new
In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Intrecci diabolici nel gioco dell'Opa

Innalzamento della soglia dell'Opa obbligatoria al 30 per cento e Golden Power sono le due regole, di fatto di pari livello, che determinano un doppio binario regolatorio incomprensibile per il mercato. Un tagliando di revisione è necessario

Giuseppe Guglielmo Santorsola
santorsola

Nel 2025 il settore bancario ha vissuto un anno di grandi attese in merito a numerose ipotesi di merger& acquisition, nella forma di offerte pubbliche di acquisto e/o scambio anche incrociate fra di loro, la cui finalità era quella di modificare consistentemente l’assetto del sistema bancario a tutti i livelli dimensionali.

Salvo operazioni minori (di fatto scontate), non si è concluso nulla di definitivo e/o di significativo. L’operazione che si è tecnicamente conclusa (MPS-Mediobanca) è ancora sotto osservazione per le modalità con cui si è sviluppata e per alcuni contenuti giuridici. Questa operazione ha in sé un senso economico-strategico, ma genera impatti “extra-moenia” che hanno solleticato azioni giuridiche di contrasto. La vertenza è ancora in corso e si profila una divergente interpretazione fra la Procura che indaga e la Consob che – ufficialmente – ha negato l’esistenza di patti occulti fra gli operatori coinvolti.

Una prima considerazione suggerisce che il contenuto giuridico delle norme che regolano le offerte pubbliche (quelle di acquisto e scambio in questo caso) non siano adatte a renderle trasparenti e agevoli da gestire a causa di una serie di intrecci di competenze, di contrappesi decisionali e di coinvolgimento di soggetti che non “appartengono” al sistema finanziario.

Un’offerta pubblica è uno strumento storicamente consolidato, che favorisce la movimentazione dei settori economici e pone in evidenza tutte le opportunità di scambio possibili sul mercato. Di per sé potenzialmente eccellente, è stata spesso oggetto di forzature o di utilizzo anche anomalo, irregolare o non efficace; come tutti gli strumenti finanziari e le relative operazioni non è né buona né cattiva. Esiste perché il mercato la concepisce e la attua. Non si può vietare perché resterebbe sottotraccia, va regolata e questo non è facile.

In particolare, le condizioni di debolezza normativa si manifestano quando entrambi i protagonisti hanno la forza e la volontà di conseguire i propri obiettivi di attacco e di difesa. L’arma suggerita dalla normativa è sterile e formale. Un soggetto propone l’offerta e l’altro ha l’obbligo di esprimere la sua posizione in merito (offerta amichevole o ostile). Quand’anche nella maggior parte dei casi la proposta venga definita ostile, ciò non significa che corrisponda alla verità, quanto all’espressione della richiesta di un rialzo delle condizioni di pagamento; inoltre, molti eventi del recente passato evidenziano il parere di ostilità dei consigli di amministrazione e la disponibilità ad aderire da parte dei soci, soprattutto quelli professionali e istituzionali. In questo doppio passaggio si intersecano obiettivi di corretti contrappesi con la naturale sussistenza di conflitti di posizione.

In questa nota intendo trattare solo delle offerte effettivamente ostili per la loro natura o struttura e non quale momento di una naturale negoziazione al rialzo, una volta scontato l’esito finale. Inoltre, tutte le ultime operazioni hanno visto protagoniste banche sane o almeno stabili, capaci patrimonialmente di difendersi e, fatti salvo alcuni casi marginali di BCC minori, nessuna bisognosa di azioni risolutive, quanto di “ricovero” per utilizzare il linguaggio della BRRD, normativa comunque del tutto estranea alla fattispecie descritta.

Nei primi mesi del 2025 sono state proposte da intermediari italiani sette offerte pubbliche di acquisto, scambio o incrociate. Quattro operazioni si sono concluse con successo, di cui una ha conseguito un risultato ancora non consolidato, comunque con controllo maggioritario; le altre risultano sospese, ma non ancora abbandonate (tranne una); un’altra è stata accantonata perché non approvata dall’assemblea della banca proponente.

