legge elettorale che regolerà l’elezione del primo ministro e del parlamento.

Un punto, però, è evidente e va capito bene nelle sue caratteristiche e nelle sue conseguenze. Quale che sia la riforma che sarà approvata, porterà a un passaggio verso una democrazia maggioritaria. Che vuol dire? Con quali conseguenze?

Vi sono diversi modi di distinguere tra le democrazie. Rimanendo sul piano giuridico-formale, è nota la distinzione tra democrazie presidenziali, semipresidenziali, semiparlamentari e parlamentari. Sul piano sostanziale, la distinzione più nota e ricorrente è tra democrazie consensuali e democrazie maggioritarie. Il principio distintivo di fondo è che nelle prime il modo di governare e il relativo processo decisionale sono il risultato di regole che alla fine promuovono accordi e compromessi tra diverse forze politiche; nelle seconde si crea una stretta maggioranza che governa tutto il processo decisionale. Le prime sono caratterizzate da sistemi elettorali proporzionali e rilevanza del parlamento. Le seconde da sistemi maggioritari e forme diverse di presidenzialismo o premierato forte non elettivo.

A proposito va ricordato che il paradosso della democrazia è che assetti consensuali sono più adatti a governare società frammentate e divise tra forze anche ideologicamente distanti. Solo simili assetti istituzionali, che spingono alla ricerca di accordi e di soluzioni di compromesso, anche se meno efficienti dal punto di vista decisionale, permettono che la convivenza non si trasformi in qualcosa di simile a una guerra civile per eccesso di radicalizzazione tra le forze politiche.

Assetti maggioritari sono molto efficienti sul piano decisionale, ma alla fine funzionano meglio solo quando le società che governano non hanno divisioni profonde, ovvero, se ce l’hanno, queste divisioni rimangono latenti. Si può pensare alla conseguenze della forte polarizzazione negli USA, che ha appunto in larga misura regole maggioritarie a livello federale.

Va aggiunto che, a parte una sola eccezione, davvero straordinaria – il passaggio tra la Quarta Repubblica francese e la Quinta sotto la spinta determinante di De Gaulle nel 1958 – non ci sono esempi di passaggio tra democrazie consensuali e maggioritarie. Senza scendere in dettagli, qui non necessari, quando percorsi in questo senso sono iniziati in altri paesi, si sono fermati e tornati indietro.

Fino ad oggi l’Italia, il cui disegno costituzionale è consensuale, con i due tentativi falliti di Berlusconi nel 2006 e Renzi nel 2016, non ha fatto eccezione.  È probabile che questo altro tentativo della Meloni dia esiti simili se, come sembra molto probabile, la riforma sarà approvata a maggioranza assoluta dalle forze governative in parlamento e, dunque, non avendo avuto la supermaggioranza richiesta dall’art. 138 della Costituzione, dovrà essere sottoposta a referendum con l’alta probabilità che ci siano gli stessi esiti dei due precedenti referendum appena citati.

Che vuol dire, più in concreto, avere un sistema maggioritario, se mai verrà? Ricorderei solo tre aspetti. Innanzi tutto, salvo casi peculiari ed eccezionali, le campagne elettorali si indirizzeranno verso un elettore mediano moderato, oltre gli elettori già identificati con il partito del candidato o con gli altri partiti che lo sostengono. Dunque, l’attenzione sarà verso politiche economiche moderate, non orientate alla riduzione delle disuguaglianze.

Secondo, si creerà inevitabilmente uno spazio maggiore per la protesta e la formazione di movimenti sociali, espressione delle minoranze non rappresentate e rimaste, quindi, emarginate nei processi decisionali maggioritari. Infine, nel tempo si può prevedere una maggiore affermazione dei poteri economici forti all’interno di quel sistema di potere maggioritario.

Ma ci si può aspettare anche una politica maggiormente responsabile che si allontani dalle promesse mirabolanti proprie di leader neo-populisti che poi spesso vorranno mantenerle con risultati economicamente disastrosi? Poiché nel quadro competitivo proprio di una democrazia anche l’opposizione ha la sua parte e inevitabilmente le campagne elettorali porteranno a sovra-promettere, occorre semplicemente riconoscere che, consensuale o maggioritaria, qualsiasi democrazia contemporanea è esposta ai pericoli del neo-populismo, in un contesto definito da cittadini insoddisfatti ed alienati.

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