In Europa la disciplina civilistica dell’usura non è armonizzata. Se alcuni paesi sono del tutto privi di restrizioni ai tassi d’interesse praticati dagli intermediari creditizi; altri individuano un tasso soglia rilevante nei rapporti tra privati e diverse conseguenze a fronte della relativa violazione. Negli U.S.A, fin dalla metà dell’ottocento, è in essere una consolidata regolazione dell’interesse usurario tesa alla tutela della parte debole dei contratti di finanziamento. Tale disciplina fa registrare continui aggiustamenti nel suo perimetro di applicazione tanto soggettivo quanto oggettivo. In Italia, la disciplina applicativa dell’usura sconta, sotto il versante civilistico, importanti scostamenti indotti dal più generale assetto normativo che regola il “secondo” contratto o, equivalentemente, il contratto del consumatore. In particolare, è nota la divergenza tra Cassazione e Arbitro Bancario Finanziario sulla rilevanza degli interessi moratori ai fini della valutazione di usurarietà del prestito. La Cassazione riconosce l’idoneità anche di questi interessi ad essere calcolati per la valutazione dello sforamento del tasso soglia mentre l’Arbitro Bancario Finanziario ne esclude l’idoneità. In attesa di un eventuale intervento del legislatore domestico, è auspicabile un compiuto dialogo tra tribunali, Arbitro Bancario Finanziario e dottrina al fine di individuare soluzioni stabili e non distanti da altre similari realtà economiche.
Questioni non inedite legate, a titolo diverso, ai presupposti e alle conseguenze degli interessi usurari nell’ambito dei contratti (in senso lato) di finanziamento scontano una rinnovata attenzione in ragione dei noti, recenti arresti della Corte di legittimità sui tradizionali snodi della rilevanza della fattispecie usuraria in momenti successivi alla conclusione del contratto (c.d. usura sopravvenuta) e sul ruolo degli interessi di mora nel superamento del c.d. tasso – soglia, nonché della crescente importanza e autorevolezza delle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario.
La disciplina civilistica dell’usura è, in Europa, materia non armonizzata. Alcuni paesi sono del tutto privi di restrizioni ai tassi dell’interesse praticati dagli intermediari del credito; altri conoscono l’esistenza di un tasso soglia rilevante nei rapporti tra privati con conseguenze diverse a fronte della relativa violazione; comune è la tendenza, in quelli economicamente più avanzati, a diversificare le discipline tra rapporti (in senso lato) commerciali e contratti del consumatore. E’ del tutto evidente che, laddove alle riferite difformità abbiano a sommarsi incertezze interpretative, gli effetti in punto di concorrenza tra gli ordinamenti corrono il rischio di divenire devastanti non solo sul terreno europeo ma all’interno dello stesso paese.
Negli U.S.A, nonostante periodiche sollecitazioni alla soppressione dei limiti (statali e federali) alla misura del tasso dell’interesse rilevante a fini anti usura è in essere, fin dalla metà dell’ottocento del trascorso millennio, una consolidata regolazione dell’interesse usurario tesa alla tutela della parte debole dei contratti di finanziamento. E tuttavia, diversamente dall’esperienza domestica, quella disciplina fa registrare continui aggiustamenti nel suo perimetro di applicazione tanto soggettivo quanto oggettivo. La sua originaria applicazione a soggetto indifferente sconta una serie di eccezioni tanto relative alla dimensione e alla estensione territoriale del finanziatore quanto (e soprattutto) ai concreti bisogni di protezione del mutuatario. Sotto il primo versante, la must favorite lender doctrine consente a intermediari insediati in Stati diversi rispetto a quello del luogo di conclusione dell’accordo di poter fare applicazione del diverso (e maggiore) tasso dell’interesse consentito dallo Stato nel quale abbiano la propria sede principale; sotto il secondo, il progressivo impatto della c.d. corporate exemption doctrine, di matrice giurisprudenziale, consente di sottrarre alla disciplina anti usura le persone giuridiche in ragione della impossibilità di prefigurare per queste una debolezza contrattuale omologa a quella che caratterizza le persone fisiche nei rapporti con l’impresa finanziaria. Il progressivo affinamento degli indirizzi giurisprudenziali ha condotto, a seconda delle circostanze, a privilegiare una scriminante di tipo soggettivo che affonda le radici nella valutazione dell’effettiva esperienza finanziaria del sovvenuto indipendentemente dalla sua qualificazione giuridica o di tipo oggettivo, basata sulle finalità della richiesta di finanziamento, con sottesa divaricazione tra gli scopi di tipo commerciale e professionale rispetto a quelli di consumo.
