La MiFID ha segnato il passaggio da una disciplina imperniata sul prodotto ad una disciplina fortemente incentrata sul servizio al cliente. Fintech completa questa evoluzione: fattori chiave di successo sono la continua osmosi tra disponibilità ed efficienza digitale, relazione fiduciaria e implementazione di servizi aggiuntivi, tempestività e offerta articolata di soluzioni, preparazione professionale e processi semplici. In questo nuovo scenario la disciplina dell’offerta fuori sede rappresenta un modello flessibile che si adatta alle esigenze, ai bisogni di consulenza, di qualsiasi fascia di clientela che ben potrebbe essere esteso agli altri Paesi UE. Le Reti prestano consulenza a milioni di investitori, l’auspicio è che l’ordinamento giuridico, nel suo evolversi insieme al mutamento dei mercati e dei modelli imprenditoriali, assicuri il permanere delle condizioni perché questa funzione possa continuare ad essere svolta secondo criteri di adeguata sostenibilità.
Per affrontare il tema dell’evoluzione della prestazione del servizio di consulenza agli investitori partiamo da una recente indagine statistica condotta sulla base di un campione rappresentativo delle principali imprese che aderiscono alla nostra Associazione, Assoreti, dalla quale è emerso che al 30 giugno 2018 il 4,4% dei relativi clienti (pari a 179.295 unità su un totale di 4.091.951) appartiene alla categoria “private” e detiene il 56,0% degli assets complessivi di pertinenza del campione (pari a 291,7 miliardi di euro su un totale di 520,5 miliardi di euro).
Ci tengo a precisare, ai fini della solidità scientifica del dato di rilevazione, che nell’indagine sono stati classificati come “private” i clienti (persone fisiche, persone giuridiche ed investitori istituzionali) primi intestatari di contratti, con disponibilità patrimoniale pari o superiore a 500.000 euro; i requisiti patrimoniali, pertanto, non sono stati verificati con riferimento al nucleo familiare e sono stati accertati facendo esclusivo riguardo agli assets di stretta pertinenza dell’intermediario associato.
Quale è stata la prima riflessione: la capacità di questa industria di penetrare fortemente nel settore del wealth management continuando a servire al contempo una platea particolarmente ampia di investitori, intercettando i bisogni di consulenza sia della clientela private sia delle altre fasce di clientela e modulando la prestazione del servizio secondo le rispettive esigenze. Detta in altri termini: la capacità di offrire il servizio di consulenza, nella sua accezione evoluta, a segmenti ben diversi di investitori e risparmiatori, svolgendo un ruolo fondamentale a sostegno, in definitiva, di ampi segmenti del mercato.
A ben vedere, infatti, la capacità di attrarre e fidelizzare segmenti di clientela sia pur diversi discende da un modello che presenta alcuni fattori chiave, riconducibili alla continua osmosi tra disponibilità ed efficienza digitale, relazione fiduciaria e implementazione di servizi aggiuntivi, tempestività e offerta articolata di soluzioni, preparazione professionale e processi semplici. In questa cornice, l’offerta incontra bene la domanda per la sua reale capacità granulare, per la possibilità concreta di soddisfare bisogni diversi, riconducibili alla consulenza finanziaria e patrimoniale, attraverso piattaforme duttili che permettono una buona scalabilità dei costi, in funzione delle differenti esigenze.
Le Imprese aderenti, che si avvalgono di consulenti finanziari in qualità di agenti e dipendenti, tutti abilitati all’offerta fuori sede, attività che in Italia ha una storia e su cui spenderò alcune considerazioni in seguito, sono quindi presenti sul territorio in modo capillare, prestando un servizio di consulenza personalizzato, specializzato e sempre più digitalizzato attraverso una relazione fortemente improntata alla fiducia; gestiscono, in definitiva, in modo semplice relazioni complesse, caratterizzate da una congerie di attività di contenuto.
