Come è cambiato il sistema produttivo italiano tra la fase pre-Covid e quella successiva alla fase acuta della pandemia? Utilizzando i dati del Censimento delle imprese dell'Istat, i lavori contenuti nell'ultimo numero della rivista Economia Italiana analizzano le principali differenze dei nuovi assetti rispetto a quelli precedenti la crisi, e i fattori che hanno determinato il successo o l’arretramento delle imprese, dall'innovazione all'export
I lavori presentati nel n. 1/2024 di Economia Italiana (“Resilienza alla (nuova) doppia crisi: persistenze e cambiamenti negli assetti e nelle strategie delle imprese italiane”, editors Giovanni Dosi e Roberto Monducci, www.economiaitaliana.it ) rappresentano un tentativo coordinato di misurare, descrivere e interpretare le vicende del sistema produttivo italiano nel periodo post-Covid alla luce sia degli assetti prevalenti nella fase precedente, sia delle dinamiche di cambiamento generatesi nel periodo 2021-23. Se ne discuterà il 20 novembre in Istat.
Contesto, domande di ricerca e quadro complessivo che scaturisce dalle analisi
Nel triennio post-Covid la buona performance economica dell’Italia è stata caratterizzata da risposte differenziate da parte delle imprese, costituite sia da importanti miglioramenti nelle performance, soprattutto sui mercati internazionali, che da persistenti ritardi. In questa fase il nostro sistema produttivo ha reagito a più shock consecutivi: pandemia, strozzature nelle catene globali di fornitura, crisi energetica, inflazione, tensioni geopolitiche e cambiamenti di scenario.
I contributi di ricerca realizzati affrontano soprattutto l’analisi della dinamica del sistema produttivo tra la fase pre-Covid e quella successiva alla fase acuta della pandemia, ma viene anche presentato un focus di carattere strutturale mirato all’analisi degli assetti delle imprese italiane dopo la pandemia, sfruttando la ricchezza informativa del Censimento delle imprese di fonte Istat. Lo scopo del progetto è evidenziare le principali tendenze del sistema delle imprese dopo la pandemia, le principali differenze dei nuovi assetti rispetto a quelli precedenti la crisi, i fattori che hanno determinato il successo o l’arretramento delle imprese italiane.
Dai risultati presentati emergono, da un lato, segnali di attivazione delle imprese per reagire alle pressioni esterne e ai rapidi cambiamenti di scenario (innovazione organizzativa, adozione di nuove tecnologie, penetrazione dei mercati esteri e partecipazione alle reti produttive internazionali); dall’altro, evidenze di ripiegamento difensivo e rinuncia/rinvio a piani di upgrading e sviluppo.
Complessivamente, la performance del sistema produttivo dopo la pandemia ha visto un lieve spostamento della distribuzione delle imprese verso profili più complessi e orientati alla crescita. Tuttavia, si sono accentuate le sue caratteristiche «neodualistiche», con l’ampliamento delle differenze tra i segmenti più dinamici e quelli stagnanti o in arretramento. Anche a livello settoriale, la fase post-pandemia ha visto estesi segmenti produttivi in ritardo di ripresa. Nel caso delle imprese internazionalizzate, emerge invece una diffusa capacità di agire e adattarsi in contesti instabili e incerti, con effetti positivi sulla performance complessiva dell’export.
Sul piano strutturale, nuove informazioni consentono di misurare l’impatto delle scelte comportamentali e quello – molto eterogeneo – della partecipazione alle diverse tipologie di filiere produttive sulla produttività delle imprese, soprattutto di piccole dimensioni.
Gli specifici contributi proposti consentono di approfondire diversi aspetti rilevanti per spiegare le persistenze ed i cambiamenti che hanno interessato il sistema produttivo tra il 2018 e il 2023.
