approfondimenti/politica economica
La Commissione europea preferisce i project bond

Gli investimenti infrastrutturali possono stimolare crescita e occupazione. Come sostenuto dal neo presidente della Commissione europea Junker. Ma i lavori vanno finanziati. E la stessa istituzione sceglie i project bond per la raccolta di fondi destinati a trasporti, energia e telecomunicazioni

Federico Antellini Russo
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Il primo dei dieci punti programmatici del discorso con il quale Jean-Claude Junker ha chiesto fiducia al Parlamento di Strasburgo è incentrato sulla necessità di effettuare investimenti infrastrutturali, per stimolare la crescita e rilanciare l’occupazione, fino a 300 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Se è vero che si tratta ormai di una necessità condivisa e trasversale, è altrettanto vero che i modi per soddisfarla possono essere molto diversi.

La proposta di Junker parte da tre presupposti essenziali:

  • «la nostra  crescita sostenibile non [è] compatibile con montagne di debiti in costante espansione»;
  • «sono soprattutto le imprese, e non i governi e le istituzioni dell’Ue, a creare posti di lavoro»;
  • «dobbiamo usare i fondi pubblici disponibili a livello Ue per incoraggiare gli investimenti privati nell’economia reale».

Di conseguenza, sviluppandosi attraverso l’auspicio del miglioramento del contesto istituzionale e regolamentare, si tratta di una soluzione che non prevede l’utilizzo di risorse provenienti direttamente dai bilanci degli Stati Membri, ma intende sfruttare l’effetto leva di risorse già disponibili, o appositamente allocate, nell’alveo del bilancio Ue. I circa 80 miliardi di fondi strutturali non ancora erogati potrebbero costituire una base di partenza. Sarebbero, però, utilizzati direttamente, o impiegati per garantire un effetto leva attraverso la Banca Europea degli Investimenti (Bei) che, forte del suo rating, potrebbe impiegarli a garanzia della raccolta sul mercato di capitali privati attraverso emissioni obbligazionarie? Risorse, queste ultime, che la Bei potrebbe utilizzare non solo direttamente, per finanziare gli investimenti  infrastrutturali;  ma anche indirettamente, per stimolare la creazione di un autentico mercato dei project bond, pressoché scomparso dopo la crisi del 2009. Opzione cui la Commissione Europea aveva già rivolto l’attenzione dal 2010/2011.

Perché i project bond?

Uno schema di finanziamento che presenti una provvista diversificata è maggiormente in grado di soddisfare le necessità di progetti complessi e con un orizzonte temporale di lungo periodo, come quelli infrastrutturali. Accanto all’equity e al credito bancario, quindi, sarebbe piuttosto naturale attendersi che una società di progetto, costituita nell’alveo di un partenariato pubblico privato, cerchi di beneficiare delle risorse provenienti da investitori istituzionali, tipicamente pazienti e con attese di ritorno moderate. A maggior ragione, nel caso di progetti “bancabili”, con profili di rischio chiaramente delineati, con asset ring fenced e magari non ancora avviati a causa degli stringenti vincoli di bilancio del settore pubblico. In breve, non dovrebbe stupire l’individuazione di project bond – sottoscritti da fondi pensione, compagnie di assicurazione o banche di sviluppo tra le liabilities di una società di progetto. Eppure, in Europa, domina il finanziamento bancario e il mercato dei project bond è in una fase embrionale.

Fino alle restrizioni sul credito bancario, iniziate con il 2009, non c’era stata la necessità di concepire una differenziazione nella natura del capitale di debito legata alla durata dei finanziamenti: il sistema di intermediazione creditizia europeo non aveva mai mostrato particolari disagi a concedere prestiti a lungo termine e, quindi, non aveva creato i presupposti per la creazione di un liquido e spesso mercato obbligazionario. La riduzione delle risorse pubbliche da un lato, e le necessità di consolidamento dei bilanci bancari coerentemente con i requisiti regolamentari di Basilea III dall’altro, però, intaccando la disponibilità delle fonti principali di finanziamento infrastrutturale, hanno spinto le istituzioni europee a ritenere che «un’iniziativa dell’Unione europea per sostenere i project bond, assieme alla Banca Europea degli Investimenti, dovrebbe aiutare ad affrontare le necessità di investimento nei grandi progetti infrastrutturali dell’Unione».

