BANCA D'ITALIA
La nuova mission di Visco

Le preoccupazioni per il PNRR, la crescita del Pil a rischio recessione, le condizioni per combattere l'inflazione, la difesa della globalizzazione. Le considerazioni del governatore

Paola Pilati

Chissà se è da attribuire a un rigidissimo “chinese wall” tra Istat e Banca d’Italia, ma nel giorno delle Considerazioni finali, l’istituto di statistica guidato da Gian Carlo Blangiardo ha rubato la scena nei notiziari al governatore Ignazio Visco: mentre lui parlava di un’attività produttiva mestamente in frenata nel primo trimestre di quest’anno, l’Istat strombazzava viceversa una ripresa nello stesso periodo. Un più 0,1 per cento invece di un meno 0,2 annunciato un mese fa. Questione di pochi decimali, certo, ma di segno opposto, per questo la divergenza dei due toni è stata piuttosto stridente.

È vero che il regno delle previsioni economiche, di questi tempi, si è fatto quanto mai scivoloso. Un quadro in veloce e imprevedibile cambiamento brucia senza pietà nel giro di un mese esercizi di previsione una volta granitici. È accaduto con il Bollettino economico pubblicato in aprile da via Nazionale, dove si disegnavano le possibili varianti delle conseguenze del conflitto in Ucraina su crescita e inflazione: favorevole, intermedio e severo.

Ebbene, come chiarisce dopo solo un mese la Relazione annuale appena pubblicata (a pagina 55), lo scenario favorevole legato a una rapida risoluzione del conflitto viene decisamente archiviato in quanto poco probabile. Degli altri due scenari rimasti in campo, quello intermedio (guerra fino al 2023 ma evitando l’interruzione delle forniture energetiche dalla Russia), costerebbe un ridimensionamento del Pil dell’1,6 quest’anno e di 0,7 nel 2023 rispetto alle previsioni di gennaio. Cioè un Pil 2022 al 2,2 (l’Istat oggi parla invece di “crescita acquisita” al 2,6) e all’1,8 al prossimo.

Quanto allo scenario severo (conflitto prolungato e interruzione delle forniture di gas), i suoi effetti negativi sull’Italia sarebbero ulteriormente esacerbati dal contagio alle economie europee con cui abbiamo legami produttivi e commerciali. Risultato, porterebbe a un Pil da piena recessione: meno 0,3 quest’anno e meno 0,5 l’anno prossimo.

Per fortuna Visco, trattando il suo intervento soprattutto dell’anno passato, ha potuto conservare anche diverse notazioni positive. Il 2021 è stato un anno di grande espansione, con un Pil che ha tagliato il traguardo del 6,6 per cento, con un’economia in grande effervescenza tra recupero degli investimenti e delle esportazioni e con il miracolo di una diminuzione del rapporto debito-Pil al 151 per cento (ma attenzione, mai abbassare la guardia, il debito pubblico resta sempre un elemento di vulnerabilità).

Le banche sono più solide (il CET1 ratio è salito al 15,3 per cento), allineandosi a quelle europee di maggiori dimensioni, i crediti deteriorati si sono dimezzati rispetto al 2019 (all’1,7 per cento sui prestiti totali) e non si sono impennati dopo la fine delle moratorie concesse durante la pandemia. Zoppica ancora la redditività bancaria, al 5,4 (al netto delle componenti straordinarie), distanziata dell’1,5 per cento dai grandi gruppi continentali.

Nel futuro, a preoccupare il governatore è soprattutto il PNRR, lo “strumento decisivo” per aiutare l’economia italiana a superare le debolezze che ne rallentano lo sviluppo. Decisivo non solo per la dimensione dei mezzi che mette a disposizione, ma anche per le riforme che impone: servono per colmare i ritardi nelle infrastrutture, potenziare la ricerca, migliorare l’istruzione. Il PNRR non rappresenta quindi solo un’occasione di spesa, ma anche di assimilazione di nuovi standard con cui accrescere la produttività e l’economia: devono insomma diventare “prassi generalizzata dell’intervento pubblico”.