Sia chiaro: la tecnologia è al servizio delle nostre Imprese, è un patrimonio di cui possiamo e dobbiamo disporre, a favore del cliente, insieme con il consulente. L’innovazione digitale, quella “social”, in termini generali l’intero patrimonio “Fintech” è parte integrante della società; non vi è sostanzialmente angolo, in specie operativo, che non ne sia pervaso.
Per la nostra industria l’ausilio della tecnologia assume valore a partire dalla migliore capacità di selezionare granularmente prodotti adatti a ciascun tipo di cliente nell’ambito di uno scenario sempre più vasto di prodotti e di mercati, a quella di elaborare strumenti sofisticati ma semplici di pianificazione dei portafogli ideali; viene così agevolata la modularità della prestazione del servizio di consulenza che può passare da forme più semplici e meno costose a forme via via più evolute in ottica di wealth management, secondo le esigenze e le richieste della clientela. Ma, possono darsi, e iniziano a darsi, applicazioni ancora diverse, pensando ad esempio alla capacità di gestire attivamente i big data fino al possibile uso di forme di intelligenza artificiale.
Per certi versi, quindi, la nostra industria è, dunque, oggi, un’industria “Fintech”. Essa investe fortemente nell’innovazione digitale con l’intento di giungere a mettere in “rete” l’intera platea dei propri clienti e dei propri consulenti finanziari, ma, tenendo ben presente che anche con i clienti tecnologicamente più evoluti resta centrale la figura del consulente finanziario, anello di congiunzione che, con il brand, le strutture, i mezzi, gli investimenti e le garanzie patrimoniali dell’intermediario, supporta, serve e fidelizza il cliente nella prospettiva di una relazione duratura nel tempo, normalmente impermeabile alle sollecitazioni congiunturali dei mercati.
Gli investitori mostrano un interesse crescente per la comprensione delle dinamiche dei mercati finanziari, delle molteplici opportunità di investimento e dei rischi connessi, dei possibili effetti patrimoniali nel breve e nel medio-lungo periodo delle diverse forme di investimento. E’, quello di oggi, un investitore che ha passato un periodo di crisi di grande portata ed è più attento, è pronto a premiare ma anche a cambiare con maggior determinazione e consapevolezza rispetto al passato. È nostro compito aiutarlo a comprendere, condividendo con cura ed attenzione l’assunzione di scelte di investimento coerenti con i suoi bisogni di volta in volta rappresentati. In questo processo il consulente finanziario è un educatore e una guida che, nello spiegare le diverse opzioni con i relativi effetti, deve coscienziosamente farsi interprete delle esigenze del cliente consigliandolo nel modo migliore possibile, prevenendo così anche scelte avventate che potrebbero essere frutto di errori di prospettiva, oggi acuiti dalle insidie di una tecnologia che porta inevitabilmente con sé, se non “accompagnata”, tutti i pericoli delle scelte massive.
La MiFID ha segnato il passaggio da una disciplina imperniata sul prodotto ad una disciplina fortemente incentrata sul servizio al cliente, esaltando se vogliamo il modello delle “Reti”, la cui attività si è naturalmente convertita da “promozione e collocamento” fuori sede (già affiancata, all’epoca, da una “consulenza illustrativa” o “strumentale”, detta anche “microconsulenza”) a “consulenza” tout court, svolta anche fuori sede.
La MiFID II ha poi introdotto la modalità di prestazione del servizio di consulenza su base indipendente ed ha ampliato gli scenari concorrenziali; ogni intermediario oggi, valorizzando la propria esperienza, può scegliere come posizionarsi sul mercato, purché renda trasparente al mercato il proprio approccio: consulenza ad architettura chiusa o semichiusa o aperta, con ritorni commissionali o a parcella, combinata o meno con uno o più servizi di investimento; estesa a prodotti assicurativo-finanziari, assicurativi puri, bancari e creditizi; orientata o meno alla pianificazione finanziaria in senso lato, che includa o meno al suo interno anche le variabili fiscali e successorie delle famiglie o delle imprese. Così come, ancora, può articolare la prestazione della propria gamma di servizi attraverso una pluralità di unità divisionali, ovvero attraverso apposite società specializzate che già sembrano segnare un ritorno al modello del gruppo polifunzionale.
