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La Corte di Giustizia fa chiarezza sugli strumenti di soft law

Una sentenza che costituisce una pietra miliare del diritto UE. Se da un lato soddisfa il bisogno di sottoporre gli strumenti di soft law al controllo giurisdizionale, dall’altro dà forza e valore quasi vincolante a questi strumenti

Niccolò Lorenzotti
Lorenzotti

La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea relativa alla causa C-911/19 ha tutti i presupposti per diventare una sentenza di riferimento al pari di Meroni, Romano o Gauweiler. Essa infatti dà risposta alla questione lungamente dibattuta sull’impugnabilità di strumenti di soft law tramite rinvio pregiudiziale di validità (ex articolo 267 TFUE) e indirettamente fa chiarezza su una questione di pari importanza — la natura degli strumenti di soft law.

Nel novembre 2017 la Federazione Bancaria Francese (FBF) ha intrapreso un’azione legale davanti al Consiglio di Stato francese, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con il quale l’Autorità per la vigilanza prudenziale e di risoluzione (ACPR) ha annunciato la sua volontà di adeguarsi agli orientamenti dell’Autorità Bancaria Europea (EBA) sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio, rendendoli di fatto applicabili alle istituzioni finanziarie francesi.

In seguito all’azione portata avanti dalla FBF, il Consiglio di Stato ha adito la Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) attraverso un rinvio pregiudiziale ex 267 TFUE. Il Consiglio di Stato in primo luogo chiedeva chiarezza in merito al sistema di rimedi giurisdizionali disponibili agli individui, previsti dal diritto dell’Unione Europea, per opporsi alla validità degli orientamenti di una delle Autorità europee di vigilanza (ESAs).

In particolare, domandava alla CGEU:

  1. se gli orientamenti di una ESA sono impugnabili tramite l’azione di annullamento ex 263 TFUE e, in caso affermativo, se una federazione professionale può contestare, per il tramite di un ricorso di annullamento, la validità di orientamenti che non la riguardano direttamente o individualmente e che sono indirizzati ai suoi membri, di cui difende gli interessi;
  2. se, in caso di riposta negativa alla prima domanda, gli orientamenti possono essere oggetto di un rinvio pregiudiziale ex 267 TFUE e, in caso affermativo, se una federazione professionale può contestare, per il tramite di un rinvio pregiudiziale, la validità di orientamenti che non la riguardano direttamente o individualmente e che sono indirizzati ai suoi membri, di cui difende gli interessi.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato chiedeva, ammesso che la CGUE ritenesse FBF in grado di contestare gli orientamenti EBA e che fosse possibile esperire un’azione di rinvio pregiudiziale di validità, una pronuncia sulla validità degli orientamenti di EBA sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio.

Seppure una pronuncia sfavorevole agli specifici orientamenti EBA in oggetto avrebbe avuto effetti sensibili nei confronti delle istituzioni finanziarie dell’Unione Europea, quello che qui preme ancora più rilevare è la magnitudine della pronuncia della CGUE sulle prime due questioni. Cioè se una misura di soft law come gli orientamenti, che non ha effetto vincolante sulle autorità competenti nazionali, può essere portata davanti alla CGUE per il tramite di un’azione di annullamento ex articolo 263 TFUE o di un rinvio pregiudiziale di validità ex articolo 267 TFUE.

Sulla portata degli effetti giuridici degli strumenti di soft law si è parlato molto in dottrina e non mancano decisioni delle CGUE in materia. Tuttavia, nessuna decisione, prima della sentenza C-911/19 e della recente sentenza C-501/18, aveva espresso una posizione chiara sull’impugnabilità di tali strumenti e quindi sulla loro incisività.

O meglio, una simile questione era stata sollevata dall’avvocato generale Cruz Villalón nella sua opinione sul caso ‘Peter Gauweiler and Others v Deutscher Bundestag’, sulla scia di quanto stabilito nel caso ‘Salvatore Grimaldi v Fonds des maladies’, ciononostante tale questione non era poi stata approfondita dalla CGUE in sede di decisione. 

