DEBITO
Il tesoretto dell'inflazione

L'inflazione ha prodotto nel 2022 un aumento inaspettato degli incassi del fisco. Lo hanno quantificato gli economisti dell'Esm, facendo le previsioni anche per il 2023

Paola Pilati

L’inflazione contribuisce ad alleggerire la posizione dei paesi Ue più indebitati. Oltre a creare instabilità e a costringere la Bce a rialzare i tassi, l’inflazione sta infatti riempendo le casse pubbliche oltre le attese.

In un blog dell’Esm, lo European stability mechanism, calcolano l’impatto di questo miglioramento dei budget pubblici in relazione al PIL: nei primi 9 mesi del 2022 il prodotto interno lordo del gruppo di paesi presi in considerazione (Cipro, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Italia, Belgio, Malta, Slovenia e Slovacchia) ha registrato un incremento del 2,6 per cento rispetto alle previsioni.

Quei paesi si sono infatti ritrovati con più di 200 miliardi di euro in cassa sotto forma di tasse: quelle sui consumi, sul reddito e sui contributi per la spesa sociale. Una ricchezza per la quale devono ringraziare soprattutto l’inflazione, ma non solo, sostengono gli economisti dell’Esm.

L’effetto dell’inflazione, combinata con un po’ di crescita reale, calcolano gli autori del blog, vale solo una porzione di quel 2,6 per cento ed esattamente l’1,6. È la fetta più grande, certo, ma lascia fuori un “residuo” dell’1 per cento che merita una spiegazione più particolareggiata.

Per spiegare quel miglioramento non è sufficiente pensare all’effetto del fiscal drag, che ha gonfiato i redditi dei contribuenti obbligandoli a pagare più tasse. E neanche agli slittamenti nei pagamenti delle tasse dovuti alla pandemia, che hanno ingolfato alcune scadenze dei versamenti. Anche il pensiero che tutto sia dovuto a una maggiore fedeltà dei contribuenti e a una maggiore efficienza del sistema fiscale, potrebbe essere fuorviante.

In realtà, avvisano gli autori del blog, l’evidenza empirica collega questo “residuo” alla tassazione indiretta tra paesi e fa quindi pensare alla spesa per l’energia. Gli aumenti dei prezzi energetici registrati nel 2022 non si sono tradotti in minori consumi da parte della maggioranza dei cittadini e questo ha prodotto un afflusso di maggiori tasse.

Sul benefico effetto dell’inflazione sui paesi più indebitati si è soffermato anche il Fondo monetario, che ha stimato che un aumento dell’1 per cento dell’inflazione si traduce in una riduzione del rapporto debito pubblico/Pil dello 0,9 per cento in media per i paesi che hanno un rapporto debito/Pil oltre il 50 per cento.

Continuerà lo stesso effetto nel 2023? Certo, visto che il Pil nominale continuerà a essere “spinto” dall’inflazione, come pure i redditi. Ma verrà meno il peso dell’incremento “residuo”. Quindi le previsioni sugli incassi delle tasse quest’anno potrebbero essere più affidabili di quelle dell’anno passato.

Resta da vedere cosa faranno di quei soldi i governi che hanno incassato l’inaspettato tesoretto. Risparmieranno per essere in grado di proteggere di nuovo famiglie e imprese da eventuali impennate dei prezzi dell’energia, o li metteranno a servizio di altre scelte politiche?