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Investimenti sostenibili: quante sfumature di green

I requisiti ESG in tema di product governance dei prodotti di investimento: dove tracciare i confini tra prodotti “light” e “darkgreen? Ecco i criteri dell'Esma e i miglioramenti che il mercato attende dalla Commissione

Niccolò Lorenzotti
Lorenzotti

Non è difficile accorgersi, oramai, come l’attuazione dei requisiti di sostenibilità all’interno del settore dei mercati finanziari presenti non poche difficoltà. Questo è sempre più evidente con la graduale emanazione delle cosiddette misure di secondo livello (e.g. i regolamenti e le direttive delegate della Commissione) e delle misure di soft law come gli orientamenti e le Q&As della Commissione e delle autorità europee di vigilanza (“ESAs”).

Alla luce dei diversi standard tecnici e orientamenti emanati sulla scorta delle disposizioni contenute nel Regolamento (UE) 2019/2088 (“SFDR”) e nel Regolamento (UE) 2020/852 (“Regolamento Tassonomia”), nel presente articolo si vuole dar conto di alcuni profili problematici dell’ integrazione dei requisiti di sostenibilità all’interno della product governance dei prodotti di investimento. A tal proposito, occorre segnalare che l’Autorità Europea degli strumenti finanziari e dei mercati (“ESMA”) in seguito all’adozione della Direttiva Delegata (UE) 2017/593 della Commissione, nel luglio 2022 ha avviato una consultazione sulla revisione dei propri Orientamenti sui requisiti di product governance disciplinati dalla MiFID II.

Gli obiettivi legati alla sostenibilità dei prodotti di investimento1 sono contemplati dal paragrafo 20 dell’allegato III del documento di consultazione. L’ESMA intende includerli nell’elenco delle categorie che i produttori e i distributori di prodotti di investimento devono tenere in considerazione per individuare il mercato di riferimento dei prodotti. Tali categorie sono i) la tipologia di clienti a cui è rivolto il prodotto, ii) la conoscenze ed esperienza dei clienti, iii) la loro situazione finanziaria con attenzione rivolta alla capacità di sostenere le perdite, iv) la tolleranza al rischio e compatibilità del profilo di rischio/rendimento del prodotto rispetto al mercato di riferimento, v) le esigenze e gli obiettivi dei clienti. In particolare, i requisiti di sostenibilità sono contemplati dal documento di consultazione come sottoinsieme della categoria ‘esigenze e obiettivi dei clienti’.

I produttori e i distributori, per assicurare un livello di dettaglio soddisfacente, dovrebbero identificare gli obiettivi legati alla sostenibilità tenendo conto di una serie di aspetti stabiliti nel documento di consultazione. Questi aspetti, peraltro in linea con la definizione di ‘preferenze di sostenibilità’ di cui all’art. 2(7) del Regolamento Delegato (EU) 2017/565 e con gli Orientamenti ESMA sui requisiti di adeguatezza della MiFID II, riguardano:

  1. la proporzione minima del prodotto destinata a investimenti sostenibili dal punto di vista ambientale, come definiti all’articolo 2, punto (1), del Regolamento Tassonomia;
  2. la proporzione minima del prodotto destinata a investimenti sostenibili, come definiti all’articolo 2, punto (17), dell’SFDR;
  3. eventuali aspetti ambientali, sociali o di governance del prodotto o una combinazione di essi;
  4. i principali impatti negativi sui fattori di sostenibilità (“PAI”) che sono considerati dal prodotto e i riferimenti quantitativi o qualitativi che dimostrino tale analisi. Per valutare i PAI le imprese possono utilizzare le categorie previste negli standards tecnici di regolamentazione dell’SFDR (“emissioni”, “prestazioni energetiche”, “acqua e rifiuti”, ecc.)2.

L’ESMA, pur affermando che i requisiti di sostenibilità devono essere considerati nell’individuazione del mercato di riferimento dei prodotti di investimento, prende atto del fatto che, in base al tipo di prodotto di investimento, uno o più dei requisiti potrebbero non essere applicabili. A tal proposito, l’Autorità, nel documento di consultazione, chiede al mercato di indicare per quali categorie di strumenti finanziari non sarebbe possibile il riferimento alla proporzione minima destinata a investimenti sostenibili e precisa, altresì, che il concetto di ‘proporzione minima’ non si applica agli strumenti finanziari per i quali non è concretamente possibile definire una proporzione minima (per esempio obbligazioni e azioni). Per questo tipo di prodotti ci si potrebbe riferire alla proporzione effettiva invece che a quella minima3.

