Il nuovo numero 1/2022 di Economia Italiana – editor i professori Giorgia Giovannetti, Università di Firenze, e Paolo Guerrieri, Sapienza, Università di Roma e PSIA SciencesPO – fa il punto sul processo di globalizzazione e sulla relativa posizione dell’industria italiana nella fase di forte rimbalzo economico che ha fatto seguito alla profonda recessione provocata dalla pandemia.
Nel 2021 commercio e investimenti internazionali hanno registrato tassi di espansione superiori alla media degli ultimi anni. Nella crisi pandemica – secondo gli editor – “… le catene del valore sembrano aver funzionato più come ammortizzatori e strumenti di risposta alla crisi che come amplificatori della stessa, anche se non vanno trascurati i problemi e le strozzature che si sono manifestati e continuano a manifestarsi con effetti ancora da valutare ed esplorare”. In effetti l’internazionalizzazione si è rivelato un canale importante per accrescere la produttività e la competitività del nostro sistema produttivo oltre che aver rappresentato un fattore di crescita. Tutto questo prima dello scoppio della guerra in Ucraina, un evento che è destinato a produrre, oltre ai drammatici costi umanitari, conseguenze profonde sullo scenario economico internazionale.
L’Italia rispetto alla pandemia ha reagito meglio e sembra aver “difeso la propria posizione” nell’economia mondiale. Il risultato migliore sembra essere stata quello delle imprese internazionalizzate – e in particolare di quelle partecipanti alle catene del valore- che hanno reagito meglio delle imprese domestiche in termini di minori perdite di fatturato, maggior usi di tecnologie digitali, e-commerce, etc. La performance dipende quindi da dimensione, struttura, modalità di internazionalizzazione (se internazionalizzate) e posizionamento all’interno delle catene del valore (vale a dire se sono posizionate su fasi a valle o a monte, sempre che siano in una CGV).
I contributi pubblicati in questo volume di Economia Italiana mettono in luce la positiva performance sui mercati internazionali delle imprese e del sistema produttivo italiano, nel passato decennio e in risposta allo shock pandemico, unitamente alle peculiari caratteristiche e all’impatto domestico che hanno accompagnato tali processi di internazionalizzazione.
Dalle analisi emerge con chiarezza il ruolo propulsivo delle grandi imprese italiane capaci di competere sui mercati. Tuttavia, sottolineano Giovannetti e Guerrieri “il problema è che l’insieme di tali imprese non ha avuto in passato – e non ha oggi – un peso sufficiente a trainare il resto dell’apparato produttivo italiano e, soprattutto, a stimolare la crescita complessiva dell’economia italiana. Che è in ristagno, com’è noto, da oltre due decenni, unitamente alla produttività, con dinamiche entrambe sensibilmente e stabilmente al di sotto della media europea”.
Due le implicazioni in termini di policy di questo dualismo del sistema produttivo italiano secondo gli editor. La prima è che “il ruolo delle imprese medio-grandi è e deve restare anche in prospettiva assai importante, sia quali attori in grado di competere nelle grandi catene del valore internazionali sia quali potenziali locomotive dell’espansione del sistema produttivo. A questo fine è necessario favorire e accelerare la loro articolazione sistemica, creando un contesto di riferimento a livello produttivo e territoriale che sappia valorizzarne le performance innovative ed esaltarne le capacità d’impatto”. La seconda considerazione, dall’altro lato, è che “è altrettanto importante favorire maggiori dimensioni e managerialità del folto gruppo di piccole e piccolissime imprese che tendono a frenare in molti casi la capacità di integrazione internazionale del nostro sistema produttivo”.
Il volume contiene quattro saggi che analizzano il ruolo del sistema produttivo attraverso un’ampia analisi di dati e forniscono importanti indicazioni di policy. Roberto Monducci e Stefano Costa, avvalendosi di un insieme di dati disaggregati ampio e nuovo, dimostrano nel loro contributo il ruolo di assoluta rilevanza e il peso crescente delle imprese medio-grandi e multinazionali nei flussi di export italiano nel passato decennio. Gli Autori mostrano altresì come queste maggiori capacità di reazione siano correlate positivamente alla dimensione aziendale, con uno stacco significativo tra le piccole imprese, da un lato, e quelle medie e medio-grandi, dall’altro.
Stefano Costa, Federico Sallusti, Claudio Vicarelli e Davide Zurlo si concentrano sul ruolo dell’internazionalizzazione nell’accrescere competitività e performance del sistema produttivo italiano utilizzando l’approccio statistico “granulare”. Lo studio misura la reattività del valore aggiunto delle imprese italiane all’evoluzione di tre grandi paesi: Germania, USA e Cina. Dall’analisi emerge che i benefici per l’intera economia sono tanto maggiori quanto più ampia e densa è la rete di scambi tra le imprese più internazionalizzate e direttamente coinvolte sui mercati esteri e le altre che operano prevalentemente e/o solo sul mercato interni.
Claudio Battiati, Cecilia Jona-Lasinio, Enrico Marvasi e Silvia Sopranzetti esaminano la recente tendenza all’aumento della concentrazione e del potere di mercato delle imprese negli ultimi decenni unitamente alla crescente organizzazione della produzione lungo catene globali del valore. Le analisi prendono in esame i casi dell’Italia e di Francia, Germania, Spagna e mostrano che la tendenza all’aumento del potere di mercato sia meno pronunciata in Europa rispetto agli Stati Uniti, mentre un certo grado di concentrazione verso le imprese più produttive potrebbe comportare miglioramenti di efficienza senza rappresentare una minaccia immediata alla concorrenza.
Luca Casolaro, Silvia Del Prete e Giulio Papini analizzano l’impatto dell’internazionalizzazione nel caso della Toscana utilizzando i dati dell’indagine sugli investimenti industriali della Banca d’Italia e considerando l’interazione tra propensione all’investimento, dimensione delle imprese, apertura al commercio estero e modalità di inserimento internazionale del sistema produttivo. Le analisi mostrano come la minore dimensione delle imprese toscane e il loro limitato coinvolgimento nei circuiti internazionali, rimasto prevalentemente di natura commerciale, abbia finito per penalizzare la capacità di investimento della regione e contribuisca a spiegare parte del divario accumulato dalla Toscana rispetto alle principali regioni del Nord.
Completano il numero due rubriche. Pierfrancesco Latini e Alessandro Terzulli si interrogano sul futuro possibile delle catene globali del valore, da un osservatorio privilegiato qual è SACE, e concludono non sul loro ridimensionamento bensì sulla necessità del rafforzamento delle catene nella direzione di una maggiore resilienza nel medio termine a shock sistemici. Ciò consentirà di ridurne la vulnerabilità e al contempo di continuare a beneficiare dei vantaggi comparati acquisiti dal nostro Paese in termini di efficienza tecnica e specializzazione produttiva.
Mariano Bella e Luciano Mauro offrono ai lettori stime molto significative sulle ricadute effettive dei recenti rincari energetici. Gli aumenti si estenderanno all’intera economia, con una perdita di risorse vicina ai 100 miliardi di euro, e penalizzeranno tanto i settori energivori quanto la distribuzione. Il vero discriminante nelle penalizzazioni sarà la capacità di alcuni settori di traslare i maggiori costi a valle
Roma, 26 aprile 2022
(a cura di Giovanni Parrillo)
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