approfondimenti/politica economica
Italia, controstoria del 2020

L'anno appena trascorso avrebbe potuto dare risultati diversi se il governo in carica avesse agito in un altro modo nell'uso delle risorse disponibili? Quali decisioni cruciali avrebbero potuto farci procedere più velocemente verso riforme ancora al palo? Il 2020 visto dallo specchietto retrovisore con il rimpianto per le occasioni perse

Oliviero Pesce
Olivero-Pesce

                                                                                               

Queste considerazioni potrebbero apparire basate su un facile senno di poi. Chi scrive desidera perciò precisare di aver pubblicato considerazioni analoghe sul sito Financial Community Hub: il 4 giugno (https://mirror.fchub.it/il-mes-visto-da-vicino/) e il 14 luglio 2020 (https://mirror.fchub.it/gli-assurdi-rifiuti-dei-no-mes/) due note in tema di MES e il 13 agosto (https://mirror.fchub.it/come-non-sprecare-i-fondi-europei/) un’analisi sull’utilizzo dei fondi del Next Generation UE . Ritiene inoltre che – essendo l’utilizzo di tali fondi strettamente legato a una serie di riforme che ci vengono richieste, e che non possono essere approvate che dal Parlamento italiano – esso debba essere gestito in base a una stretta interazione tra Governo e Parlamento e non, come da più fonti richiesto, da enti da istituire ad hoc in base a modelli anacronistici e neppure dalla pletora di consulenti prevista dal Presidente del Consiglio allora in carica.

La nuova politica economica europea

Con un approccio innovativo, dopo anni di autoinflitta politica prociclica che tra il 2007-8 e il 2011-13 ha contribuito ad aggravare le crisi economiche di quegli anni, l’Unione europea ha deciso, per la crisi sanitaria ed economica dovuta alla pandemia, di adottare politiche di stimolo, in un quadro di auspicate riforme da introdurre a livello nazionale in base a direttive comunitarie.

Al riguardo, l’UE dichiara che «il bilancio europeo a lungo termine, settennale (2021-27), sommato al Next Generation EU – lo strumento temporaneo che ha l’obiettivo di innescare la ripresa – saranno le maggiori misure di stimolo mai finanziate mediante il bilancio dell’UE. Un totale di € 1.800 miliardi [per l’esattezza, € 1.824,4] contribuiranno alla ricostruzione dell’Europa post-Covid 19, rendendo l’Europa più verde, più digitalizzata e più resiliente. Il risultato relativo all’adozione del bilancio settennale è stato raggiunto il 17 dicembre 2020». Riportiamo le allocazioni per settore:

Bilancio pluriennale 2021-2027 – Allocazioni per voce e complessive, in miliardi di euro:

 Importi in € a prezzi costanti 2018. Fonte: Commissione europea      

La suddivisione dei fondi del Next Generation EU – in miliardi di euro – è la seguente:

Le dichiarazioni, in realtà, contengono una buona dose di propaganda. Sul totale messo in gioco, € 1.074,4 miliardi sono erogabili su sette anni, mentre i 750 milioni nel Next Generation EU su sei; mediamente, quindi, si tratta di 153,5 miliardi l’anno per il bilancio e di 125 miliardi per il piano; in totale € 278,5 per sei anni e € 153,5 per il settimo. Cifre pari, la prima, all’1,1% circa del PIL dei 27 paesi membri (nel 2019 di circa € 13,9 trilioni), e la seconda allo 0,9%; per un totale, nel primo sessennio, del 2%; ancor meno se, come si auspica, nei sei-sette anni il PIL dell’UE dovesse crescere.

In effetti, però, il bilancio settennale non rappresenta affatto uno stimolo; esso non si discosta molto dal precedente e – dovendo essere in equilibrio – è bilanciato da altrettanti introiti fiscali a carico dei paesi membri. Lo stimolo è rappresentato solo dai 750 miliardi del Next Generation EU, programma dichiaratamente temporaneo, spendibili, come abbiamo visto, su sei anni, ma solo a partire dal momento in cui il programma di indebitamento dell’Unione (la «Own Resources Decision») verrà ratificata da tutti gli Stati membri, senza di che la Commissione non potrà raccogliere sul mercato i fondi necessari.

Lo stimolo, se mai, sarà dovuto più ancora al temporaneo abbandono delle regole restrittive sull’indebitamento dei paesi membri: una inversione a U del paradigma adottato nelle crisi precedenti, che si concretizza in un napoleonico endettez-vous!  Cui si aggiungono gli stimoli della BCE, il cui bilancio è costantemente cresciuto nell’ultimo quinquennio, mentre il suo recente Pandemic Emergency Purchase Programme, avviato nel 2020, implica ulteriori incrementi. Un programma temporaneo di acquisto di titoli dei settori pubblico e privato, che dagli iniziali 750 miliardi di euro è stato aumentato di 600 miliardi il 4 giugno 2020 e di altri 500 il 10 dicembre, portandolo a  € 1.850 miliardi, caratterizzato da aspetti di rischio piuttosto laschi, e spendibile in tempi ben più brevi dei fondi erogabili della Commissione; e che ha comportato negli ultimi mesi una forte accelerazione dell’incremento del bilancio consolidato dell’Eurosistema.