L’evoluzione dei profili strategici delle imprese
Un primo aspetto di rilievo è dato dall’individuazione dei profili strategici delle imprese, dai quali emergono quattro cluster distinti, indipendentemente dal settore e dalla dimensione di impresa (imprese «essenziali», «manageriali», «interdipendenti» e «complesse»), caratterizzati via via da insiemi più sofisticati di procedure organizzative e strategie (capabilities).
Tra il 2018 e il 2022, nonostante gli shock ripetuti che hanno colpito il sistema produttivo, la struttura delle imprese per profilo strategico non è variata di molto, seppure si rilevi un lieve spostamento netto dello stock di imprese verso i due profili più evoluti, il cui peso aumenta dal 34,2% al 35,4% (+4mila imprese «Interdipendenti» e «complesse»). Seguendo nel tempo le stesse imprese, emerge che le imprese transitate verso cluster più/meno avanzati presentavano, nella fase precedente, livelli di produttività del lavoro più/meno elevati della media del cluster di appartenenza: la reazione agli shock ripetutisi a partire dal 2020 ha quindi trovato nel potenziale economico delle imprese prima della crisi, misurato dai livelli di produttività, un fattore condizionante/abilitante i sentieri di riposizionamento strategico.
Complessivamente, il confronto tra il 2018 e il 2022 mostra una maggiore distanza nei risultati economici tra i profili meno evoluti e quelli più avanzati, segnale di una maggiore polarizzazione interna al sistema delle imprese. Per quanto riguarda i driver del cambiamento dei profili delle imprese, si segnala come livelli più alti di skills individuali ed evoluzione delle routines organizzative, assieme alla conoscenza incorporata nei beni capitali e nel sofware, risultino le fondamentali direttrici di avanzamento tecno-organizzativo nella transizione tra cluster di impresa, se in miglioramento. La loro assenza caratterizza le imprese in peggioramento.
Le dinamiche di cambiamento avvenute sono associate a modificazioni nelle fonti di finanziamento nei diversi profili di impresa: ad eccezione dell’autofinanziamento, all’aumentare del grado di complessità dell’impresa cresce con regolarità la diffusione di tutte le forme di finanziamento; tra i 2018 e il 2022 si rileva un aumento dell’autofinanziamento, soprattutto nei profili meno complessi; una riduzione del ricorso al credito bancario (soprattutto a breve) e commerciale; una diminuzione dell’equity (mezzi propri); un aumento dei finanziamenti e degli incentivi pubblici (soprattutto per i due profili più complessi).
Alle radici della performance dell’export
Un secondo aspetto analizzato è la performance dell’export. In particolare, tre risultati sembrano interessanti e di stimolo al dibattito: 1) per l’Italia – rispetto ai principali competitor europei – emerge, nella spiegazione delle variazioni delle quote di mercato tra il 2019 e il 2022, un «effetto competitività» positivo, con un guadagno significativo nella prima fase di uscita dalla pandemia; 2) si registrano segnali di riposizionamento sui mercati esteri più accentuati rispetto agli altri principali paesi europei, con diversificazione geografica in diminuzione per i mercati di sbocco dell’export e in aumento per i paesi di approvvigionamento dell’import; 3) a livello d’impresa, emerge una maggiore partecipazione alle reti produttive internazionali (RPI), con una dinamica dell’export molto sostenuta per le imprese che sono transitate verso profili più complessi di partecipazione alle RPI.
Complessivamente, tra il 2019 e il 2022 le imprese esportatrici italiane hanno registrato uno spostamento netto verso profili più complessi di partecipazione alle RPI, con il coinvolgimento di ampi segmenti delle imprese di minori dimensioni: il 69,2% (32mila aziende) ha mantenuto la stessa tipologia; il 13,2% (6mila) ha mostrato un arretramento; il 17,6% (8mila) un avanzamento verso profili più complessi (il 18,8% nelle piccole imprese, il 13,9% nelle medie e il 4,5% nelle grandi). Il saldo tra avanzamenti e arretramenti è positivo e pari al +4,4% delle imprese esportatrici: a livello settoriale varia tra il -0,6% delle industrie tessili e il +8,7% del comparto dei macchinari, che emerge come settore a più elevata crescita della propensione ad integrarsi nelle RPI. La crescita dei volumi è stata superiore per le imprese che hanno aumentato il loro grado di coinvolgimento nelle reti produttive internazionali (import e/o export di beni intermedi). Infine, i dati per governance delle imprese segnalano una più rapida ripresa per gruppi domestici e gruppi multinazionali italiani, con una forte crescita delle imprese estere nella seconda fase della ripresa.
