Occasione per ripercorrere la storia della guerra all'inflazione fatta dalla Banca d'Italia e anche per ricordare come si è arrivati al divorzio della politica monetaria di via Nazionale da quella fiscale del governo. E per porsi qualche interrogativo sull'animus del nuovo governo
Adelante, Christine, con juicio. È questo il messaggio manzoniano che ha voluto mandare Ignazio Visco a Francoforte, sarà mica preoccupato che la stretta sia eccessiva? Dopo qualsiasi intervento dei governatori della Banca d’Italia le esegesi si scatenano. Cercano, e scovano, allusioni, altolà, interpretazioni criptate.
È successo puntualmente anche questa volta, dopo la “Prima lezione Ugo La Malfa” organizzata dalla Fondazione La Malfa sui temi dell’economia e la finanza cari all’esponente del Partito Repubblicano più volte ministro della prima repubblica, e cari anche a suo figlio Giorgio, economista e politico, che ne anima la Fondazione.
La Christine in questione è ovviamente la presidente della Bce Lagarde, e il tema sono i tassi. Ebbene sì, Visco è consapevole che “sono ancora sotto il livello coerente con il raggiungimento del nostro obiettivo di inflazione nel medio termine”, e che bisogna continuare nell’azione restrittiva e quindi a rialzarli. Segnala però che “le ragioni per attuare un approccio meno aggressivo stanno guadagnando terreno”. Insomma il suo punto di vista è: prudenza e piede sul freno.
La polpa dello speech di Visco, essendo una lezione, verteva però soprattutto sull’inflazione e su come il suo controllo abbia improntato l’operato della Banca d’Italia da quando, negli anni Settanta, l’impennata dei prezzi ha iniziato a essere il cilicio quotidiano di chi guidava la politica monetaria e di chi aveva la responsabilità del governo del paese. Anni che riletti oggi sembrano davvero di un’altra epoca, perché vedevano queste due istituzioni interdipendenti, con un Guido Carli che da governatore voleva procedere all’aumento del tasso di sconto e un Ugo La Malfa che da ministro del Tesoro lo pregava di rinviare. Tutto all’interno di una dialettica molto rispettosa dei ruoli, certo, come non poteva non essere con personaggi di quella caratura. Di fatto, però, quella era l’epoca in cui la politica monetaria non era separata, né formalmente né di fatto, dall’azione di governo dell’economia.
Per il divorzio bisognerà aspettare gli anni Ottanta, dopo anni di inflazione, rivendicazioni salariali e una crescita del debito pubblico che la Banca si trovava a dover acquistare per forza, gonfiando via via il suo attivo. Il che non ha mancato di provocare più volte, nelle esternazioni ufficiali di via Nazionale, l’insofferenza verso un’“alleanza che promuove e sostenta l’inflazione”, come la chiamò Baffi, quella cioè tra forze politiche e forze sociali, tra governo e sindacati.
Lo sancì, quel divorzio, Carlo Azeglio Ciampi nel 1981, parlando esplicitamente di autonomia delle banca centrale, che fu agevolata in questa “liberazione” dalla nascita dello Sme, il sistema monetario europeo, che prevedeva l’allentamento del controllo sul cambio, dava flessibilità ai movimenti di capitale e faceva tornare i tassi di interesse positivi in termini reali. L’inflazione, dopo impennate a due cifre, finalmente scese e si assestò intorno al 6 per cento. I governi non smisero, però, la cattiva abitudine di alimentare disavanzi.
Veniamo all’oggi, senza andare oltre nel ricostruire il dotto excursus di Visco. Perché è ancora sul tasto dell’autonomia che tocca tornare. Non che si sia indebolita o scolorita. La nascita dell’euro e della Banca Centrale, nel frattempo, ha reso tutto il sistema molto più indipendente e protetto dalle incursioni politiche. Ma non si possono non ricordare, in questa nuova temperie politica, le bordate della Lega all’indirizzo di via Nazionale: dalla speciosa questione delle riserve auree, di chi fossero e di chi le potesse usare, sollevata dall’economista leghista Claudio Borghi e da Salvini stesso («L’oro è degli italiani!»), alle scortesie del leghista Gian Marco Centinaio («Non mi fido di Banca d’Italia»), fino alla proposta dell’altro economista della Lega, Alberto Bagnai, di portare le nomine nel direttorio della Banca, che è il suo governo, tra le prerogative del presidente del consiglio. Cioè della politica.
Senza dimenticare l’affondo più diretto sul tema dell’indipendenza, quello di Fratelli d’Italia, con la proposta di legge, scritta da Guido Crosetto, per la sua nazionalizzazione e il suo trasloco sotto il controllo del Tesoro. Era il 2019, neanche tanto tempo fa, e lo slogan era: «la Banca d’Italia deve operare nell’esclusivo interesse del popolo italiano e non rispondere ai poteri finanziari», parola di Giorgia Meloni.
C’è bisogno d’altro per guardare nella sfera di cristallo e interpretare i prossimi mesi? Ignazio Visco, in questa pacifica mattinata della Lezione Ugo la Malfa affollata di economisti e banchieri non avrà certamente voluto alludere a nessuna delle insidie schivate nel recente passato. Ma sarebbe ingenuo pensare che siano state archiviate. Basta attendere. Estote parati.