La Francia è titolare di una configurazione tendenzialmente oggettiva della fattispecie usuraria (basata sulla determinazione di limiti legali agli interessi negoziabili) fin dalla l. 66 – 1010 del 28 dicembre 1966 (e successive modificazioni e integrazioni). Le relative disposizioni sono state significativamente trasfuse nel code de la consommation del 1993. Due importanti modifiche sopravvenute hanno peraltro circoscritto l’ambito applicativo della regolazione, di fatto omologandola alla descritta disciplina in essere sull’altra sponda dell’atlantico. La legge n. 721/2003 ha, da un lato, sottratto all’applicabilità delle descritte disposizioni le persone giuridiche che esercitano un’attività commerciale, industriale o finanziaria; quella, immediatamente successiva, n. 882/2005 ha esteso, dall’altro, la deroga agli imprenditori individuali. Residua, dal combinato disposto dei due insiemi normativi, la permanenza del divieto ai soli tassi applicati per gli scoperti di conto.
Gran Bretagna e Germania non conoscono un’apposita disciplina legislativa in materia di usura. Suppliscono, in Inghilterra, le disposizioni del consumer credit act nella parte in cui disciplinano le relazioni scorrette (unfair relationship) con il consumatore, demandando al tribunale la valutazione della esistenza o no di condizioni contrattuali unfair in un giudizio caratterizzato dall’inversione dell’onere probatorio in capo al convenuto e da ampi poteri del giudice per la riconduzione del rapporto a equità. In Germania, il § 138 del BGB prevede la nullità di contratti contrari al buon costume, nei quali una parte approfitta dello stato di bisogno (o dell’inesperienza) dell’altra al fine di trarre vantaggi sproporzionati rispetto all’oggetto del contratto. La disposizione trova applicazione anche alle fattispecie usurarie nella ricorrenza dell’elemento oggettivo (squilibrio delle prestazioni a carico dei paciscenti, avuto riguardo ai tassi di mercato e al rischio di credito) e soggettivo (intenzionalità e consapevolezza dello sfruttamento dello stato di bisogno o dell’inesperienza). A testimonianza della particolare curvatura della regola giuridica nei confronti del consumatore, il possesso di tale qualità determina la presunzione di sussistenza dell’elemento soggettivo, una volta che sia stato provato quello oggettivo.
Le modifiche alla previgente disciplina domestica portate dalla l. n. 108/1996 dispongono che “chiunque.. si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito…” etc. (art. 644 cod. pen., co. 1); “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, con la sola variante (infra dimidium) che “sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità…quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria” (co. 3). Segue la disciplina della c.d. “mediazione usuraria”, mentre la determinazione del limite (c.d. “tasso soglia”) è rimessa al Ministro dell’economia, sentita la Banca d’Italia, il quale “rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari” (art. 2 l. 108/1996). Sul fronte civilistico, se “sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” (art. 1815, co. 2, cod. civ.).
L’identificazione dell’interesse usurario con quello sopra soglia consente, diversamente dal passato, l’introduzione di una nozione unitaria di usura non più costretta a misurarsi con le valutazioni discrezionali imposte dalle clausole a contenuto mobile e indeterminato che sottendevano (ai menzionati fini) l’accertamento dello stato di bisogno del sovvenuto insieme al suo approfittamento. La limitazione dell’attività negoziale relativa al prezzo del contratto entro i limiti legislativi è peraltro accompagnata da una sanzione particolarmente penetrante. La sopravvenienza della di interpretazione autentica n. 24/2001 ha condotto a un consolidato indirizzo giurisprudenziale incline a escludere l’applicazione dello ius superveniens a fattispecie anteriori all’entrata in vigore della legge del 1996 e, con esso, all’usura sopravvenuta. Con due sentenze gemelle (nn. 602 e 603) pubblicate sotto la stessa data dell’11 gennaio 2013 a opera dello stesso estensore, la Corte suprema, nella stessa composizione, opera una distinzione tra rapporti esauriti prima della legge anti usura e rapporti in corso (o, equivalentemente, tra usura originaria e sopravvenuta). Dispone, con riferimento a clausole contenute in contratti di conto corrente, che interessi superiori al tasso soglia trimestralmente rilevato (tanto corrispettivi quanto moratori) “vanno considerati usurari e dunque automaticamente sostituiti anche ai sensi degli artt. 1419, secondo comma, e 1339 cod. civ…in relazione ai diversi periodi dai tassi soglia”. Il riportato decisum non è peraltro supportato da alcun apparato motivazionale. Il Collegio di Napoli dell’Arbitro Bancario Finanziario, chiamato nel successivo aprile a pronunciarsi sulla sorte di un contratto di finanziamento a utilizzo flessibile (c.d. revolving) il cui tasso effettivo globale medio (originariamente nei limiti legali) aveva nel corso del rapporto superato in alcuni trimestri il tasso soglia, muove dal riportato nuovo indirizzo della Cassazione. Precisa che la legge d’interpretazione autentica preclude rilievo all’usura sopravvenuta ai fini della declaratoria di nullità della clausola ex co. 2 sub art. 1815 cod. civ. ma non invece “in quello di garantire l’efficacia nel corso del rapporto degli interessi divenuti nel tempo usurari”. Lettura questa “coerente col rilievo che non viene, in siffatta guisa, in gioco un’inammissibile ipotesi di invalidità sopravvenuta del contratto o di una sua specifica clausola quanto piuttosto una vera e propria inopponibilità al cliente di tassi eccedentari rispetto alla norma imperativa, non potendo l’ordinamento ammettere il pagamento di interessi in misura superiore al tasso soglia trimestralmente rilevato”. Individua eloquenti indicatori della rilevanza dell’usura sopravvenuta ai fini indicati nelle stesse prescrizioni della Banca d’Italia (assunte in parte qua come integrative del percorso logico – argomentativo della giurisprudenza). Conclude, in parziale accoglimento del ricorso, per la riconduzione degli interessi ai limiti del tasso soglia (decisione n. 1796 del 3 aprile 2013. In termini, in precedenza, sulla scorta di una diversa motivazione incentrata sulla violazione degli obblighi di buona fede, v. Collegio di Roma, 29 febbraio 2012, n. 620).
