approfondimenti/politica economica
L'EDITORIALE DI RIVISTA BANCARIA
Il sistema bancario italiano alla sfida del COVID

Le banche possono svolgere una parte importante nel percorso di uscita dalla recessione causata dalla pandemia. È però importante evitare che quelle stesse politiche che aiutano le banche a sostenere le economie possano causare nuovi problemi di azzardo morale. Una buona parte dei lavori contenuti nell'ultimo volume di Rivista Bancaria-Minerva Bancaria è dedicata ad analizzare gli effetti di alcuni di questi interventi di policy

Giorgio Di Giorgio e Alberto Pozzolo

“Questa volta le banche non sono il problema ma parte della soluzione”, affermava lo scorso 13 novembre Agustin Carstens, Direttore Generale della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), in una intervista rilasciata al “Financial Times” in merito alla crisi economica causata dalla pandemia. D’altronde, molti passi in avanti sono stati fatti dal 2007-2008, quando invece il comportamento di alcune tra le maggiori banche attive a livello internazionale fu sicuramente tra le cause principali della Grande crisi finanziaria innescata dai mutui subprime.

Durante i primi mesi della crisi pandemica, le banche hanno avuto un ruolo cruciale nel convogliare alle imprese e alle famiglie i fondi prontamente messi a disposizione o garantiti dallo Stato. I prestiti alle famiglie non sono diminuiti nel 2020 e sono aumentati nel 2021. Quelli alle società non finanziarie sono aumentati in modo considerevole già durante la prima metà del 2020, per fronteggiare le necessità di capitale circolante delle imprese, colpite dal drastico e improvviso calo delle vendite. Sono state concordate diffuse e generose moratorie ed è stata allungata la durata delle esposizioni. È difficile immaginare che altri intermediari sarebbero stati altrettanto efficaci nel raggiungere il vasto pubblico di imprese e famiglie raggiunto dalle banche.

Ovviamente, a differenza di quella del 2008-2009, la crisi economica del 2020 ha avuto origine in uno shock esogeno (la pandemia) e non dalla cattiva gestione finanziaria di banche e società finanziarie. Ma senza le riforme decise dopo la Grande crisi finanziaria, in particolare l’aumento dei requisiti patrimoniali, il sistema bancario non avrebbe avuto la solidità necessaria per sopportare – sia pure con un rilevante aiuto dello Stato e le forti iniezioni di liquidità delle banche centrali – l’impatto della drammatica crisi causata dalla pandemia.

Il rapporto di capitalizzazione primario (TIER 1 ratio) delle banche italiane era inferiore al 7% nel 2007, ma superiore al 15% alla fine del 2019, immediatamente prima del diffondersi del Covid. Anche le attività rischiose presenti nei bilanci bancari presentano numeri decisamente più rassicuranti. Erano pari al 65% del totale degli assets nel 2007, si sono ridotte al 45% a fine 2019, grazie a notevoli miglioramenti nell’attività di risk management e all’adozione di standard più elevati dal lato dell’offerta, ma anche per la minore erogazione creditizia dovuta sia alla minore domanda, in un contesto purtroppo lungo di economia stagnante.

Soltanto perché il settore bancario è stato regolamentato e vigilato in modo rigoroso è risultato possibile valutare con precisione la qualità dei bilanci e decidere l’ampiezza dell’allentamento delle disposizioni prudenziali che era possibile concedere per fronteggiare la crisi. Al contempo, soltanto l’esistenza di un quadro regolamentare ben più rigoroso di quello prevalente prima della Grande crisi finanziaria ha permesso di trovare il consenso politico necessario per allentare in parte i vincoli regolamentari.

Alcuni di questi vincoli sono stati addirittura resi più stringenti, si pensi alle restrizioni deliberate dalla BCE in merito alla possibilità di distribuire dividendi, per garantire che, anche durante la pandemia, non si mettesse comunque a rischio la solidità patrimoniale raggiunta e si mantenesse un adeguato livello di liquidità. Ne è conseguita una ulteriore riduzione della quota di crediti deteriorati, che invece erano esplosi dopo le crisi finanziarie dei mutui subprime e dei debiti sovrani.

Le banche sono in condizione di svolgere una parte importante anche nel percorso di uscita dalla recessione causata dalla pandemia. È però importante evitare che le soluzioni adottate per fronteggiare la crisi diventino la causa di nuovi problemi. Il lavoro di Borgato e Giovannini descrive ampiamente come gli interventi in emergenza abbiano giustamente riguardato sia misure prudenziali sia il trattamento contabile di poste rilevanti dei bilanci. Il quadro regolamentare costruito dopo la Grande crisi finanziaria è stato concepito per ridurre i problemi di azzardo morale che possono caratterizzare il comportamento degli intermediari creditizi. Ma quegli stessi problemi potrebbero porsi nuovamente, ad esempio se le banche agissero applicando criteri troppo generosi nell’erogazione dei prestiti assistiti dalle garanzie statali.

