ARCA FONDI OSPITA ECONOMIA ITALIANA
La revisione del Patto di stabilità è di buon senso

intervista a Lorenzo Codogno

Il debito italiano e la sua sostenibilità. La lezione della Gran Bretagna. Le regole dei mercati finanziari. L'approvazione del Mes. Parla il curatore - insieme a Pietro Reichlin - del quaderno Rethinking Debt Sustainability?

Giovanni Parrillo

Questa intervista con Lorenzo Codogno, London School of Economics, affronta diverse questioni cruciali sul debito pubblico e sullo sviluppo economico. La proponiamo in occasione della presentazione dell’ultimo volume di “Economia Italiana”, intitolato Rethinking Debt Sustainability?, coordinato da Codogno assieme a Pietro Reichlin della Luiss e dedicato al tema della sostenibilità del debito pubblico. Il volume che è stato presentato a Milano presso Arca Fondi .

Prof. Codogno, il tema del debito è di estrema attualità, il nuovo corso della politica monetaria rende l’onere molto più pesante per tutti, ma soprattutto per chi è più indebitato come l’Italia. Il lavoro da voi curato per Economia Italiana raccoglie saggi scritti in un momento in cui molte convinzioni sui benefici delle attuali politiche fiscali e monetarie potrebbero cambiare a causa dei rischi associati alla crisi energetica, alla guerra in Ucraina, al ritorno dell’inflazione e alla transizione verde. Il volume affronta molte questioni circa la sostenibilità del debito, il finanziamento pubblico della transizione ecologica, la posizione dei paesi emergenti. Delle tante questioni le chiediamo un punto rapido su una: come dovremmo considerare la revisione del Patto di stabilità e crescita nell’Unione europea?

«Quello attuale è un punto di svolta fondamentale. Sino ad un paio di anni fa, un elevato debito pubblico si abbinava a tassi di interesse storicamente molto bassi. Adesso vi è il rischio di uno slittamento di aspettative sull’inflazione e sul costo di finanziamento del debito che può improvvisamente peggiorare le dinamiche attese sul rapporto debito/PIL e minare la sostenibilità agli occhi dei mercati finanziari, con conseguenze che sarebbero immediate. L’Italia entrerebbe in un ‘bad equilibrium’, dal quale poi sarebbe difficile uscire. Fortunatamente, c’è stato un segnale molto forte, per il nuovo governo italiano, proveniente dal Regno Unito. Una politica espansiva soltanto annunciata dal governo inglese e non coerente con la necessità di ridurre il debito pubblico, ha portato a forti tensioni sui mercati finanziari, a cui ha dovuto rispondere la Bank of England. Il primo ministro Liz Truss ha poi dovuto dare le dimissioni. Questo evento ha probabilmente convinto il nuovo governo italiano ad evitare ogni rischio e confermare la politica di prudenza del governo Draghi. Il messaggio è stato semplice: quello che conta sono le aspettative dei mercati finanziari sulle dinamiche future del debito. Se queste aspettative cambiano repentinamente, anche la percezione sulla sostenibilità e quindi anche i premi al rischio sui tassi di finanziamento del debito cambiano. In questo quadro, una revisione delle regole fiscali europee, per renderle più ragionevoli e anche più credibili le politiche di bilancio, può rappresentare un tassello importante per ancorare le aspettative dei mercati e quindi ridurre i rischi sulla sostenibilità del debito. La proposta della Commissione sembra di buon senso, e con quale ritocco penso che alla fine sarà accettata da tutti i paesi».          

Dopo l’incontro in gennaio tra vertici del Mes ed esponenti del governo italiano, il Meccanismo Europeo di Stabilità si avvia alla ratifica anche da parte dell’Italia, ultimo paese a dover ancora approvare il trattato. Si tratta di un passo importante che –  pur destando perplessità per la verifica della sostenibilità del debito che un eventuale ricorso al Fondo comporta (finora nessun paese UE ha fatto ricorso al vecchio MES) – rafforza i meccanismi di difesa dell’euro. Come vede la situazione?

«Mi pare che il nodo sia più che altro politico. Il primo ministro Meloni ha già accennato a quella che sarà probabilmente la giustificazione politica che l’Italia adotterà per far passare il nuovo trattato. All’Italia non piace il MES e non chiederà mai l’aiuto al Fondo, ma non può impedire che gli altri paesi vadano avanti. Questa giustificazione politica probabilmente sarà il compromesso necessario per far passare il nuovo trattato in parlamento. Con l’approvazione italiana si completerebbe l’iter di approvazione europeo e questo aprirebbe la strada anche al possibile utilizzo dei fondi del MES a garanzia del sistema bancario. In sostanza questo potrebbe consentire il completamento dell’unione bancaria, di cui il MES è uno snodo importante. È quindi un passo necessario ed importante per l’Unione Europea nella direzione dell’integrazione economica».

Lei ha appena pubblicato, assieme al prof. Giampaolo Galli, il volume “Crescita economica e Meritocrazia. Perché l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce”. In effetti il Paese ristagna da quasi trent’anni. Da quando, come scrivete, “Svalutazioni e accumulo di debito pubblico, le droghe con cui si era forzata la crescita dagli anni Settanta, non sono state più disponibili”. Voi puntate il dito in particolare sull’insufficiente considerazione del merito e sull’uso di incentivi distorti per la crescita. E osservate che il primo passo per trovare soluzioni adeguate è quello di avere piena coscienza dei problemi, che sono spesso, esplicitamente o implicitamente, negati. In che modo si può intervenire su questi aspetti?

«Le ragioni della scarsa crescita italiana negli ultimi decenni va ritrovata in un insieme di fattori economici, ma anche non economici, che nel libro cerchiamo di mettere in evidenza. La mancanza di meritocrazia ― o se vogliamo, con un termine più tecnico e più preciso, la struttura per incentivi nella società italiana ― è la linea rossa che collega tutti gli aspetti della vita economica, politica, sociale e che complotta per deprimere la crescita economica. Il primo passo è quello di rendersi pienamente conto del problema, che ha radici storiche, culturali, sociali molto profonde. Purtroppo in Italia, c’è la tendenza da parte di molti a non guardare nel proprio orticello e di negare l’evidenza, scaricando dunque le responsabilità su altri. Quindi c’è una resistenza molto forte alle riforme e al cambiamento in ogni campo della vita economica e sociale. Qualche segnale incoraggiante sembra ora emergere, ma modificare una situazione stratificatasi nei decenni non sarà facile».