Secondo l’Epec (European PPP Expertise Centre), il finanziamento tramite project bond presenta, rispetto al credito bancario, vantaggi:

  • maturity/refinancing risk– essendo strumenti di finanziamento di lungo termine e avendo una durata coincidente con quella del progetto, i project bond presentano tutti i rischi di un attivo di lungo termine per i detentori, ma consentono all’emittente di mitigare il rischio di rifinanziamento;
  • pricing – dal momento che il costo complessivo di un finanziamento di lungo termine tramite project bond,rivolto a investitori istituzionali di lungo periodo e concepito per un progetto con solide prospettive economico-finanziarie, dovrebbe essere inferiore, nelle attuali condizioni di mercato, al costo di un finanziamento bancario per un orizzonte temporale equivalente, il progetto diverrebbe più conveniente per entrambe le controparti di un partenariato pubblico privato;

e criticità:

  • costi di strutturazione – l’organizzazione e il collocamento di un’emissione obbligazionaria (a maggior ragione se sul mercato pubblico) richiede significativi costi fissi preparatori  di diversa natura (acquisizione delle competenze specifiche per la strutturazione e per il rating del titolo, spese legali, ecc.), generalmente maggiori rispetto a quelli da sostenersi quando si utilizzi il solo canale bancario;
  • dimensione progettuale – a fronte dei costi fissi per un’articolazione finanziaria complessa e la relativa innovatività del prodotto all’interno del mercato finanziario, i project bond sembrerebbero essere un’opzione percorribile soltanto nel caso di progetti di dimensioni rilevanti (possibilmente oltre i 100 milioni di euro);
  • incertezze sulla consistenza della raccolta – poiché la durata e le condizioni finanziarie dei titoli sono consolidate all’emissione, è possibile avere una chiara consapevolezza della raccolta potenziale soltanto una volta assegnato il contratto alla società di progetto e delle disponibilità solo a collocamento concluso (salvo acquisti a fermo);
  • cost of carry – mentre i fondi bancari possono essere ritirati quando diventi necessario (pur in cambio di commissioni sulla disponibilità della provvista), le risorse derivanti da un collocamento obbligazionario sono disponibili immediatamente nella loro totalità. Pur investendoli e disinvestendoli man mano che emergano le necessità di liquidità, emerge un negative carry: gli interessi da doversi corrispondere ai detentori dei titoli obbligazionari saranno superiori rispetto ai proventi degli investimenti temporanei della liquidità;
  • qualità del credito – per collocare i project bondal target naturale, ovvero gli investitori istituzionali, il rating dovrebbe essere almeno A-. Dal momento che un tipico progetto di partenariato pubblico privato è tipicamente strutturato per avere un rating di BB+ o BBB-, si rendono necessari strumenti di credit enhancing.

La criticità più consistente, comunque, è la garanzia sulla qualità del credito, tanto in considerazione della strategia degli investitori istituzionali, quanto dei nuovi parametri regolamentari degli istituti di credito.

La Project Bond Initiative

Il supporto al credito, o meglio al merito di credito, veniva effettuato, prima della crisi finanziaria, principalmente da      società assicurative ad hoc. Le recenti difficoltà sulle monoline wrap, tuttavia, hanno indotto la Commissione Europea e la Bei a varare la Project Bond Initiative. La fase pilota, iniziata nel 2012 e programmata fino al 2016, prevede la disponibilità di 230 milioni di euro provenienti dal bilancio comunitario, da ripartire su progetti infrastrutturali rientranti nei seguenti settori:

  • trasporti (Ten–t), fino a 200 milioni di euro;
  • energia (Ten-e), fino a 10 milioni di euro;
  • banda larga e telecomunicazioni (Ict), fino a 20 milioni di euro.