Rimessa successivamente al Collegio di coordinamento la questione relativa a un prestito personale, l’organismo di nomofilachia dell’Arbitro Bancario Finanziario, precisato che, in caso di marcata e duratura discesa dei tassi di mercato, chi abbia contratto un finanziamento a tasso fisso può lamentare una violazione dell’obbligo di buona fede in capo al mutuante che (rifiutandosi di riportare i tassi al limite legale in un contesto in cui i tassi concordati erano prossimi alla soglia del tempo della stipula) abbia leso il principio di solidarietà contrattuale, anche in questo caso, per l’inesigibilità di interessi eccedentari il tasso soglia (decisione n. 77/2014).
Quanto agli interessi di mora, è noto che questi non rappresentano il corrispettivo del costo del denaro ma solo l’anticipata quantificazione del danno da inadempimento. E’, a tale riguardo, appena il caso di ricordare che, a norma del secondo comma dell’art. 1224 cod. civ., “al creditore che dimostra di aver subìto un danno maggiore” (rispetto a quello ristorato dagli interessi legali a far tempo dalla costituzione in mora del debitore) “spetta l’ulteriore risarcimento”, il quale “non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori”. Realizzando perciò la determinazione convenzionale degli interessi moratori una liquidazione preventiva e forfettaria del danno risarcibile, la relativa clausola contrattuale potrà essere assimilata a una penale di diritto privato (art. 1382 cod. civ.), in quanto tale soggetta a equa riduzione da parte del giudice nel caso in cui il relativo ammontare risulti manifestamente eccessivo (art. 1384 cod. civ.), anche d’ufficio. La conseguenza è la sottrazione degli interessi moratori alla sfera di applicazione dell’art. 1815, co. 2, cod. civ., con il correttivo dell’estensione del rimedio previsto dall’art. 1344 cod. civ. (negozio in frode alla legge) ai casi (residuali) in cui vengano previsti in capo al mutuatario termini di adempimento talmente ravvicinati da decretarne, di fatto, l’irreversibile suo inadempimento per effetto di clausole contrattuali che, sotto le mentite spoglie degli interessi moratori, simulano in realtà veri e propri interessi corrispettivi destinati a regolare (non la patologia ma) la fisiologia dello scambio e, per questa via, a violare la disciplina anti usura. Sul piano letterale, conforta l’esclusione degli interessi moratori dal calcolo del Teg l’inciso della norma penale che lega il “dare o promettere” interessi o altri vantaggi usurari al “corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità”. La questione ha assunto rinnovato interesse dopo che Cass., 9 gennaio 2013, n. 350 ha stabilito la rilevanza dell’interesse moratorio a fini anti usura in quanto (testualmente) “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”, richiamando Corte cost. n. 29/2002, cit., nella parte in cui l’inciso “a qualunque titolo convenuti” renderebbe plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio dal giudice di legittimità, “secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”. In realtà, questo unico argomento appare frutto di uno strabismo interpretativo applicato alla decisione del giudice delle leggi, visto che nella riportata sentenza, il riferimento agli interessi moratori rappresenta un mero obiter dictum, risultando – ai fini del decidere – per la stessa Corte “ininfluente” in quanto il credito oggetto del giudizio era comprensivo “anche di interessi corrispettivi, pur essi eccedenti il tasso soglia, rispetto ai quali la rilevanza della questione è assolutamente pacifica”. Quanto invece all’inciso “a qualunque titolo” che compare nella legge di interpretazione autentica, è appena il caso di soggiungere che esso ben può essere riferito alla fonte convenzionale dell’interesse (e perciò inteso a sanzionare qualunque modalità di pattuizione di interessi corrispettivi contra legem) piuttosto che a ricomprendere nell’ambito applicativo interessi aventi funzioni manifestamente diverse rispetto alla fisiologia del rapporto. Rimessa (con riferimento a estemporanei ricorsi che facevano discendere l’usurarietà del finanziamento dalla sommatoria degli interessi moratori a quelli corrispettivi) la