Ecco il dettaglio, in € miliardi e in percentuale, del bilancio della BCE al 31/12 degli anni sottoindicati:

e degli asset del bilancio consolidato del Sistema europeo di banche centrali, che comprende le Banche centrali nazionali e la BCE:

Va notato come, almeno dal 2015, la Bce si sia trasformata prevalentemente, con gli acquisti di titoli, da banca delle banche in banca degli Stati membri dell’eurozona e tutore dell’euro. A tutti questi fondi si aggiungono quelli del SURE, per ulteriori € 100 miliardi, un programma di sostegno per i lavoratori disoccupati, e quelli offerti dal MES (che non è un’entità dell’Unione, ma degli Stati membri che vi hanno aderito), per complessivi € 200 miliardi, mediante prestiti da utilizzare esclusivamente nel settore sanitario e della salute pubblica, ma altrimenti incondizionati; i finanziamenti della BEI, che nel 2019 ha concesso 367 prestiti per un totale di  €45 miliardi, che includono numerose operazioni assistite dal Fondo europeo per gli investimenti strategici.

Ma i contributi maggiori che il nuovo approccio ha fornito all’auspicabile evoluzione della situazione consistono nelle indicazioni qualitative date ai paesi membri (criteri cui tanto la BEI quanto gli altri fondi europei si allineano), tra le quali l’allocazione del 37% del Next Generation EU agli investimenti e alle riforme in tema di clima e del 20% per sostenere la transizione digitale, tracciando così una nuova rotta comune, cui gli Stati membri dovranno ottemperare; l’indicazione che gli interventi dovranno essere coordinati a livello europeo; e quello, principalmente simbolico, di assumere a livello europeo un debito condiviso, anche per una quota rilevante di fondi che non dovranno essere restituiti; e la durata dei rimborsi programmati, che va sino al 2058, primi sintomi – questi ultimi – di un bilancio veramente europeo.

Provvidenze a favore dell’Italia

Dei 750 miliardi di euro del Next Generation EU, 209 miliardi, il 27,9% del totale, sono stati assegnati all’Italia, una percentuale elevatissima, che ha comportato negoziati complessi e opposizioni (anche se la percentuale delle sovvenzioni è ben inferiore a quella dei prestiti); ciò che è dovuto, più che alla benevolenza e alla solidarietà degli altri Stati membri, alla preoccupazione che una crisi italiana avrebbe potuto comportare una grave crisi dell’intera Unione. I 209 miliardi da spendere in sei anni sono pari a poco meno di €35 miliardi l’anno; sul nostro PIL 2019, di circa €1.778 miliardi, poco meno del 2%.

Un contributo generoso e non trascurabile, con rimborsi a lungo termine e in buona parte da non restituire (anche se, in qualche forma e nel lungo periodo, dovranno essere adottate misure che consentano all’Unione di rimborsare tutti i fondi raccolti sul mercato, inclusi quelli erogati come sovvenzioni); ma, per fare qualche raffronto, gli stimoli messi in campo dagli Stati Uniti sono stati un multiplo di questi, con aumenti a due cifre della spesa; i primi interventi della Germania e del Giappone sono stati dell’ordine del 9% del PIL; dell’Italia, con i suoi scostamenti di bilancio, del 4%; della Francia del 3,8%.

Né va trascurato che l’intervento, assieme a quelli del SURE, del MES e della BEI, allevierebbe le finanze di un Paese che, con il suo bilancio per cassa del 2019 ha dovuto fare ricorso al mercato – tra risparmio pubblico negativo, interessi passivi per €80 miliardi l’anno, e rimborso dei prestiti pregressi –  per €368 miliardi e ancor più lo dovrà fare, visti i ripetuti scostamenti rispetto alle previsioni di spesa, negli anni immediatamente successivi.

Policies controfattuali 

Dovendo conoscere per deliberare, e confortato dalle valutazioni elencate sopra, a fine maggio 2020 il Governo convoca il dottor Colao e un suo agguerrito team di tecnici  per definire nei dettagli i progetti che discendono dagli indirizzi, inderogabili, forniti dall’Unione.

Si presenta poi in Parlamento per ottenere che gli venga attribuito, con Leggi delega, il potere di formulare la legislazione necessaria a rendere efficienti la Pubblica Amministrazione e la Giustizia civile, rendendone l’azione più equa e promuovendone una radicale semplificazione – giuridica e informatica – accorciandone i tempi, e limitando, nella maggior parte dei casi, l’eccesso di gradi di giudizio e di tipologie e per eliminare in radice la possibilità che le autorità locali possano impedire l’attuazione delle decisioni nazionali o sovra-nazionali e degli investimenti privati incentivati dalle autorità, e imponendo forti penalità a chi intraprenda azioni temerarie, in giudizio, intralciando l’operare della magistratura.

