Le vicende che hanno portato alla riforma dell'assetto di Via Nazionale ricostruite da un osservatore
Pubblichiamo alcuni brani tratti dal libro di Oliviero Pesce “C’era una volta la Banca d’Italia. Storia del capitale dell’istituto” (Passigli Editori, Firenze, 2023. Pagg. 266, Є 28)
Le vicende che hanno caratterizzato la definizione e la proprietà del capitale della Banca d’Italia; l’autonomia e l’indipendenza dell’Istituto rispetto a una serie di altri soggetti; e la sua gestione, sui fronti – correlati e interdipendenti, ma di natura e rilevanza diversa – della politica monetaria, della vigilanza e della gestione – aziendale e operativa – hanno riguardato prevalentemente l’ultimo ventennio, e più in particolare la normativa sul sistema bancario introdotta nel 2005 – che prevedeva che il capitale della Banca d’Italia venisse trasferito allo Stato o ad altri enti pubblici, e quella – di segno opposto – del 2013 e degli anni successivi, che non solo ha consentito che la proprietà rimanesse in capo a entità divenute private e in misura prevalente vigilate dalla Banca stessa, ma ha trasferito ad esse, sotto forma di capitale aumentato gratuitamente, una quota enorme delle riserve dell’Istituto.
Le norme del 2005 avevano previsto l’adeguamento dello statuto e dell’assetto della Banca d’Italia a quello della Banca Centrale Europea e del Sistema Europeo di Banche Centrali (Bce/Sebc); e il trasferimento delle quote del suo capitale allo Stato e ad altri enti pubblici. Dal 1936 agli anni Novanta del secolo scorso le quote erano state possedute da entità prevalentemente bancarie e assicurative di natura pubblica o controllate dal settore pubblico; imprese divenute però, nell’ultimo decennio del secolo scorso, in quasi tutti i casi private e motivate dal profitto.
La nazionalizzazione sarebbe stata coerente con la natura della Banca Centrale e con le previsioni (leggi e statuti) che l’avevano regolata dal 1936 agli anni Novanta e oltre. Nel 2013 si decise invece, con motivazioni speciose e per fini che nulla avevano a che fare con le dichiarazioni avanzate in proposito, di lasciare la proprietà del capitale della Banca principalmente alle vigilate di questa, e di trasferire loro – sub specie di capitale aumentato gratuitamente – un ammontare spropositato delle riserve dell’Istituto. Il capitale così determinato è incommensurabilmente maggiore di quelli di tutte le altre banche centrali dell’Unione Europea, sia dell’Eurozona, sia appartenenti agli Stati membri dell’Ue che non hanno aderito all’euro, sia del resto del mondo.
L’analisi conoscitiva della Banca d’Italia – sulla base della quale i risultati voluti sono stati raggiunti – ha espunto casi che avrebbero dovuto essere richiamati, mentre ha analizzato una serie di fattispecie, al fine di raggiungere comunque tali risultati, in maniera distorta e strumentale; esse sono state esaminate una per una, illustrando non solo le somiglianze che si è preteso avessero con l’assetto della Banca d’Italia così come la si è voluta strutturare, ma le assai più concrete e fondamentali differenze.
Lo studio ha poi esaminato numerosi fattori economici che avrebbero dovuto indurre a valutazioni sostanzialmente difformi da quelle raggiunte, ripercorrendo pedissequamente le argomentazioni sottoposte ex ante al Parlamento italiano e alla Bce da parte del Governo e della Banca d’Italia, i pareri inviati dalla Bce alle autorità italiane a seguito delle indicazioni ricevute, la procedura seguita per approvare le innovazioni introdotte nel sistema e le giustificazioni ex post che la Banca d’Italia ha voluto offrire ai cittadini al termine del processo, che – pur non condivise dalla Bce – sono state da essa ribadite.
Il volume ha altresì esaminato brevemente il percorso che ha portato all’approvazione dei provvedimenti assunti nel 2013-14. Il Presidente del Consiglio, pressato da altre e urgenti esigenze di bilancio, li ha suggeriti. Il Ministero competente, li ha sollecitati, se non, addirittura, richiesti. Il sollecitato ha accolto (indebitamente) le sollecitazioni, ma non volendo essere solo a porre in atto quanto ne sarebbe disceso, non solo ha raccontato della richiesta in varie sedi pubbliche, ma ha fatto approvare dalla Banca la nomina di esperti. Questi si sono limitati a dare il loro ausilio; non si sa esattamente su cosa. Lo Stato italiano è stato esplicitamente e pubblicamente denigrato. Gli estensori tecnici del documento che avrebbe consentito l’approvazione dei provvedimenti affermarono che si sarebbe giunti, con altri metodi, a risultati ben inferiori, ma dopo questa dichiarazione esplicita hanno definito ventagli di enorme ampiezza.
Il Parlamento, che voleva raggiungere un altro obiettivo, la copertura dell’Imu (in quella sede se ne parlò apertamente), si lascia affabulare fino a un certo punto, e invece di imporre un risultato, come un Parlamento avrebbe dovuto fare, emanò una sorta di atto amministrativo, limitandosi ad «autorizzare» la Banca ad aumentare il capitale, fino all’importo massimo, reso possibile dai vari intervalli ipotizzati, in modo da assicurare la copertura necessaria al Fisco, non essendoci altri barili da raschiare in tempi brevi. Viene convocata l’assemblea straordinaria dei partecipanti, cui si racconta quel che si è ottenuto, incluso il mantenimento dell’assetto esistente, e l’Assemblea delibera il nuovo statuto e l’aumento di capitale (finalmente c’è qualcuno che provvede), e cioè di attribuire a sé medesimi, non più in assemblea, ma ognun per sé, asset dello Stato se non della collettività.
L’Assemblea approva l’aumento, e se ne accorge anche il Parlamento, piccato, il 23 dicembre, prima ancora che sia approvata la legge (non dispositiva, ma meramente autorizzativa) e inaudita la Bce.
Ma c’è l’urgenza, che tutto assolve. I vecchi partecipanti vanno anche risarciti per le tasse che devono (forse e non tutti) pagare, per cui, mentre la logica avrebbe imposto di non pagare i dividendi nei tre anni previsti per il disinvestimento, affinché il mercato si creasse in fretta e i dividendi futuri venissero corrisposti ai nuovi partecipanti, le norme prevedono il contrario.
Lo studio infine, richiamando la Costituzione della Repubblica, art. 47, 1° comma che recita: La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito…, mette in luce che, se la disciplina, il coordinamento e il controllo dell’esercizio del credito, sono stati fondamentalmente attribuiti e/o delegati alla Banca d’Italia e all’Eurosistema – dalla normativa della Repubblica e dai Trattati europei settoriali – la proprietà in capo a imprese legittimamente private e orientate al profitto di un Istituto di diritto pubblico, autorità indipendente, responsabile del Governo del credito e corresponsabile della Vigilanza europea sul settore creditizio, appare radicalmente incompatibile con l’ordinamento.