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Initial Coin Offering, attraente ma rischioso. Perché non disciplinarlo come l’equity crowdfunding?

Nel 2017 sono stati raccolti circa 3,7 miliardi di dollari tramite Initial Coin Offering (ICO), uno strumento innovativo di finanziamento il cui utilizzo è cresciuto esponenzialmente a partire dal 2013. Nonostante negli ultimi tempi la stampa e i siti specializzati parlino spesso di ICO realizzate da aziende italiane, in realtà una ICO in Italia non è ancora mai stata lanciata. Benché il management di queste aziende sia in maggioranza italiano, la sede sociale, diversamente, è sempre estera. Considerati gli interrogativi regolamentari che questo nuovissimo strumento di finanziamento solleva, è opportuno chiedersi quali regole sarebbero applicabili (o quali sarebbe meglio applicare) nel caso in cui un’impresa decidesse di utilizzare questo strumento innovativo di finanziamento in Italia.

Salvatore Luciano Furnari
Furnari-S

Il funzionamento di una ICO è molto complesso. Cercando di semplificare il più possibile, una ICO potrebbe essere ricondotta ad una nuova tipologia di crowdfunding grazie alla quale un’azienda può raccogliere fondi da un gran numero di soggetti in cambio dell’emissione di token (da cui il termine Initial Token Offering con cui le ICO sono anche note). Ogni partecipante alla raccolta riceve, in cambio del proprio contributo monetario, una determinata tipologia di diritti nei confronti dell’impresa offerente il cui esercizio è facilitato da innovativi programmi informatici. Fra questi predomina la blockchain, un sistema di registri diffuso fra i computer messi a disposizione dai partecipanti alla rete (c.d. miners) in cui vengono elaborati smart contract, contratti informatici che si eseguono autonomamente al soddisfacimento di determinate condizioni. I token sono gli strumenti informatici che, come veri e propri contenitori di diritti, ne consentono l’esercizio. Prima del lancio di una ICO, le informazioni sull’offerta sono pubblicate in un white paper, un documento che spiega gli obiettivi della raccolta e la tipologia di strumenti offerti. Ad oggi, il contenuto dei white papaer non è tipizzato né soggetto a controllo da parte di alcuna autorità. L’assenza di regolamentazione su questo aspetto rende i costi di realizzazione e di informativa finanziaria di una ICO particolarmente bassi.

Il principale ostacolo all’emanazione di una regolamentazione sulle ICO è costituito dal fatto che non esiste una tipizzazione di ciò che costituisce         oggetto di offerta al pubblico, al contrario di quanto avviene, ad esempio, per le tradizionali forme di crowdfunding. Solitamente si è soliti distinguere tre tipologie di token. Nella prima rientrano le ormai famose criptovalute, valute virtuali, prive di alcun riconoscimento normativo, utilizzate per l’acquisto di beni o servizi. Nella seconda rientrano gli utility token, token che attribuiscono al possessore la possibilità di esercitare una precisa serie di diritti esclusivamente sui beni e sui servizi offerti della società emittente (proprietà di beni, sconti, ecc.). Infine, vi sono i cosiddetti investment tokeni quali attribuiscono diritti patrimoniali sui risultati dell’impresa, come percentuali sugli utili prodotti, oppure diritti amministrativi. Parte della letteratura sull’argomento è solita assimilare criptovalute e utility token, riconoscendo solo due tipologie di strumenti. La verità è che nella pratica non è sempre facile ricondurre un token offerto ad una di queste tre tipologie a causa della diffusione di soluzioni ibride, specialmente fra investment e utility token.

Utilizzare una ICO per finanziare un proprio progetto imprenditoriale significa avere a disposizione uno strumento molto duttile. L’emittente è libero di impostare la raccolta di capitali nel modo che meglio si adatta alle proprie esigenze imprenditoriali e, quindi, di attuare il proprio business plan già dalla fase di finanziamento dell’impresa. A così tanta libertà corrisponde però un alto grado di incertezza legislativa e regolamentare. È chiaro, infatti, che la disciplina applicabile dipenderà dai diritti che i token oggetto di offerta conferiranno e, pertanto, sarà sempre necessario un giudizio caso per caso.

Ad esempio, nel caso in cui i token offerti siano riconducibili esclusivamente alla categoria degli utility token non si porranno particolari problematiche regolamentari. Riprendendo alcune categorie già note nell’ambito della finanza alternativa, questo tipo di ICO è del tutto assimilabile a una campagna di reward crowdfunding i cui attori principali non sono sottoposti ad una particolare disciplina in Italia. In linea generale troverebbero applicazione le norme del codice civile riguardanti la vendita di un bene futuro e, ricorrendone le condizioni, quelle del codice del consumo. Alle medesime conclusioni si deve giungere nel caso in cui a seguito di una ICO siano emesse delle criptovalute. Come accade per i Bitcoin, queste possono fungere da corrispettivo dello scambio di un bene o di un servizio solo con il consenso delle parti. Non dovrebbero trovare applicazione nemmeno le nuove modifiche apportare alla normativa antiriciclaggio sulle valute virtuali. Sarebbe difficile assimilare l’emittente ad un prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale per mancanza del requisito della professionalità con il quale si effettuerebbe lo scambio fra moneta corrente e criptovaluta, requisito operativo tipico dei cambia valute.