E ottiene una delega ulteriore per una riforma complessiva del fisco, rimodulandone opportunamente la progressività e abolendo lacci e lacciuoli connessi alla eccessiva dispersione di tasse, imposte e altre gabelle e alle farraginose burocrazie statali, regionali, provinciali, comunali e di mille altre pseudo autorità.                                                                                                                                         

Consapevole della complessità della progettazione di dettaglio del piano nazionale di investimenti e riforme (PNRR) relativo ai fondi del Next Generation EU, e del fatto che questi fondi, date le procedure di ratifica, potrebbero non arrivare mai, e comunque non potrebbero essere erogati prima di 12-18 mesi mentre il Paese ha bisogno di lavorare subito ovunque sia possibile, il Governo ottiene dal Parlamento – con un discorso magistrale del suo Presidente che non si lascia ipnotizzare dalle divergenze al proprio interno e smette di temporeggiare – di fare immediato ricorso al MES sanitario. Ricordando, convincente, che i fondi offerti sono gestiti da una  istituzione finanziaria essenziale per lo stabilità finanziaria e la soluzione dei relativi problemi per i paesi che vi hanno aderito, tra i quali l’Italia che ne è il terzo membro per peso specifico; che nel contesto attuale il MES sanitario è condizionato soltanto all’utilizzo in quel settore mentre  tutti gli altri interventi «rigidi», dopo la tragedia greca hanno portato al risanamento delle economie interessate e che essi sono stati invocati per l’incapacità di paesi in crisi di rivolgersi ai mercati e non certo perché essi avessero fatto ricorso precedentemente a fondi del MES; che si tratta, oggi, di fondi a lungo termine e a costi inferiori a quelli di mercato, e che un loro utilizzo per risolvere problemi strutturali non può comportare alcuno stigma.

E poiché le esigenze di investimenti del Paese eccedono di gran lunga quelli possibili facendo ricorso esclusivo ai fondi del Next Generation EU, potervi aggiungere € 36/37 milioni avrebbe immediati effetti benefici, portando i fondi europei utilizzabili senza fare ricorso al mercato, a oltre € 270 miliardi (oltre a quelli del bilancio pluriennale).

Infine, ed è questo l’argomento più pregnante sia sul piano sia politico sia morale, ogni decesso dovuto al mancato impiego immediato di tali fondi per la salute pubblica andrebbe imputato a chi ne impedisse l’utilizzo. Essi precluderebbero una essenziale riforma del settore sanitario, attuabile in tempi brevi, che consentirebbe anche di utilizzare presìdi oggi abbandonati. 

Si rivolge poi, il Governo, sempre attraverso il Parlamento, alle Regioni, e, introducendo sanzioni pecuniarie pesanti e proporzionate al mancato utilizzo dei fondi europei messi a loro disposizione, impone di presentare per ogni esercizio, tempestivamente, piani di investimento di interesse regionale e interregionale tra esse stesse concordati, che lascino alle prossime generazioni una eredità aggiuntiva rispetto al Next Generation EU e non vengano dissipati nella pubblicità del verdicchio marchigiano o della pancetta piacentina, con sprechi enormi di risorse altrimenti utilizzabili produttivamente.

E infine porta in Parlamento il Piano Colao, suddividendolo il quattro parti: (a) Progetti da attuare al più presto, immediatamente con i fondi del MES e negli anni seguenti con i fondi del Next Generation EU. (b) Progetti e riforme da attuare contestualmente  all’impiego dei fondi Europei, se non prima, a costo zero, o da finanziare con risorse dello Stato e degli altri Enti pubblici e del settore privato, disposti e capaci di investire. (c) Progetti di minore urgenza, da attuare successivamente. (d) Proposte da respingere.

Proponendo allo stesso tempo di concentrare le limitate risorse europee tra pochissimi progetti di portata nazionale o europea (per esempio aderendo al piano per la creazione di un Cloud europeo), e di avviare subito due o tre progetti eseguibili in sicurezza malgrado la pandemia (in laboratorio, o all’aperto, come quelli stradali o ferroviari), in modo da impiegare, oltre che per la sanità, risorse umane altrimenti disoccupate, minimizzando così la necessità di «ristori» e di sprechi.

Ritorno alla realtà

Purtroppo il senso del tempo, e dell’urgenza, sembrano essere mancati e abbiamo raccontato un sogno. Peccato. La sostituzione di un non eletto con un altro non eletto ha fatto molto rumore. Ma non di soli eletti è fatto il mondo, e l’avvenimento ha traghettato su posizioni europeiste buona parte dei recalcitranti e può far svolgere all’Italia un ruolo centrale in Europa.