Il 23 marzo 2016 è entrato in vigore il nuovo Regolamento (UE) n. 2015/2424, del Parlamento e del Consiglio, il quale ha modificato il regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio sul marchio comunitario, il regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione – recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario – e abrogato altresì il regolamento (CE) n. 2869/95 della Commissione relativo alle tasse da pagare all'Ufficio per l'armonizzazione del mercato interno (marchi, disegni e modelli). Correlativamente, è stata approvata la Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2015 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa. Tra le principali novità sostanziali, deve menzionarsi il superamento del requisito della rappresentazione grafica del segno, il quale ha aperto così la strada ai marchi c.d. “non convenzionali” quali, ad esempio, il marchio olfattivo, il marchio di rumore e il marchio di movimento.
Il nuovo art. 4 del Regolamento (CE) n. 207/2009 dispone che: “Possono costituire machi UE tutti i segni, come le parole, compresi i nomi di persone o i disegni, le lettere, le cifre, i colori, la forma dei prodotti o del loro imballaggio e i suoni, a condizione che tali segni siano adatti a: a) distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese; b) essere rappresentati nel registro dei marchi dell’Unione europea (“registro”) in modo da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare in modo chiaro e preciso l’oggetto della protezione garantita al loro titolare”. Se ne ricava, dunque, anche la possibilità di registrare colori e suoni, purché essi rispondano alle condizioni supra elencate. Con riguardo ai marchi non convenzionali, inoltre, la portata della nuova disposizione può cogliersi in maggior misura ove si consideri che la giurisprudenza comunitaria finora si era mostrata alquanto cauta ad una simile apertura. La riforma, ancora, prevede un regime transitorio al fine di recepire le coordinate della sentenza nota come “ IP Translator” del 2012 della Corte di Giustizia UE, la quale ha ritenuto che l’ uso, nella domanda di registrazione, dei titoli di una classe merceologica non fosse di per sé sufficiente per coprire tutti i prodotti o servizi compresi in tale classe, in virtù della necessità di precisare se la domanda di registrazione debba vertere su tutti i prodotti o i servizi repertoriati nell’elenco alfabetico della classe specifica di cui trattasi o solo su taluni di tali prodotti o servizi . Ciononostante, l’UAMI, il giorno successivo alla pubblicazione della decisione, con la Comunicazione n. 2/2012, affermò che il principio sancito dalla Corte dovesse ritenersi applicabile solo ai marchi comunitari successivi alla pubblicazione della sentenza citata. Il nuovo Regolamento, onde fare chiarezza sul punto, assegna ai titolari di un marchio comunitario già registrato un termine sino al 24 settembre 2016 per inviare all’EUIPO una dichiarazione con la quale scegliere se mantenere la protezione del marchio per tutti i prodotti o servizi indicati nella classe di riferimento, compresi quelli non coperti dal significato letterale del titolo della classe, specificando chiaramente, in tal caso, quali sono i prodotti e i servizi, diversi da quelli espressamente coperti dal significato letterale del titolo della classe, per i quali si richiede la protezione e, dichiarare espressamente che, alla data del deposito del marchio, la sua intenzione era quella di ottenere la protezione anche per i beni e servizi oggetto della dichiarazione, purché i prodotti e servizi designati figurino nell’elenco alfabetico della classe della classificazione di Nizza. In caso contrario, la protezione del marchio comunitario (oggi “europeo”) già registrato avrà riguardo esclusivamente alle voci contenute nel titolo della classe, secondo il significato letterale. Di particolare interesse sono altresì le modifiche in tema di deposito della domanda di registrazione del marchio UE. Il novellato art. 25 del regolamento CE n. 207/2009 stabilisce, infatti, che tali domande devono essere esclusivamente depositate presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale. In precedenza, invece, la stessa norma prevedeva alternativamente il deposito presso l’Ufficio europeo ovvero presso il servizio centrale per la proprietà industriale dello Stato membro o presso l’Ufficio del Benelux per la proprietà intellettuale. La domanda così presentata aveva effetti identici a quelli della domanda depositata presso l’Ufficio UE. l sempre più dilagante fenomeno della contraffazione delle merci ha indotto le istituzioni europee a introdurre, nel presente Regolamento, nuove misure finalizzate non solo a