Da un punto di vista regolamentare, maggiori problematiche si riscontrerebbero nel caso in cui l’azienda promotrice optasse per l’emissione di investment token. In questo caso l’offerta avrebbe ad oggetto veri e propri strumenti finanziari, con la conseguente applicabilità di una normativa molto più complessa rispetto a quella prevista per l’emissione di altre tipologie di token. In questo caso, infatti, troverebbero applicazione gli artt. 93-bis ss. del Testo Unico della Finanza in materia di offerta al pubblico di strumenti finanziari. Ciò implicherebbe, inter alia, l’obbligo per la società emittente di diffondere, previa approvazione CONSOB, un prospetto informativo con tutti i costi ad esso collegati; costi ben più alti di quelli necessari per la redazione del già citato white paper.

Una soluzione per ridurre i costi di promozione dell’offerta, diversa dal semplice utilizzo delle esenzioni dalla pubblicazione del prospetto previste dal Testo Unico della Finanza e dal Regolamento Emittenti, potrebbe essere data dal coinvolgimento di un portale per la raccolta di capitali ex art. 100-ter del Testo Unico della Finanza. In questo modo la disciplina tradizionale appena descritta potrebbe essere sostituita da una molto meno costosa: quella sull’equity crowdfunding, le cui regole sono dettate dal Regolamento CONSOB sulla raccolta di capitali tramite portali on-line (Delibera Consob n. 18592 del 26 giugno 2013)Per l’applicazione di questa disciplina non rilevano le modalità con le quali i diritti relativi alla partecipazioni acquisita vengono esercitati (attraverso token o altri strumenti informatici). L’importante è che gli strumenti finanziari offerti siano riconducibili a “capitale di rischio”, come previsto dall’art. 1, comma 5-novies, del Testo Unico della Finanza, e che il controvalore dell’offerta abbia un valore inferiore a 5 milioni di euro.

La funzione di intermediazione può essere svolta da imprese di investimento e da banche autorizzate ai relativi servizi di investimento, le quali possono de iure gestire una portale per la raccolta di capitali. Inoltre, la raccolta potrebbe essere effettuata anche attraverso i c.d. gestori speciali non professionali, società costituite appositamente per la gestione di una piattaforma e che possono operare al soddisfacimento di determinate condizioni, tra cui l’iscrizione in un apposito registro tenuto dalla CONSOB.

In verità le piattaforme che si occupano di “intermediare” il mercato primario non sono tanto diffuse quanto quelle che gestiscono il mercato secondario degli strumenti emessi a seguito di ICO. Tradizionalmente, infatti, le ICO vengono effettuate direttamente sul sito web dell’azienda proponente. Nonostante ciò, l’utilizzo di un portale di token crowdfundingnon ne influenzerebbe la natura. La peculiarità di una ICO consiste nella         possibilità di instaurare una relazione “innovativa” fra sottoscrittori e società; relazione basata sull’auto esecuzione di smart contract e sulla fiducia che gli investitori ripongono nell’utilizzo della blockchain. Favorire questa creazione, anche da un punto di vista tecnico, potrebbe essere uno dei ruoli di queste piattaforme. In questo modo sarebbe possibile avvicinare all’utilizzo di uno strumento eccessivamente innovativo anche aziende più tradizionali che potrebbero essere guidate, passo dopo passo, nella definizione del proprio esclusivo token anche senza possedere le competenze informatiche a ciò necessarie.

Al contrario, da un punto di vista regolamentare, l’applicazione della disciplina sull’equity crowdfunding, favorirebbe una maggior tutela dell’investitore; tutela che per certi versi è anche superiore rispetto a quella apprestata dalla normativa tradizionale. Troverebbero applicazione, ad esempio, le regole che garantiscono un diritto di ripensamento sull’investimento effettuato nonché diritti di exit, fra i quali sono compresila previsione obbligatoria di clausole di tag-along nello statuto dell’emittente e la garanzia del diritto di recesso nel caso in cui la partecipazione di maggioranza venga alienata entro un certo periodo di tempo dalla conclusione dell’offerta. Essendo il fenomeno privo di regolamentazione, l’unica tutela attualmente prevista a favore dell’investitore di una ICO, oltre a quella penale, è quella informatica dovuta sia alla menzionata trasparenza insita nella tecnologia blockchain che al principio di auto-esecuzione degli smart contract.

Affiancare due diverse forme di tutela, una legislativa e una tecnico-informatica, avrebbe l’effetto finale di aumentare l’attrattività di questo strumento da parte degli investitori. È necessario, infatti, tenere conto anche degli alti rischi riconnessi alle ICO. Alcune recenti ricerche condotte da una società di consulenza americana evidenziano come un’altissima percentuale delle ICO condotte siano ad oggi (circa l’80%) si siano rivelate delle vere e proprie truffe. La tutela addizionale offerta dalla disciplina italiana sull’equity crowdfunding favorirebbe la riabilitazione di questo strumento. Ciò porterebbe a maggiori garanzie e ad una maggiore sicurezza per gli investitori, i quali sarebbero ancora più invogliati a partecipare alla raccolta in cambio di maggiore tutela. In vero, anche la partecipazione della piattaforma assicurerebbe una tutela aggiuntiva. Agendo da gatekeeper, grazie alla selezione delle imprese intenzionate a dare avvio alla raccolta, si limiterebbe esponenzialmente il pericolo che dietro alla richiesta di finanziamento tramite ICO non si nasconda, in realtà, alcun progetto imprenditoriale.