Ma vi è di più, le ESAs, stante la difficoltà di applicare il criterio delle proporzioni minime ad una serie di prodotti di investimento senza ricorrere all’interpretazione dell’SFDR (esulando tale potere dalle loro competenze), nel settembre 2022 hanno inviato una lettera alla Commissione, chiedendo chiarimenti su alcuni aspetti relativi alla nozione di investimento sostenibile. Le risposte, che non sono ancora state pubblicate, avranno un eco importante sull’applicazione dei requisiti di sostenibilità da parte dei produttori e distributori di prodotti di investimento. Per questa ragione, i paragrafi che seguono illustrano le domande ritenute più rilevanti poste dalle ESAs e riflettono sugli effetti delle possibili risposte della Commissione.

Le ESAs chiedono innanzitutto come si applica la definizione di “investimento sostenibile” di cui all’articolo 2(17) dell’SFDR agli investimenti che non specificano l’uso dei proventi, come gli strumenti di capitale o quelli di debito di una società partecipata. Per fare un esempio: un investimento in una società partecipata che ha un’attività economica, tra diverse altre attività economiche, che contribuisce a un obiettivo ambientale o sociale (e nessuna delle attività economiche danneggia in modo significativo un obiettivo ambientale o sociale e la società segue pratiche di buona governance), potrebbe essere considerato un “investimento sostenibile” in tutto o in parte?

In altre parole, si ipotizzi che un operatore del mercato finanziario investa 100.000 euro nel capitale di una società partecipata che segue pratiche di buona governance. Nessuna delle attività economiche della società partecipata danneggia in modo significativo alcun obiettivo ambientale o sociale, e la società partecipata dichiara che il 20% delle sue attività economiche contribuisce a obiettivi ambientali o sociali. L’operatore del mercato finanziario può dunque considerare l’intera partecipazione (100.000 euro) come un “investimento sostenibile” ai sensi dell’articolo 2(17), dell’SFDR, oppure solo il 20% di tale partecipazione (ossia 20.000 euro) come un “investimento sostenibile” ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 17, dell’SFDR?

Come anticipato, le risposte ai quesiti appena descritti incideranno significatamene sull’informativa che i produttori e distributori di prodotti di investimento dovranno dare ai propri clienti. Infatti, se si ammettesse la possibilità di classificare un investimento in una società partecipata che ha un’attività economica, tra diverse altre attività economiche, che contribuisce ad un obiettivo sostenibile come rientrante interamente nella definizione di investimento sostenibile di cui all’articolo 9 dell’SFDR (prodotto cosiddetto dark green), si darebbe un’informativa approssimativa e poco aderente al disposto dell’articolo 9. Al contrario, chiedendo all’operatore di specificare la percentuale concreta di prodotto conforme alle caratteristiche dark green, si rischierebbe di imporre oneri estensivi in capo agli operatori. Non solo per la quantità e qualità di informazioni che dovrebbero veicolare tra la società partecipata e l’operatore, ma anche in considerazione del numero di prodotti offerti dall’operatore.

Per non dare una falsa informativa ai clienti, si potrebbe dunque adottare la soluzione più semplicistica di classificare tutto l’investimento come conforme all’articolo 8 SFDR, investimento cosiddetto light green, ma così facendo si rischierebbe ancora una volta di adottare un’approssimazione eccessiva, con la possibile conseguenza di disincentivare gli operatori di scegliere una quota di investimenti con obiettivi sostenibili all’interno della categoria di investimenti light green.

Per comprendere al meglio le conseguenze di classificare un prodotto finanziario con le caratteristiche descritte nel quesito delle ESAs come prodotto light o dark green e cercare di anticipare il tenore dei chiarimenti della Commissione, è opportuno tracciare sinteticamente le differenze tra le due categorie di prodotti disciplinati dagli articoli 8 e 9 dell’SFDR. Per far ciò, giova fare riferimento alla serie precedente di domande in tema di SFDR, che le ESAs hanno sottoposto alla Commissione nel luglio 2021.