questione al Collegio di coordinamento, questi (con una prima decisione, n. 1875/2014) conclude, nel merito, che gli interessi moratori, qualificabili in guisa di penali di diritto privato, soggiacciono al vaglio di “manifesta eccessività” ex art. 1384 cod. civ. potendo condurre, in ipotesi di accertamento positivo, alla loro riduzione nel caso di contratti (quale quello oggetto di controversia) con i non consumatori. Quanto invece a contratti di finanziamento stipulati da parte di un sovvenuto che riveste la qualifica di consumatore, la decisione n. 3412/2014 precisa che il combinato disposto degli artt. 33, co. 2 lett. f) e 36, co. 1, del codice del consumo determina in casi della specie (clausole penali non negoziate tra le parti) la prevalenza della disciplina speciale su quella generale, con conseguente declaratoria di nullità della clausola vessatoria. Sugli effetti di tale nullità, di nuovo il Collegio di coordinamento conclude che, venuti meno gli interessi moratori determinati dalle parti in quanto manifestamente eccessivi, trova applicazione per il finanziatore (in speculare applicazione dell’art. 1224 cod. civ.) la possibilità di esigere dopo la mora il pagamento degli interessi moratori nella misura concordata per gli interessi corrispettivi (decisione n. 3955/2015). Il giudicante perviene a questo risultato dopo essersi diffusamente intrattenuto sui nessi tra interessi moratori, disciplina europea e giurisprudenza della Corte di giustizia, con specifico riferimento alla norma di cui all’art. 6, § 1, della direttiva 93/13/Ce la quale sanziona con la nullità le clausole abusive del contratto del consumatore, a condizione che il contratto possa continuare ad esistere dopo la loro eliminazione. Posto che, in assenza di meccanismi sostitutivi, l’accertamento della nullità della clausola determinerebbe l’immediata restituzione del capitale da parte del mutuatario, ciò esporrebbe irragionevolmente il consumatore ad una tutela che, in realtà, non lo protegge. La qualificazione degli interessi moratori in termini di penali di diritto privato dischiude alla giurisprudenza dei singoli Collegi la possibilità di sommare questi interessi alle ulteriori, omologhe penali di diritto privato spesso contemplate a fronte dell’inadempimento e, per questa via, accertata la nullità delle relative pattuizioni, di applicare il solo interesse corrispettivo nella misura contrattualmente prevista (v., fra le tante, Collegio di Napoli, decisione n. 5319/2014). Nessuno spazio residua invece (giova ribadirlo) alla eterogenea sommatoria degli interessi moratori a quelli corrispettivi che, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza di merito (v., tra le tante, Trib. Milano, 3 dicembre 2014), “non è mai stata ritenuta legittima dalla Suprema Corte, nella misura in cui il tasso d’interesse corrispettivo e quello di mora hanno funzione e natura e applicazione del tutto diversi”.
La riportata ricostruzione della vicenda attesta che, pure nell’indifferenza soggettiva della fattispecie disegnata dalla legge del ’96, la disciplina applicativa dell’usura sconta, sotto il versante civilistico, importanti scostamenti indotti dal più generale assetto normativo che regola (in senso lato) il “secondo” contratto o, equivalentemente, il contratto del consumatore. Differenze, beninteso, minimali rispetto a quelle che in altri ordinamenti rapportano e circoscrivono (in via legislativa o giurisprudenziale) le dinamiche giuridiche prescelte restrittive dell’autonomia privata alle differenti capacità negoziali del sovvenuto. Una disciplina restrittiva dell’autonomia contrattuale sembra priva di ogni giustificazione nell’ambito di contratti tra imprese dotate di uguale potere negoziale. L’auspicio, in attesa di un eventuale intervento del legislatore, è verso un più intenso, serrato e non preconcetto dialogo tra tribunali, ABF e dottrina al fine di individuare (in una logica di concorrenza tra ordinamenti) soluzioni stabili, non opportunistiche e non sideralmente distanti da altre similari realtà economiche, idonee a comporre un puzzle divenuto, per un insieme di ragioni, oggettivamente (e intollerabilmente) sempre più aggrovigliato e complesso.