approfondimenti/politica economica
Istituzioni e Prosperità: Il Nobel a Tre Innovatori della Political Economy

Acemoglu, Johnson e Robinson hanno spostato il focus della loro ricerca dai tradizionali fattori di crescita economica - come il tasso di risparmio, l’accumulazione di capitale, i fattori geografici o culturali - alla qualità delle istituzioni che regolano economia e politica. E hanno dimostrato che queste istituzioni non sono semplici sovrastrutture della struttura economica sottostante, ma cause dirette della prosperità dei Paesi

Giovanna Vallanti

Il premio Nobel per l’Economia 2024 è stato assegnato a Daron Acemoglu, Simon Johnson e James A. Robinson per i loro contributi innovativi nel campo della political economy. I loro studi hanno aperto nuove prospettive sulla comprensione delle cause delle disuguaglianze economiche globali, dimostrando come la struttura delle istituzioni e le scelte politiche siano decisive nel determinare la prosperità o il declino economico di una società. Adottando un approccio interdisciplinare che unisce l’analisi storica, politica ed economica – tipica della political economy – con il rigore dell’analisi econometrica causale, i tre studiosi hanno spiegato perché alcune nazioni siano ricche e altre povere, sottolineando l’importanza della qualità delle istituzioni create durante l’epoca coloniale.

Il centro della loro teoria risiede nell’idea che le istituzioni, definite come l’insieme delle regole economiche e politiche di una società, siano essenziali per la crescita economica a lungo termine. Le istituzioni inclusive, che proteggono i diritti di proprietà e incoraggiano una partecipazione economica diffusa, promuovono lo sviluppo e il benessere collettivo. Al contrario, le istituzioni estrattive, costruite per avvantaggiare una ristretta élite a scapito del resto della popolazione, ostacolano la crescita e mantengono nel tempo situazioni di povertà e disuguaglianza. Sebbene questa tesi sia intuitiva, stabilire rigorosamente il legame causale tra qualità delle istituzioni e crescita economica di lungo termine è complesso. Qui risiede il contributo fondamentale dei tre economisti, che hanno identificato tale nesso causale grazie all’uso di dati storici e all’ingegno metodologico.

Per stabilire la sequenza causale alla base delle loro teorie hanno utilizzato l’esperienza coloniale del passato, osservando che laddove le condizioni di vita erano dure e la mortalità tra i coloni (soldati, missionari e mercanti) elevata, le potenze coloniali introdussero istituzioni dittatoriali ed estrattive, mirate allo sfruttamento delle popolazioni locali. Diversamente, nei territori con condizioni di vita migliori i coloni europei si stabilirono in modo permanente, esercitando pressioni per istituire sistemi più inclusivi, fondati sulla protezione dei diritti di proprietà e sulla partecipazione civica. Queste scelte istituzionali coloniali hanno lasciato un’impronta duratura sui futuri Stati indipendenti, influenzandone in modo decisivo le costituzioni, i sistemi giuridici e le prospettive economiche.

I tre studiosi hanno inoltre elaborato la teoria dell’“inversione della prosperità” (reversal of fortune), evidenziando come molte aree prosperose nel periodo precoloniale siano oggi tra le più povere, mentre molte delle regioni arretrate siano diventate ricche. Di nuovo, questo fenomeno si lega alle diverse istituzioni imposte dai colonizzatori: nelle aree densamente popolate e prospere, come l’America Latina, furono istituite strutture estrattive per sfruttare le risorse locali. Al contrario, nelle regioni scarsamente popolate, come il Nord America, i coloni stabilirono istituzioni inclusive che favorirono la crescita economica a lungo termine.

Un ulteriore elemento innovativo del loro lavoro è l’analisi della persistenza delle istituzioni estrattive. Anche quando tali istituzioni ostacolano la crescita, spesso sono mantenute dalle élite economiche e politiche che ne traggono vantaggio nel breve periodo. Questo accade perché la promessa di riforma spesso manca di credibilità: una volta passata la minaccia di mobilitazione popolare, le élite tendono a tornare alle pratiche estrattive. In alcuni casi, le rivoluzioni o le pressioni popolari sono state l’unico mezzo per spingere le élite a cedere il potere e creare istituzioni più inclusive, come accadde in molti paesi europei durante il processo di democratizzazione tra il XIX e il XX secolo.

Il contributo teorico ed empirico di Acemoglu, Johnson e Robinson va oltre la spiegazione delle disuguaglianze economiche attuali, offrendo un quadro teorico per comprendere come e quando le istituzioni si modificano nel tempo. A volte, le istituzioni inclusive emergono in risposta a crisi economiche o cambiamenti tecnologici che erodono il potere delle élite. Tuttavia, il cambiamento istituzionale è raramente un processo automatico o lineare. Le istituzioni esistenti tendono a persistere, soprattutto quando sono progettate per difendere interessi consolidati.

Attraverso l’utilizzo innovativo di esperimenti naturali storici in combinazione con i modelli teorici, Acemoglu, Johnson e Robinson hanno rivoluzionato il nostro modo di comprendere lo sviluppo economico. La loro ricerca ha spostato il focus dai tradizionali fattori di crescita economica, come il tasso di risparmio, l’accumulazione di capitale, i fattori geografici o culturali, dimostrando come lo sviluppo economico sia strettamente legato alle istituzioni che regolano l’economia e la politica. In questo modo, hanno ridefinito il ruolo delle istituzioni nell’economia: non più semplici sovrastrutture della struttura economica sottostante, ma cause dirette della prosperità dei Paesi. Il Nobel ad Acemoglu, Johnson e Robinson è quindi un riconoscimento dell’importanza della political economy all’interno della scienza economica contemporanea.

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