Una prima valutazione indica che hanno avuto esito positivo quelle che riguardavano almeno un soggetto minore (IFIS/ILLIMITY, BPM/ANIMA). Le altre due situazioni erano condizionate dalla compresenza di uno o più soggetti in entrambe le parti (BPER/BP Sondrio, tramite UNIPOL e MPS/MEDIOBANCA tramite DELFIN e CALTAGIRONE più altri minori), in attesa della conclusione dei rilievi individuati dalla Procura. Le operazioni maggiori sono in empasse comunitario (UNICREDIT/COMMERZBANK), politico e di governance (UNICREDIT/BPM) o accantonata per mancato approvazione assembleare (MEDIOBANCA/BANCA GENERALI).

I soggetti imprenditoriali Delfin e Caltagirone sono peraltro presenti anche nelle tre situazioni ancora non concluse e con pesi talvolta determinanti; per di più sono attivi nella governance (e condizionanti) nel tassello o target finale dell’ultima operazione (Gruppo Generali). Resta un fattore anomalo nel circuito laddove Mediobanca è stata o è soggetto sia attivo che passivo con l’ulteriore peculiarità di essere azionista di riferimento del Gruppo Generali, avendo essa stessa fermato l’OPS Mediobanca Premier-Banca Generali che ne modificherebbe il portafoglio storico, crocevia di posizioni che potrebbero ridisegnare il quadro dei rapporti economici e finanziari anche al di fuori del “risiko” attuale. Certamente andrà valutato l’impatto della nuova governance a guida MPS.

Nel frattempo, Assicurazioni Generali, per conto suo e al di fuori formalmente da questi intrecci, ha abbandonato a fine anno, in modo concordato, l’operazione di fusione della sua Banca Generali con Natixis. Resta comunque per molti l’”oggetto del desiderio” delle offerte pubbliche tentate; uno dei motivi che potrebbero rallentare a lungo ogni movimento.

Alla luce di quanto riassunto, non ha grande valenza esprimere previsioni, già smentite nel corso dell’anno. Preferisco proporre qualche sollecitazione circa un più corretto assetto della normativa, discutendo quelle previsioni che ostacolano inutilmente lo svolgersi delle iniziative; non tutti sono ostacoli, ma giusti contrappesi e strumenti di garanzia, altri offrono strumenti difensivi giuridici al di fuori delle logiche del mercato.

La sensazione per un economista o un’analista finanziario, estraneo alle posizioni politiche, è che i tradizionali criteri di analisi e valutazione non siano alla base delle scelte. Numerosi interlocutori hanno dovuto valutare scelte che coinvolgevano sezioni diverse del proprio portafoglio; quelle fattispecie che ho segnalato nel titolo come “intrecci”.

Le operazioni di M&A, come è noto, non sempre realizzano conclusioni di successo; si giudicano e valutano dopo la loro messa in opera. Nei casi in oggetto, il loro numero e la forza di mercato di alcuni operatori rende imprevedibile l’esito finale, il che – per gli intermediari finanziari – è grave ostacolo per la loro pianificazione. Ho anche la sensazione, grazie agli strumenti che ho a disposizione per conoscere e valutare i fatti, che una volta definito il quadro delle principali operazioni, alcune mosse siano tattiche e diversive.

Un diverso profilo di complessità riguarda l’utilizzo del Golden Power, una vera e propria potenziale pillola avvelenata che funziona da potente freno per il libero dispiegarsi delle scelte economiche e finanziarie. Premettiamo che il Golden Power è uno strumento normativo, previsto in alcuni ordinamenti giuridici, che permette al Governo di un Paese sovrano di bloccare o apporre particolari condizioni a specifiche operazioni finanziarie, che ricadano nell’interesse nazionale.

Debbo affermare che, dal mio personale punto di vista, il Golden Power è uno strumento “peggiore” della Golden Share. Questa è trasparente e definita; utilizzandola lo Stato esercita un potere ben espresso dalla normativa ed elimina il peso delle altre votazioni. Il Golden Power è invece indefinito nei suoi confini, può essere utilizzato in modo elastico ed è soggetto a valutazioni conflittuali della più ampia natura.

Nello specifico del caso MPS-Mediobanca, la motivazione dell’interesse nazionale è debole e poco veritiera, facendo venir meno una motivazione sostenibile per il golden power quando si prospetta, peraltro, un intervento finale del francese Crédit Agricole che ha già in Italia una posizione non marginale. Giudicando dall’esterno, le motivazioni del Golden Power sono utilizzate in modo soggettivo per quanto impositivo, perché sottrae la procedura al mondo del sistema bancario. Inoltre, nel caso in oggetto, assume un peso anomalo la quota del 10% ancora di proprietà del MEF, ma palesemente in vendita.