Vale la pena ricordare che l’Unione Europea è un’unione di diritto nella quale le relative istituzioni sono soggette al controllo della conformità dei loro atti al Trattato e ai principi generali del diritto di cui fanno parte i diritti fondamentali. Il trattato che ha istituito l’Unione Europea ha disposto un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni, affidandolo al giudice europeo, come sottolineato dalla CGUE nella massima della sentenza ‘Unión de Pequeños Agricultores contro Consiglio dell’Unione Europea’.

Sembra allora ancora più legittimo interrogarsi su come inquadrare gli strumenti di soft law nel summenzionato contesto. In particolare, quale sia l’azione esperibile tra il ricorso di annullamento e il rinvio pregiudiziale, posto che questi strumenti non sono di per sé vincolanti.

Alla luce di queste premesse, vediamo come la CGUE ha sbrogliato questa delicata questione attraverso la decisione qui in oggetto. 

Come ci si aspettava, la CGUE ha licenziato piuttosto agevolmente la questione sull’impugnabilità di uno strumento di soft law ex articolo 263 TFUE: infatti, è lo stesso articolo che dispone che gli atti di cui si vuole chiedere l’annullamento devono essere giuridicamente vincolanti e l’articolo 288 del TFUE dispone esplicitamente che gli strumenti di soft law non lo sono.

È pur vero che si possono verificare eccezioni a questa regola quando la sostanza di strumenti di soft law è vincolante, sebbene la loro forma non lo sia. In tali circostanze si può ricorrere all’articolo 263 TFUE, come ben descritto per esempio in ‘Belgio contro Commissione’. Ciononostante, esse costituiscono una patologia dello strumento di soft law, dunque in presenza di uno strumento per così dire autentico, in linea con quanto conclude la CGUE, gli orientamenti non possono essere oggetti di rinvio di annullamento.

La seconda questione affrontata dalla CGUE è quella relativa all’impugnabilità ex articolo 267 TFUE, il quale dispone che la CGUE è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: […] ‘b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione’. Ne consegue che gli atti impugnabili possono essere anche gli atti non vincolanti.

Tale orientamento è confermato nella recentissima sentenza ‘BT v Balgarska Narodna Banka’, come anche in ‘Salvatore Grimaldi v Fonds des maladies’, dove la Corte osserva che l’articolo 267 TFUE conferisce alla stessa la competenza di giudicare su ricorsi pregiudiziali di validità e interpretazione per tutti gli atti e senza eccezioni. Allo stesso modo, nel caso in commento, la CGUE si è dichiarata competente nel pronunciarsi su questioni pregiudiziali di validità riguardanti strumenti di soft law.

In seguito alla risposta affermativa alla questione di cui sopra, la CGUE prosegue considerando se FBF ha locus standi per chiedere un rinvio pregiudiziale. Nel far ciò, si pronuncia su uno dei punti salienti di questo caso e cioè se i criteri per determinare il locus standi siano simili ai sensi degli articoli 263 e 267 TFUE.

Mentre nell’articolo 263 il TFUE disciplina i casi in cui una parte deve essere colpita direttamente e individualmente da un atto UE poiché impugna un atto davanti alla CGUE, il 267 non segue le stesse sorti, poiché è diretto all’impugnazione di atti UE davanti al giudice nazionale. La CGUE, argomentando la propria risposta, ribadisce che il sistema di rimedi all’interno dell’UE è un sistema completo. Ne deriva che in assenza di specifiche regole europee a garanzia della tutela giurisdizionale, sono gli stati membri che devono disporre affinché ogni atto UE possa essere impugnato efficacemente.

