Italia terreno di caccia.
Ecco chi vuole investire
P. P.

«Nei prossimi dieci anni si prospetta una mole di investimenti in infrastrutture superiore a quella del periodo post-bellico. È per questo che l’Italia viene considerato, insieme alla Spagna, il paese più interessante su cui puntare». Luca Petroni, Presidente di Deloitte Financial Advisory, ha appena tirato le somme del survey condotto dal gruppo internazionale di consulting con il Casmef della Luiss, per raccogliere l’opinione degli operatori del settore in Europa, e incorona il nostro paese come nuova mecca per chi vuole investire denaro in strade, reti di trasporto ferroviario e metropolitano, energia, telecomunicazioni. «La domanda della finanza c’è, l’Italia deve colmare il gap creato dai rinvii di spesa degli ultimi anni, e gli annunci fatti da Fs, Anas e altri soggetti, di una ripresa degli investimenti, solleva molte aspettative», dice. Il primo segnale che l’Italia è nel mirino dei fondi internazionali a caccia di rendimenti sicuri è stata l’offerta arrivata a Ntv, la compagnia di treni privati di Montezemolo e Della Valle, da parte di Global Investment Partners, fondo Usa. Offerta accettata. E viene seguito con attenzione il prossimo scorporo della rete telefonica che Tim ha appena deciso di realizzare, che potrebbe essere un altro boccone interessante. Come spiega nelle sue conclusioni il survey (in forma integrale in allegato), oggi la cosa più conveniente è investire in infrastrutture già esistenti, le cosiddette “brown field”, soprattutto se si tratta di infrastrutture di reti regolate con una remunerazione sicura, cash flow stabili e indicizzati all’inflazione, che permettono l’uso di una leva finanziaria elevata, tutti requisiti che le fanno essere più attraenti di una qualsiasi obbligazione. Lo ha capito già da qualche anno la RTR del fondo Uk di private equity Terra Firma, che ha comprato nel nostro paese campi di fotovoltaico per 300 Megawatt di potenza, e oggi ha la fila alla porta di chi vorrebbe subentrare. 

Eppure finora la finanza vedeva con sospetto l’Italia per via di un quadro regolatorio instabile. Cosa è cambiato? 
«I timori su questo aspetto ci sono sempre», risponde Petroni, «ma si sono attenuati. E poi c’è il fatto che da noi l’unico fondo specializzato in infrastrutture è F2i. Per il resto siamo dei nanetti. Mentre all’estero gli operatori sono tanti e a caccia di affari, e cominciano a voler entrare in Italia per aggiungerla al proprio portafoglio». 

Chi sono? 
«Sulla base dei recenti deal e rumors di mercato, sono particolarmente attivi con investimenti o potenziali investimenti nel nostro paese i fondi infrastrutturali internazionali Ardian, InfraCapital, Quercus Swiss Life, Global Infrastructure Partners, Deutsche AM, Macquarie, Antin Infrastructure Partners, Equitix». 

Cosa preferiscono acauistare? 
«Visto che gli investimenti “green field “ sono visti ancora come piuttosto rischiosi, per via dei tempi lunghi che aumentano l’incertezza e i costi, e quindi sono più difficili da finanziare, gli investitori si focalizzano sul “brown field”, le infrastrutture già esistenti dove è più facile capire quanto traffico c’è e quindi stimare nel tempo i revenues». 

La finanza quindi può dettare le priorità alla policy perché dia il via libera a una iniziativa piuttosto che un’altra se vuole essere attraente?
«Gli investitori, come dimostra il nostro survey, hanno delle preferenze. Ma lo Stato deve fare in modo che il capitale pubblico, e quello privato, vadano nella direzione giusta». 

Ci sono anche fondi pensione? 
«Tradizionalmente le strategie dei fondi pensione italiani per la previdenza complementare sono state principalmente orientate verso il conferimento di mandati di gestione per portafogli bilanciati, con allocazione prevalente in obbligazioni mondiali ed in quota residuale in azionario mondiale, senza alcun focus particolare sulle infrastrutture. Questa strategia ha comportato che gli investimenti dei fondi pensione italiani avessero una quota residuale e trascurabile su investimenti in Italia. Oggi però ci sono alcuni esempi di di fondi pensione italiani che hanno manifestato una maggiore sensibilità e interesse negli investimenti in infrastrutture. Un esempio è invece quello di Cassa Previdenza ed Assistenza dei Geometri (CIPAG), Ente di previdenza dei periti industriali (EPPI) e Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti (Inarcassa), che hanno dato vita alla società Arpinge, focalizzata su investimenti in infrastrutture. E recentemente anche il fondo pensione italiano Cometa (Fondo Nazionale Pensione Complementare per i lavoratori dell’industria metalmeccanica) ha dichiarato un interesse per investimenti “alternativi”, relativi al settore infrastrutture». 

E le banche come si comportano? Per ora sembra che la grande liquidità disponibile non riesca ad arrivare all’investimento in infrastrutture… 
«Le banche hanno regole che disincentivano questo tipo di investimento diretto. Ma partecipano finanziando le imprese che costruiscono le infrastrutture, anche grazie all’aiuto della Bei, che co-finanziando i progetti, ne riduce il rischio». 

Quali infrastrutture sono più attraenti per la finanza? 
«I segmenti che destano particolare interesse da parte degli investitori sono gli aeroporti strategici (dove i deal sono caratterizzati da multipli particolarmente elevati), il segmento delle infrastrutture telecom e quello delle infrastrutture di energia regolate».