Inizialmente accolta con favore dalle autorità di vigilanza, l’operazione Unicredit/Banco BPM è stata invece bloccata dalle prescrizioni imposte dal DPC 18/4/25, che ha indotto UniCredit a ritirare l’offerta evidenziando un quadro regolatorio appunto poco chiaro e lamentando un grave deficit di coordinamento tra i provvedimenti di Consob e quelli conseguenti all’esercizio del Golden Power: un intervento esterno, adottato per ragioni estranee al puro interesse degli azionisti, ma capace di alterare la contendibilità del controllo a vantaggio della società bersaglio e, talora, “invocato” proprio da quest’ultima (o da suoi soci di riferimento).

Peraltro, nel nuovo scenario, Crédit Agricole potrebbe beneficiare di un ulteriore vantaggio competitivo: la soglia per l’Opa obbligatoria, che con il nuovo TUF si pone al 30%, consentirebbe di acquisire il controllo di Banco Bpm (magari con l’obiettivo finale di portare poi tutto dentro MPS-Mediobanca) sotto il nuovo limite senza dover lanciare un’offerta totalitaria, rendendola comunque non contendibile. Le due regole, di fatto di pari livello, determinano un doppio binario regolatorio incomprensibile per il mercato, ma creatore di confusione e, soprattutto, di multipli profili di azione/reazione contrastanti fra loro.

Questa combinazione diabolica rende di fatto inutilizzabile lo strumento dell’offerta pubblica volontaria, perché creatrice di approcci diversi fra loro, ma tutti protetti da uno degli aspetti della normativa. È inevitabile, a questo punto, porre mano ad una revisione del tessuto normativo, elemento complesso perché coinvolge diversi decreti legislativi e numerosi soggetti anche non nazionali.

È stato creato un vero e proprio reticolo non lineare di poteri pubblici che incidono sulla Ops e l’Opa quando è coinvolto un soggetto sottoposto alla vigilanza delle Autorità Bancarie. La vigilanza prudenziale spettante alla Bce e/o alla Banca d’Italia che si interessa anche dell’adeguatezza patrimoniale dell’offerente e della qualità del suo governo societario; la Consob verifica la completezza e la trasparenza delle informazioni fornite al pubblico degli investitori, nonché la coerenza con il mantenimento dell’efficienza del mercato del controllo societario (articolo 91, Tuf). A questo doppio binario – prudenziale e di market conduct – si aggiunge quale variabile autonoma e con libertà di intervento, il potere dell’esecutivo di esercitare il Golden Power. Qualora siano coinvolti intermediari transnazionali, questo elenco si raddoppia.

Una volta assunta una decisione, qualcuna delle parti coinvolte, non soddisfatta della decisione, può ricorrere al TAR che rivede (e nel caso UNICREDIT-BPM annulla) alcune delle decisioni assunte. Ne deriva il citato intreccio, che non solo appesantisce il processo autorizzativo, ma confonde la linea di responsabilità: se l’esito finale dell’operazione dipende da decisioni assunte su piani eterogenei (stabilità finanziaria, trasparenza informativa, interesse nazionale), è difficile per investitori e operatori individuare un criterio coerente attraverso il quale effettuare una scelta consapevole.

Anzi, cala la suggestione di utilizzare lo strumento per realizzare percorsi di crescita e sviluppo facendo mancare alcune soluzioni, che – industrialmente – sarebbero anche interessanti e funzionali alla crescita del sistema bancario italiano nel contesto della difficile competizione globale. Non dimentichiamo, peraltro, che la modifica normativa di cui parliamo è di origine comunitaria e non nazionale. Tempi ancora più lunghi e maggiore attenzione su quelli che sono tempi e misure della partecipazione delle Autorità nazionale al processo autorizzativo. Non tutti i Paesi prevedono la Golden Share e, soprattutto, ognuno la utilizza interpretandola come ritiene in quanto tutela di interessi nazionali, lavorando attorno al concetto impreciso di “interesse legittimo”

Sinceramente, osservando gli assetti societari di gran parte degli intermediari autorizzati, la presenza di soci non italiani è robusta, diffusa, e raramente contestata in passato. Mi sorge l’idea che l’applicazione del Golden Power possa avere motivazioni differenti e sia stato applicato utilizzando un tipo di operazione (l’offerta pubblica) che necessita di un consistente tagliando di revisione.

Condividi questo articolo