L’articolo 267 non vieta affatto alla parte, all’interno di un processo nel quale si contesta un atto nazionale che dà esecuzione ad un atto UE di portata generale, di attaccare tale atto di portata generale UE per il tramite di un’eccezione di legittimità. Un rinvio pregiudiziale sulla validità di un atto UE deve essere considerato ammissibile anche quando esso è stato presentato nell’ambito di una controversia, in via incidentale, e a tale atto UE non è ancora stata data esecuzione a livello nazionale, per cui la parte che solleva la questione pregiudiziale non è neppure colpita da un provvedimento nazionale. Dunque, la CGUE conclude affermando che l’impugnabilità tramite rinvio pregiudiziale di validità davanti al giudice nazionale non è subordinata alla condizione che un atto UE colpisca direttamente e individualmente la parte che si avvale di tale ricorso.

Come accennato sopra, non preme, in questa sede, descrivere le motivazioni che hanno spinto la CGUE a pronunciare la validità degli orientamenti EBA/2015/18, bensì si vuole sottolineare l’importanza della pronuncia sull’impugnabilità per il tramite del rinvio pregiudiziale di validità di strumenti di soft law. Pronuncia che va ad integrare il sistema di tutele giurisdizionali delineato dal diritto UE, ma soprattutto conferisce maggiore importanza a questo tipo di strumenti.

Per quanto riguarda la pronuncia sul merito degli orientamenti, è sufficiente qui dar conto che la CGUE ha stabilito che l’EBA non ha oltrepassato le proprie competenze, poiché gli orientamenti sono necessari per assicurare un’applicazione coerente ed efficace delle Direttive 2013/36, 2007/64, 2009/110 e 2014/17.

In particolare, gli orientamenti contribuiscono alla tutela dei consumatori tramite la costituzione di dispositivi di governance e di controllo sui prodotti sia per i produttori sia per i distributori e a rendere più efficace la vigilanza sull’assunzione di rischi da parte degli istituti finanziari. Inoltre, stabiliscono pratiche di supervisione coerenti ed efficienti all’interno del sistema europeo di supervisione finanziaria nel rispetto del Regolamento 1093/2010.

Alla luce di questa sentenza, una considerazione che ci sembra opportuna segnalare è che la Commissione Europea viene spogliata dalla possibilità di chiedere un controllo giurisdizionale sugli strumenti di soft law. Infatti, come visto, l’azione di annullamento ex 263 TFUE nel quale la Commissione è ricorrente privilegiato è preclusa per tali strumenti e il rinvio pregiudiziale di validità ex 267 TFUE non annovera la Commissione tra i possibili ricorrenti.

Dunque, non si può fare a meno di notare che anche questo elemento è di assoluta novità, a fronte del controllo che la Commissione ha da sempre esercitato sulle ESAs. Si pensi, ad esempio, allo scrupoloso vaglio che la Commissione opera sulle norme tecniche di regolamentazione e sulle norme tecniche di attuazione presentategli dalle ESAs, ex articolo 10 e 15 dei rispettivi regolamenti istitutivi ESAs.

E ancora, sono di un certo spessore i riflessi che questa sentenza ha sul tema della delega di poteri in ambito di diritto amministrativo (sul filone delle sentenze Meroni e Romano), in considerazione del fatto che gli orientamenti, per citare una delle misure di soft law, sono sovente adottati su iniziativa propria delle ESAs e non sulla base di un mandato contenuto in un atto europeo di primo livello.

In ultima analisi, la sentenza in commento costituisce una pietra miliare del diritto UE. Se da un lato soddisfa il bisogno di sottoporre gli strumenti di soft law al controllo giurisdizionale, necessità ritenuta sempre più pressante data la proliferazione negli ultimi anni di agenzie europee, dall’altro dà forza e valore quasi vincolante a questi strumenti già di per sé “potenziati” dal meccanismo del comply or explain, delineato dall’articolo 16 dei regolamenti istitutivi delle ESA. E allora, sembra sempre più calzante la definizione della Professoressa Láncos che definisce gli strumenti di soft law come caratterizzati da ‘a hard core under the soft shell’ – un nucleo duro sotto un guscio morbido.