Per evitare che la soluzione diventi un problema, è quindi cruciale che il ritorno alla normalità sia graduale, ma rigoroso. L’eredità della crisi pandemica sul settore bancario non può infatti essere sottovalutata ed il rischio che l’allentamento delle condizioni di credito spinga verso comportamenti opportunistici esiste. Gli interventi per aiutare le banche a continuare a svolgere la loro funzione sono stati utili e necessari, ma bisogna evitare che quelle stesse politiche che aiutano le banche a sostenere le economie messe a dura prova dalla pandemia possano causare nuovi problemi di azzardo morale. È quindi importante capire quali problemi potranno emergere nel prossimo futuro e trovare le giuste soluzioni per affrontarli.

La dimensione e la portata degli interventi di politica economica adottati è stata pervasiva: (i) ingenti misure di politica monetaria, come le operazioni mirate di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO III) della BCE e gli acquisti di titoli condotti sia attraverso il rafforzamento del Quantitative Easing che nell’ambito del nuovo programma di emergenza pandemica (PEEP), non più limitato dalla Key Capital Rule; (ii) straordinarie misure di politica fiscale, come i regimi pubblici nazionali di garanzia e gli interventi a favore delle casse integrazione guadagni, ma anche i forti incentivi per sostenere settori cruciali, quali l’immobiliare e le costruzioni; (iii) mirate misure prudenziali e di vigilanza, che consentono di utilizzare riserve di capitale e liquidità, facilitano la classificazione dei prestiti e la loro copertura dei rischi e consentono moratorie sui prestiti.

Una buona parte dei lavori contenuti in questo volume di Rivista Bancaria-Minerva Bancaria è dedicata ad analizzare gli effetti di alcuni di questi interventi di policy. In particolare, lo studio di Lenoci e Lofaro si propone di determinare l’efficacia degli interventi di politica monetaria della BCE in termini di riduzione della rischiosità percepita sul mercato del credito attraverso lo studio della reazione degli spread nei credit default swaps di imprese e società finanziarie.

L’analisi empirica degli effetti sui mercati finanziari (azionari e obbligazionari) europei sia di interventi di politica monetaria che fiscale è contenuta nel saggio di Pacelli e Di Tommaso, che adottano la consolidata metodologia degli event studies. Il lavoro di Gabrielli e Piccinini analizza invece il ruolo svolto dagli intermediari creditizi nello sconto dei crediti fiscali, una nuova redditizia nicchia di attività innescata dai recenti interventi governativi.
In questo scenario, la tentazione di comportamenti opportunistici può emergere naturalmente sia per le scelte governative, sia per quelle delle imprese e delle banche.

Tra il 2019 e il 2021 il debito pubblico aumenterà di oltre il 20% del PIL e le ulteriori passività potenziali causate dalle garanzie offerte sui prestiti bancari potrebbero favorire un ulteriore aumento nei prossimi anni. Le politiche fiscali espansive decise con il PNRR devono pertanto avere una prospettiva di lungo termine per garantire che la ripresa sia sufficientemente duratura da consentire alle imprese di ripagare i propri debiti, evitare di utilizzare in misura eccessiva le garanzie pubbliche, e generare entrate fiscali sufficientemente elevate da consentire gradualmente una consistente riduzione del debito pubblico.

Se la spesa pubblica si mantenesse invece prevalentemente assistenziale e si rivelasse efficace soltanto nel breve termine, nei prossimi anni si accentuerebbe il rischio di nuove spirali perniciose in termini di crisi bancarie e da debito sovrano. Non possiamo permettercelo.

Molte aziende sono state duramente colpite dalla pandemia. Credito bancario, moratorie sui prestiti e garanzie governative le hanno aiutate a sopravvivere, ma a costo di aumentare sostanzialmente il loro indebitamento. Come tutte le crisi, la pandemia determinerà un rimodellamento della redditività delle diverse attività economiche. Le imprese più forti sopravvivranno e forse rafforzeranno la loro posizione, quelle più deboli usciranno dal mercato. Per quanto possa essere triste, gli imprenditori dovrebbero basare le loro decisioni su ipotesi realistiche sulle loro prospettive future, evitando di “scommettere sulla resurrezione” facendo leva sull’attuale disponibilità di credito a costi contenuti. Che non potrà durare per sempre.

Né le banche dovrebbero consentire agli imprenditori di scommettere arditamente sulla possibile resurrezione delle loro aziende o dei loro progetti. Le politiche monetarie espansive e le garanzie del governo stanno rendendo facile concedere credito. Ma le banche devono evitare di concedere prestiti a imprese senza prospettive di sopravvivenza (come ad esempio è accaduto in Giappone negli anni Novanta), perché questo provocherebbe rilevanti distorsioni nell’allocazione delle risorse economiche, rallenterebbe il processo di distruzione creatrice e, in ultima analisi, frenerebbe la ripresa e la crescita.