La Commissione, nelle risposte del luglio 2021, ha ribadito che i prodotti che rientrano nella categoria di cui all’articolo 8 dell’SFRD sono quelli che “promuovono” caratteristiche ambientali e sociali o una combinazione di esse, a condizione che le società partecipate seguano pratiche di buona governance.

Il significato che la Commissione dà al termine “promozione” ai sensi dell’articolo 8 dell’SFDR comprende dichiarazioni dirette o indirette, informazioni, relazioni, divulgazioni, nonché l’impressione che gli investimenti perseguiti da un determinato prodotto finanziario tengano conto anche di caratteristiche ambientali o sociali in termini di politiche di investimento, finalità, obiettivi o ambizioni generali in, ma non solo, documenti precontrattuali e periodici o comunicazioni di marketing, pubblicità, categorizzazione dei prodotti, descrizione delle strategie di investimento o dell’asset allocation, informazioni sull’adesione agli standard e alle categoria di prodotti finanziari legati alla sostenibilità, uso di nomi o denominazioni dei prodotti, memorandum o documenti di emissione, schede informative, specifiche sulle condizioni per l’iscrizione automatica o la conformità alle esclusioni settoriali o ai requisiti di legge, indipendentemente dalla forma utilizzata, ad esempio su carta, supporti durevoli o tramite siti web.

Diversamente, i prodotti da ricollegarsi all’articolo 9 dell’SFDR sono quelli che hanno investimenti sostenibili come loro obiettivo. Ne consegue che un prodotto finanziario in linea con l’articolo 9 investe in una pluralità di asset che si qualificano come investimenti sostenibili ai sensi dell’articolo 2(17) dell’SFDR. Infatti, la Commissione, pur ammettendo che i prodotti finanziari dell’articolo 9 possono includere investimenti che hanno l’obiettivo di ottenere copertura o liquidità, questi ultimi devono comunque soddisfare requisiti minimi di salvaguardia ambientale o sociale per essere coerenti con la generale strategia ambientale sottesa al prodotto. In ogni caso, la documentazione del prodotto deve includere informazioni su come il prodotto, complessivamente, sia conforme all’obiettivo di “investimento sostenibile”, così da rispettare il “principio di assenza di danni significativi” di cui all’articolo 2(17) dell’SFDR.

La Commissione specifica inoltre che, quando un prodotto finanziario ha un obiettivo ambientale, ma non è conforme al requisito di assenza di danni significativi, si deve qualificare come prodotto light green. E ancora, i prodotti finanziari che si collocano all’interno dell’articolo 8 possono perseguire la riduzione di effetti negativi degli investimenti sottostanti come, per esempio, i  principali effetti negativi di cui all’articolo 7(1)(a) dell’SFDR e soprattutto, come confermato dall’articolo 6 del Regolamento Tassonomia, nulla proibisce ai prodotti finanziari che rientrano nell’articolo 8 di essere costituiti in parte da investimenti sostenibili ex articolo 2(17). D’altro canto, la sola integrazione di rischi di sostenibilità di cui all’articolo 2(22) non è sufficiente per far rientrare un prodotto nella categoria light green.

È forse proprio da questi chiarimenti della Commissione che si può intuire il possibile tenore della risposta alla ulteriore domanda delle ESAs circa la possibilità di considerare, in tutto o in parte, come sostenibile un investimento in una società partecipata che ha un’attività economica, tra diverse altre attività economiche, che contribuisce a un obiettivo ambientale o sociale (e nessuna delle attività economiche danneggia in modo significativo un obiettivo ambientale o sociale e la società segue pratiche di buona governance).

Non si vede, infatti, come la risposta della Commissione potrebbe seguire un approccio diverso rispetto a quello adottato nei confronti dei prodotti finanziari. Se un prodotto finanziario si qualifica come articolo 8, pur comprendendo una quota di investimenti sottostanti che hanno come obiettivo la sostenibilità (ai sensi dell’articolo 9), se ne dovrebbe dedurre che anche al livello di singola società partecipata l’investimento dovrebbe qualificarsi come light green.