In ogni caso, le raccomandazioni fornite dalle Reti sono neutrali e sono rese al cliente nel suo miglior interesse.
Certamente, i requisiti imposti dal legislatore comunitario alla prestazione del servizio di consulenza, l’esigenza di innovazione tecnologica, le sfide del mercato, implicano costi rilevanti; la gestione della rete richiede a sua volta specifici investimenti nell’organizzazione, nei controlli e, non da ultimo, nella formazione continuativa dei consulenti finanziari. Il modello delle Reti non può essere improvvisato. E’ frutto di una combinazione di abilità organizzative e manageriali, competenze attitudinali, efficienza dei controlli e serietà di comportamenti.
Il legislatore italiano ha indirizzato questo modello costruendovi intorno la disciplina normativa dell’offerta fuori sede che, nata ancora prima di quella dei servizi di investimento, da trent’anni è rimasta sostanzialmente invariata, assicurando un’ottima tutela per gli investitori.
Il sistema ha ormai riconosciuto le peculiarità e la validità di questa attività e le Imprese che la prestano integrano consapevolmente un servizio di consulenza evoluta; un’attività d’impresa cresciuta e affinatasi nella cornice di una disciplina normativa, metabolizzata nel contesto di tasselli irrinunciabili.
Le Reti si avvalgono di consulenti finanziari persone fisiche. Tanto clamore e pressioni vi sono stati negli ultimi anni su questo punto, ma facciamo fatica a capire come possa essere diversamente: la disciplina che caratterizza questo settore è appunto dell’attività, non del soggetto; consta di un complesso di norme composito che individua in un intermediario, patrimonializzato e responsabile in solido, il referente del servizio e che può avvalersi unicamente di agenti o dipendenti professionali, onorabili, esperti, iscritti in un Albo e soggetti a vigilanza, i quali affiancano direttamente il cliente, creano un rapporto personale e di fiducia. L’esistenza di corpi intermedi, in questo modello, non è contemplabile; sarebbe un altro modello, senza la storia, le certezze e i successi di questo.
L’iscrizione nell’Albo pubblico dei consulenti non è mera formalità; è condizione vera per l’esercizio dell’attività. I requisiti di conoscenza e competenza richiesti dall’Esma per lo svolgimento dell’attività di consulente non sono qui sufficienti: ne occorrono di ulteriori, abilitanti all’esercizio di una professione.
Il consulente finanziario, in quanto iscritto all’albo, è sottoposto, come noto, ad una forma di vigilanza pubblica che prevede il potere di adottare una griglia di sanzioni la più grave delle quali consiste nella radiazione dall’albo. L’espulsione dal sistema dei consulenti finanziari non meritevoli ad opera di un organismo terzo rispetto all’intermediario assicura il mantenimento di condizioni di integrità del mercato essenziale alla crescita sana dell’industria, evitando il pericolo di una riallocazione di quei consulenti presso altri intermediari. In specie qui si spiega la disciplina che, essendo a protezione degli investitori, deve applicarsi in funzione dell’esercizio dell’attività, risultando irrilevante, in tale prospettiva, la natura del rapporto di collaborazione, agenzia o lavoro subordinato, fra l’intermediario e il consulente.
Il consulente finanziario ha poi l’obbligo di svolgere l’attività per conto di un solo intermediario; l’obbligo di “monomandato” risponde ad un principio d’ordine del mercato, evitando il rischio di confusione negli investitori circa l’intermediario al quale dover riferire l’attività del consulente, nonché anche ad un principio di organizzazione dell’intermediario; e sulla base di quei presupposti indefettibili in questa cornice, l’intermediario risponde in solido con il consulente finanziario dei danni che quest’ultimo cagioni alla clientela nell’esercizio della sua attività, anche se siano la conseguenza di illeciti penali. E’ la norma di chiusura del sistema, che assicura la maggiore garanzia possibile agli investitori e al mercato: la giustificazione economica e razionale dell’accollo di siffatta responsabilità oggettiva rafforzata si rinviene in tutti gli elementi sopra illustrati.