Parallelamente, è importante che le banche non rinviino la registrazione delle possibili perdite sui crediti concessi. A questo fine, sarebbe utile l’incentivazione di un ancor più efficiente mercato secondario dei crediti deteriorati e la formazione qualificata di un elevato numero di esperti che possano gestire le nuove probabili ed elevate situazioni di inadempienza, come argomentato nel contributo di Arcelli, Gorino e Torcellan, dedicato alle misure ma anche alle conseguenze dell’adozione del cosiddetto temporary framework da parte delle competenti autorità europee.

Per aiutare le banche e le imprese a elaborare piani di bilancio credibili per i prossimi anni, si potrebbe adottare una forward guidance normativa, che stabilisca un chiaro percorso da seguire, condizionato allo stato effettivo dell’economia (cioè basato su condizioni economiche) piuttosto che al semplice trascorrere del tempo (cioè basato su scadenze temporali).

L’accresciuto grado di indebitamento delle imprese richiede poi che si mettano in essere ulteriori iniziative a favore di uno spostamento delle fonti di finanziamento verso il capitale di rischio. L’accesso al mercato azionario dovrebbe essere reso più semplice e meno costoso, anche attraverso forme più agili della quotazione al listino principale. Al contempo, le banche potrebbero svolgere un ruolo più attivo nell’aiutare le imprese, in particolare le PMI, ad accedere direttamente ai mercati finanziari, favorendo e accompagnandone le attività di collocamento o l’acquisizione di quote di partecipazione da parte di investitori istituzionali, attraverso fondi dedicati e dotati di adeguati incentivi fiscali.

I tempi sono maturi anche per un aumento consistente del peso del credito non bancario, fornito da altri intermediari specializzati, quali i gestori di fondi di credito, che possono rivolgersi sia agli investitori istituzionali che al mercato retail. La nuova regolamentazione sui PIR alternativi e sugli ELTIF va in questa direzione.
Il settore bancario non uscirà di sicuro immutato dal processo di ristrutturazione del sistema economico post-pandemia: così come avviene per le aziende, anche gli intermediari più deboli potrebbero non essere in grado di sopravvivere alle sfide dei prossimi anni. La stessa struttura settoriale è in una fase di decisa evoluzione, tra forti spinte a un ulteriore consolidamento e la difesa di spazi di azione per operatori locali e specializzati.

Il saggio di Bellardini e Comana discute diffusamente i rischi di adottare, da parte delle autorità sia nazionali che europee, una sola visione “dominante”. Ribilanciare un modello bancario ancora troppo radicato nell’attività creditizia rimane tuttavia una priorità nel nostro paese. E questo richiede strategie di business coraggiose, focalizzate sull’espansione dei servizi di consulenza nella gestione del risparmio e nell’attività al servizio delle imprese (servizi di corporate finance). E, come si accennava sopra, un probabile ulteriore sforzo nel consolidamento di una industria che deve trovare un nuovo equilibrio tra large players internazionali, solide banche di media dimensione, un numero adeguato di operatori altamente specializzati su nicchie specifiche di mercato e piccole banche locali rese tuttavia più solide e resilienti dall’appartenenza a un gruppo cooperativo con strutture centrali e sistemi di governance adeguati.

L’adozione di nuove tecnologie, ad esempio il machine learning e l’intelligenza artificiale, sia nel credito che nell’asset management, potranno fornire importanti fonti di nuova redditività. Gli investimenti necessari dovranno essere valutati coerentemente con i singoli piani di business, favorendo a volte lo sviluppo in house e, più spesso, la partnership con i molti nuovi attori del fintech. Il contributo di Alessandra Gustani si concentra su questa ormai non rinviabile sfida competitiva portata alle banche tradizionali, evidenziando come tuttavia ci siano all’interno di queste ultime competenze e specificità non immediatamente sostituibili. La corretta integrazione dei canali distributivi, tra reti fisiche e digitali, aiuta a raggiungere clienti con esigenze diverse e a compensare il peso di maggiori investimenti fissi in tecnologia con una riduzione graduale del costo di troppe filiali (nel confronto con i partners europei), in particolare per un paese, come il nostro, in cui il sistema bancario è stato a lungo resistente all’innovazione di processo e di prodotto, e ha mantenuto una concentrazione eccessiva nel settore creditizio tradizionale.

La pandemia ha accelerato una transizione tecnologica e digitale che era già in atto. A breve, ulteriori sforzi di riconversione produttiva saranno necessari per far fronte alle sfide climatiche. È importante che tutti gli attori coinvolti – le imprese, gli investitori, le banche, le autorità di vigilanza e lo Stato – siano all’altezza delle nuove sfide.

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