Per non mancare l'obiettivo di crescita del Pil del 5% quest'anno, Xi ha già messo in campo un pacchetto di stimoli monetari. Ma serve di più: tutti scommettono su un pacchetto sostanzioso di stimoli fiscali
In questi tempi di bassa crescita, non devono essere pochi i governanti di insospettabili paesi democratici a invidiare Xi, capo supremo della potenza economica più sfidante a livello globale, per la libertà di manovra che ha e che dimostra ogni giorno. Se i tycoon industriali cinesi si prendono troppe libertà, vengono ridimensionati dal governo – a volte talmente ridimensionati, da sparire del tutto – se i big dello sviluppo immobiliare rischiano il default, lo stato interviene, se il tasso di natalità mette a rischio la capacità futura di tenere in piedi la macchina produttiva, il partito avvia una campagna porta a porta per indurre le donne a fare figli, con una pressione che arriva a indagare sotto le lenzuola, come ha appena descritto il NYT .
Qualcosa però sembra non funzionare. Il pacchetto di stimoli deciso a fine settembre dal governo per garantire l’obiettivo di crescita del Pil del 5%, stabilito dai piani economici del partito ma a rischio flop a causa dei consumi declinanti, non si sta dimostrando la terapia giusta.
Gli 800 miliardi di renminbi, pari a 114 miliardi di dollari, per aiuti al mercato azionario (per gli acquisti da parte di fondi e assicurazioni e per finanziare il buy back di titoli) e il taglio del tasso di interesse RRR da 1,7 a 1,5% (lo short term seven day reverse repo rate) da parte della banca centrale per aumentare la liquidità delle banche, hanno galvanizzato sulle prime le borse e gli analisti.
Il rialzo record dell’indice Blue Chip CSI 300 di Shanghai e Shenzhen (+ 8,5% in un solo giorno), dopo tre anni di crollo continuo in cui i titoli avevano perso il 45% del valore, deve aver illuso lo stato maggiore del Politburo del partito che il più era fatto e che poteva tranquillamente godersi la Golden Week delle celebrazioni per i 75 anni della Repubblica Popolare cinese.
Peccato che la grande euforia si sia spenta nel giro di poco, con una deragliata dell’indice del 7%, l’indebolimento della valuta e il calo rendimenti dei bond governativi. E tutti hanno incominciato a chiedersi che cosa debba mettere in campo Xi per salvare la faccia.
La risposta deve ancora venire, ma gli osservatori – economisti, banche d’affari – scommettono a questo punto su interventi a tutto campo. Oltre alle misure di politica monetaria, servono spesa pubblica e interventi per rinvigorire i consumi, dato che i cinesi si tengono ben stretti i propri risparmi dopo lo shock del covid e quello dei fallimenti dei big dell’immobiliare, e temono il crollo dei valori delle abitazioni. Citi, per esempio, scommette su un prossimo pacchetto di spesa pubblica di tre trilioni di RMB.
Il tempo delle decisioni per Pechino non dovrebbe essere lungo, visto che la riunione del National people congress committee è prevista per fine ottobre. E anche che Xi sa bene che dovrà presto mettere da parte munizioni per la nuova guerra tariffaria con gli Usa, dopo l’avvio di quella con l’Europa.
P.P.