Fatto salvo l’istituto davvero poco utilizzato dello ius poenitendi, tutti i tasselli della disciplina ora ricordati sono quindi tra loro strettamente collegati, interdipendenti, ed hanno nel loro insieme concorso a realizzare un equilibrio ottimale che ha garantito nei decenni la crescita ordinata dell’industria e la piena tutela degli investitori: segno evidente di realizzazione di un non sempre facile equilibrio fra regola e mercato.
Non è casuale, riteniamo, che sin dalla direttiva Eurosim siano state tenute fuori dall’ambito della regolamentazione europea “le condizioni per l’esercizio di attività al di fuori dei locali dell’impresa di investimento”. La natura “domestica” dell’offerta fuori sede, unitamente alla riconosciuta validità della disciplina italiana di tale attività, hanno fatto sì che il legislatore europeo la accettasse consentendo che si applicasse imperativamente a chiunque svolgesse professionalmente questo tipo di offerta in Italia, anche se con sede in altro Stato interno o esterno all’Unione europea, così assicurando l’uniforme protezione degli investitori italiani oblati fuori sede.
Arrivo al punto: ci domandiamo se questa disciplina debba continuare a rimanere solo domestica, o debba piuttosto divenire patrimonio normativo comune a tutti i Paesi dell’Unione europea, come già accaduto per la disciplina dell’agente collegato, importata nella MiFID, chiaramente, dalla disciplina italiana dell’ex promotore finanziario.
E, in tale contesto, una riflessione si impone in via preliminare. L’evoluzione dell’attività delle Reti dalla mera vendita alla consulenza implica un mutamento di prospettiva. Ferma restando la disciplina sopra ricordata dell’offerta fuori sede, sono mutati i contorni dell’attività disciplinata. La definizione legale della fattispecie è ancora imperniata sui concetti, giuridicamente recessivi, di “promozione e collocamento”, sebbene l’attività svolta sia inquadrata ormai all’interno del servizio di “consulenza”.
Si pone allora l’interrogativo se la disciplina dell’offerta fuori sede caratterizzi davvero ancora lo svolgimento di un’attività di promozione e collocamento fuori sede o non debba essere invece una disciplina della prestazione tout court del servizio di consulenza, in sede e fuori sede.
Insomma, quella dell’offerta fuori sede è in realtà una disciplina che ben potrebbe, anzi forse dovrebbe, essere estesa agli altri Paesi UE, fungendo da volano ad un’attività armonizzata che impieghi, come accade da decenni in Italia, un modello flessibile che si adatta alle esigenze, ai bisogni di consulenza, di qualsiasi fascia di clientela.
Torno all’inizio del mio intervento: le Reti, nella loro configurazione attuale, composita all’interno di una chiara cornice normativa, prestano consulenza a milioni di investitori, svolgendo così anche una funzione sociale. L’ordinamento giuridico, nel suo evolversi insieme al mutamento dei mercati e dei modelli imprenditoriali, deve assicurare il permanere delle condizioni perché questa funzione possa continuare ad essere svolta secondo criteri di adeguata sostenibilità.
Ci aspettiamo che il legislatore e i regolatori italiani si facciano carico di queste riflessioni; vorrei concludere assicurando che l’Assoreti sarà – continuerà ad essere – parte attiva del processo di rinnovamento dell’ordinamento di settore, ponendo il proprio know how a disposizione delle autorità italiane ed europee al fine di valorizzare il modello industriale delle Reti e, con esso, la normativa che sino ad oggi ne ha accompagnato la crescita nel mercato domestico.