Ulteriore conferma che i prodotti di cui all’articolo 9 devono essere interamente in linea con l’articolo 2(17), sembrerebbe potersi ritrovare negli Orientamenti ESMA sulla nomenclatura dei fondi, attualmente in fase di consultazione, e in particolare nella sezione 4.2 relativa alla composizione, in termini percentuali, degli investimenti che un fondo deve avere per poter utilizzare nel proprio nome termini legati alla sostenibilità. Negli Orientamenti sulla nomenclatura dei fondi, ESMA individua i confini dei fondi classificabili come light green, proponendo l’approccio seguente: i) se un fondo ha nella sua denominazione un termine legato a tematiche ESG, almeno l’80% dei suoi investimenti deve essere utilizzata per soddisfare le caratteristiche ambientali o sociali o gli obiettivi di investimento sostenibile; ii) se un fondo ha nella sua denominazione la parola “sostenibile” o qualsiasi altro termine derivato dalla parola “sostenibile” deve destinare, all’interno dell’80% degli investimenti che soddisfano le caratteristiche/obiettivi di cui al precedente punto i), almeno il 50% degli investimenti in investimenti sostenibili come definiti dall’articolo 2(17).

L’ESMA raccomanda una soglia di almeno il 50% di investimenti sostenibili come approssimazione adeguata, in modo che i fondi che ottemperano all’informativa di cui all’articolo 8 SFDR (che soddisfano la percentuale minima dell’80% di investimenti con caratteristiche ambientali o sociali) garantiscano la coerenza dei loro investimenti con l’uso del termine “sostenibile” o di altri termini legati alla sostenibilità nella loro denominazione. Tali indicazioni, prosegue l’ESMA, non influiscono sull’interpretazione della Commissione fornita nelle Q&As di luglio, secondo la quale i prodotti finanziari che danno un’informativa ai sensi dell’articolo 9 SFDR “possono investire in un’ampia gamma di attività sottostanti, a condizione che tali attività sottostanti si qualifichino (tutte) come ‘investimenti sostenibili’, come definito al punto 17 dell’articolo 2 SFDR“. Da qui la conferma che i prodotti di investimento sostenibili devono essere, nella loro totalità, volti ad obiettivi sostenibili.

In conclusione, appare difficile ammettere l’ipotesi che gli investimenti nelle società partecipate sottostanti al prodotto di investimento possano qualificarsi come investimenti sostenibili dark green, piuttosto che investimenti light green, se la totalità delle attività delle società partecipata non ha obbiettivi di sostenibilità. Tuttavia, è bene notare che, se questo approccio appare lineare da un punto di vista logico, in questo modo si rischia di svuotare, o quasi, la categoria dei prodotti dark green.

E allora, varrebbe la pena interrogarsi sull’opportunità di aggiungere un’ulteriore categoria di prodotti, oltre ai light e dark green, in modo da rispecchiare più adeguatamente la varietà dei prodotti di investimento sostenibile. Gli operatori del mercato, in attesa dei chiarimenti della Commissione, hanno contemplato la categoria denominata ‘8 plus’ per far riferimento a prodotti che hanno caratteristiche ibride tra light e dark green. Questa soluzione sembrerebbe poter giovare agli investitori, poiché offrirebbe un ulteriore grado di trasparenza e, allo stesso tempo, incentiverebbe gli operatori a scegliere una quota di investimenti sostenibili ex articolo 2(17) SFDR all’interno di una categoria di prodotti che non dovrebbe necessariamente essere in linea con i requisiti molto stringenti dell’articolo 9 SFDR. Considerazione che, tuttavia, appare caratterizzata tanto da connotati tecnici, quanto da considerazioni di natura politica. A maggior ragione, un intervento della Commissione è atteso con trepidazione dal mercato.


1 I prodotti di investimento a cui si applicano gli Orientamenti sui requisiti di product governance sono i) gli strumenti finanziari di cui all’articolo 4, paragrafo 1, punto 15 della MiFID II ad eccezione di obbligazioni senza altri derivati incorporati se non una clausola di rimborso anticipato e strumenti finanziari commercializzati o distribuiti esclusivamente a controparti qualificate; e ii) i depositi strutturati di cui all’articolo 4, paragrafo 1, punto 43 della MiFID II.

2 Paragrafo 20, Orientamenti ESMA35-43-3114.

3 Nota 13 del documento di consultazione ESMA35-43-3114.