Secondo le stime della Bei, le risorse stanziate ad oggi, attraverso la Project Bond Credit Enhancement Facility (Pbce), renderebbero possibile la mobilitazione di 750 milioni di euro e garantirebbero un effetto leva in grado di far affluire sui settori strategici considerati più di 4 miliardi di euro. Di fatto, la Pbce rappresenta una forma di sostegno al credito limitato, tanto che per ogni transazione non può essere superiore a 200 milioni di euro o al 20% del valore nominale dei senior bond, ma teoricamente in grado di innalzare il merito di credito di questi ultimi, sia in virtù della disponibilità a far affluire risorse sul progetto, sia per l’effetto reputazionale derivante dal coinvolgimento di un’istituzione come la Bei.

I possibili meccanismi di applicazione sono due:

  • funded Pbce – finanziamento diretto ed immediato al progetto, subordinato rispetto ai seniorbond, con caratteristiche simili alla mezzanine finance(tranne la previsione di convertibilità in equity del debito non onorato);
  • unfunded Pbce – lettera di credito di importo fissato al financial closing, che accompagna il progetto per la sua intera durata, nella forma di revolving facility (ogni cifra richiesta, entro i limiti del plafond, e successivamente rimborsata si rende nuovamente disponibile per future necessità).

I due meccanismi della Project Bond Credit Enhancement Facility (Pbce)

Funded Pbce

Unfunded Pbce

Fonte: elaborazioni su dati Bei

I project bond sono una one-fits-all solution?

Perché le previsioni della Bei sull’effetto leva della Project Bond Initiative possano realizzarsi, tuttavia, è indispensabile una sostenuta domanda da parte di investitori disposti ad acquistare i senior bond. Domanda che, almeno nel breve periodo, non sembrerebbe essere nelle condizioni di costituirsi in qualunque parte del territorio dell’Unione. Le cause sono diverse, strettamente connesse alla natura di ogni economia, ma, in linea generale si possono menzionare:

  • il rinnovato interesse del settore bancario ai progetti infrastrutturali, con un effetto spiazzamento rispetto a forme alternative di finanziamento;
  • la marcata frammentazione normativa, procedurale e dei mercati finanziari all’interno dell’Unione, con la conseguente differenziazione territoriale dei profili di rischiosità/costo dei progetti (che si traducono, ad esempio, in richieste di collateral elevate da parte della stessa Bei per intervenire, senza rischiare la propriaAAA, in aree che avrebbero maggiormente necessità di supporto al credito a costi più contenuti);
  • la diversa natura del coinvolgimento del settore pubblico, con un’influenza diretta sulla “bancabilità” dei singoli progetti;/
  • la diversa natura degli operatori, con predominanza (soprattutto per i paesi con un profilo di rischio maggiormente elevato) per grandi imprese, e dei settori, con maggiore propensione per opere calde.

Se ne ha una conferma considerando le iniziative ad oggi approvate nell’ambito del programma Pbce dalla Bei. In termini di valore, su circa 1 miliardo di euro, le infrastrutture autostradali costituiscono il 50% del totale e la Germania e il Regno Unito, che – seppur per ragioni diverse – rappresentano mercati più solidi per la project finance, detengono rispettivamente il 27,9% e il 33,7% del totale.

Nell’attesa che i project bond diventino uno strumento di finanziamento infrastrutturale comune ai progetti realizzati nelle diverse economie dell’Unione, potrebbe essere auspicabile, nel frattempo, considerare soluzioni complementari e dedicate (come, ad esempio, la Caisse Nationale des Autoroutes in Francia).

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