Il successo di questo processo dipende in gran parte dalla capacità del sistema produttivo di aprirsi al cambiamento – e si indovina quanta preoccupazione questo susciti nel governatore. Un cambiamento soprattutto in quel Mezzogiorno dove risiede un terzo della popolazione, che genera solo un quarto del Pil e dove il Pil pro capite è inferiore del 45 per cento a quello del Centro-Nord. È qui che si gioca la sfida con la posta più alta, ben 200 miliardi di qui al 2030 tra PNRR e Fondi strutturali e di coesione. Un cifra che può cambiare il cammino produttivo dell’intero paese, avverte Banca d’Italia. Ci riuscirà?

A chi è pronto a cantare il de profundis per le autorità monetarie, a sancire il tramonto dell’epoca dei banchieri centrali, dopo che negli ultimi anni hanno guidato da protagonisti l’economia mondiale e ora sembrano aver perso mordente di fronte al rischio di una stagflazione, il governatore sembra rispondere ricordando che anche se non sta nei loro poteri contrastare l’aumento delle materie prime, essi si preparano a una nuova battaglia. Quella contro l’inflazione. Nella quale però non possono farcela da soli.

Alle banche centrali toccherà dimostrare di saper rialzare i tassi “con gradualità”, dice Visco, per non terremotare l’ecosistema finanziario. Ma questa è una nuova crisi, sappiatelo, e richiede senso di responsabilità da parte di altri soggetti che nella guerra all’inflazione possono fare molto: i sindacati. È a loro – anche senza citarli esplicitamente – che il governatore lancia un appello per fare in modo che “le pressioni per incrementi salariali connesse con la risalita dell’inflazione” siano contenute. In cambio, potranno avere l’aiuto di misure di bilancio per sostenere il reddito delle famiglie più colpite. Un passaggio di palla a Mario Draghi – chissà quanto gradito – che dovrà vedersela intorno a un tavolo di concertazione a palazzo Chigi.

Infine, Visco prende posizione su due temi scottanti che ingombrano il dibattito internazionale. Il primo è quello della riforma del Patto di stabilità e crescita, per ora rinviato, ma sempre fonte di contrasti tra Nord e Sud Europa. Il governatore è favorevole alla creazione di uno strumento permanente di intervento in caso di necessità, per stabilizzare l’area euro di fronte a shock di particolare entità (come è avvenuto con la crisi dei debiti sovrani e durante la pandemia) e per finanziare progetti comuni di carattere eccezionale. Ma guarda anche con favore a una revisione delle regole che, senza rinunciare alla disciplina di bilancio, diventino più flessibili e semplici, e alla creazione di un fondo europeo per la gestione comune dei debiti emessi in passato, quello che in molti progetti è stato chiamato Agenzia del debito.

Il secondo tema è quello della globalizzazione. L’attuale sistema è sotto accusa, e cresce la voglia di riorganizzare il commercio internazionale all’interno di aree costituite da paesi affini. È il “friend-shoring” sostenuto dal ministro del Tesoro americano Janet Yellen. Su questa prospettiva, Visco non esita a mettere le mani avanti: rivediamo pure le regole e il governo dell’economia globale, afferma, ma senza rinunciare al patrimonio di fiducia reciproca. “Una divisione del mondo in blocchi rischierebbe di compromettere i meccanismi che hanno stimolato la crescita e ridotto la povertà a livello globale”, avverte. E sarebbe proprio “l’Europa, che ha sempre puntato su un assetto mondiale basato su regole condivise, che avrebbe da perdere più di altri da un mondo dominato da divisioni e conflitti”. Nel finale, l’eco delle parole di Luigi Einaudi all’epoca di Bretton Woods, “la cooperazione internazionale non deve cedere il passo”. Forse è questa difesa la nuova mission dei governatori.

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