impedire l’ingresso ma anche l’immissione di prodotti contraffatti in tutte le situazioni doganali, compresi il transito, il trasbordo, il deposito, le zone franche, la custodia temporanea, il perfezionamento attivo o l’ammissione temporanea, anche quando detti prodotti non sono destinati all’immissione sul mercato dell’Unione. La riforma segna un passo in avanti rispetto al precedente orientamento della Corte di giustizia dell’Unione, secondo la quale il passaggio attraverso il territorio dell’Unione europea era considerato condizione necessaria ma non sufficiente per individuare una violazione di un diritto di proprietà intellettuale. La seconda condizione necessaria, infatti, consisteva nella distribuzione, all’interno dell’Unione, della merce in questione. Ove, invece, essa non fosse stata destinata alla sua messa in vendita nel mercato UE, la medesima non poteva essere qualificata come merce contraffatta. A seguito di tale decisione, le dogane si videro ridurre sensibilmente la possibilità di sequestrare le merci sospette di contraffazione, salvo provare la loro destinazione alla vendita, la quale tuttavia risulta di difficile realizzazione a causa dei tempi rapidi entro i quali devono essere compiute le operazioni doganali. Al titolare del marchio, inoltre, viene attribuito il diritto di vietare atti preparatori all’uso o all’apposizione del marchio contraffatto. Sempre con riguardo alle azioni per contraffazione, ai sensi del novellato art. 13- bis, il titolare di un marchio UE non potrà vietare l’uso di un marchio UE registrato posteriormente quando il marchio posteriore non sarebbe dichiarato nullo ai sensi dell’articolo 53, paragrafi 1, 3 o 4, dell’articolo 54, paragrafi 1 o 2, o dell’articolo 57, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 207/2009ovvero quando il marchio posteriore non sarebbe dichiarato nullo ai sensi dell’articolo 8, o dell’articolo 9, paragrafi 1 o 2, o dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio. La ratio di una simile disposizione si deve all’irragionevolezza del divieto di utilizzo, da parte di terzi, di segni o indicazioni conformi alle pratiche di lealtà industriale o commerciale. Parimenti, viene disposto che l’uso altrui di un marchio d’impresa per fini di espressione artistica possa essere considerato corretto quando sia al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà industriale o commerciale. Prima dell’entrata in vigore del Regolamento, l’ordinamento europeo, a differenza di quello statunitense, prevedeva solo la registrazione del marchio individuale e dei marchi collettivi. Negli Stati Uniti, accanto al trademark propriamente inteso ed alcollective mark , si è soliti discorrere di marchio di certificazione (“ certification mark ”), detenuto e registrato da un soggetto incaricato di certificare prodotti o servizi altrui. Per certification mark, nello specifico, s’intende qualsiasi parola, nome, simbolo o accorgimento usato da uno o più soggetti diversi dal titolare del marchio per certificare un elemento o una caratteristica di un bene ovvero di un servizio offerto da un altro produttore. L’ente certificatore, dunque, non può usare il certification mark, il quale, al contrario, può essere oggetto di utilizzo solo da quei soggetti che, in relazione ai propri prodotti o servizi, rispettano i parametri fissati dallo stesso ente certificatore. Un esempio di questo tipo è dato dal gruppo Underwriters Laboratory, il quale individua i parametri che le imprese devono osservare affinché possano apporre il marchio di certificazione “UL” ai propri prodotti in modo che, agli occhi dei consumatori, tale marchio possa fungere da maggiore indice di qualità [3] . Ciò premesso, invero, nella direttiva (UE) 2015/2436 è stata inserita la Sezione 6, rubricata “Marchi di garanzia o di certificazione e marchi collettivi” e nel regolamento CE n. 207/2009, nel titolo VIII è stata aggiunta la Sezione 2 “Marchi di certificazione UE”. Viene, così, ampliata la categoria dei marchi registrabili, includendo adesso anche il “marchio di garanzia o di certificazione”, con tale intendendosi il marchio d’impresa idoneo a distinguere i prodotti o servizi certificati dal titolare del marchio – riguardo al materiale, al procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione dei servizi, alla qualità, alla precisione o ad altre caratteristiche – da prodotti e servizi privi di tale certificazione. Una similitudine con il citato “ certification mark” di matrice statunitense, orbene, è rinvenibile negli artt. 74 -bis e ss. del regolamento CE n. 207/2009, ove si specifica che i titolari dei marchi di certificazione non devono essere essi stessi produttori dei beni o dei servizi che certificano.