Nuove evidenze su imprese, produttività e filiere dopo la pandemia
Un terzo tema di analisi proposto è quello relativo agli assetti strutturali del sistema produttivo dopo la pandemia, con particolare riferimento al ruolo delle filiere produttive ed ai fattori che influenzano i livelli di produttività delle imprese. Tra le 28 filiere di produzione rilevate dal Censimento delle imprese, quelle più numerose in termini di addetti e imprese sono l’Agroalimentare, seguita da Trasporti stradali, Edilizia, Abbigliamento e calzature, Turismo. In termini generali, circa quattro imprese su cinque partecipano solo a una filiera. Le filiere sono state classificate in quattro tipologie principali, ordinate in base all’intensità tecnologica, al capitale umano, alle strategie ed ai percorsi di innovazione messi in atto dalle imprese. Le prime due tipologie comprendono l’11,4% delle imprese, il 27% degli addetti ed il 33% del valore aggiunto. Per quanto riguarda i fattori che influenzano i livelli di produttività delle imprese, è da rilevare come, per le piccole imprese, risultino di importanza maggiore – rispetto alle altre dimensioni aziendali – la modernizzazione tecnologica, le innovazioni (e, com’è logico, l’appartenenza a gruppi), la partecipazione alle filiere più avanzate – caratterizzate dalla presenza di grandi imprese – e a più filiere contemporaneamente.
La ripresa eterogenea del settore industriale
Infine, un quarto aspetto esaminato è quello delle eterogeneità settoriali della ripresa post-Covid, da cui emerge come i comparti industriali in ritardo di ripresa dei livelli produttivi del 2019 risultino, nel 2023, maggioritari in termini sia di numerosità sia di incidenza di valore aggiunto e come i settori in ripresa siano caratterizzati da livelli elevati di produttività e di performance dell’export.
Un quadro di sintesi dei principali risultati
In conclusione, il quadro presentato, evidenziando le traiettorie comportamentali e di performance economica delle imprese nella fase post-Covid, consente di sottolineare alcuni risultati che appaiono interessanti: la ripresa è stata eterogenea sia tra imprese sia tra settori, con una maggiore polarizzazione della performance tra le aziende più dinamiche e quelle stagnanti; si è manifestato un lieve spostamento della distribuzione delle imprese verso profili di maggiore complessità e orientamento alla crescita, con intense transizioni in avanzamento/arretramento; l’innovazione e conoscenza incorporata nell’organizzazione aziendale emergono come fattori primari di spinta verso profili di impresa più complessi e orientati alla crescita; si è registrata una forte e positiva reazione delle imprese esportatrici, con un avanzamento nella partecipazione alle reti produttive internazionali; le piccole imprese risultano molto sensibili alle strategie di modernizzazione tecnologica e digitale come fattori di spinta alla crescita.
Possibili spunti di policy
Si tratta di evidenze che sembrano sottolineare, dal lato delle politiche industriali, un’elevata efficacia potenziale di politiche selettive di stimolo alle PMI (modernizzazione, digitalizzazione, internazionalizzazione, transizione green, utilizzo di capitale umano qualificato ecc.) – basate su adeguate fonti informative e metodologie di analisi sulle imprese italiane – differenziate in base alla capacità delle aziende di trasformare gli stimoli in comportamenti strategici orientati alla crescita. Un ulteriore aspetto che emerge sistematicamente è il ruolo positivo svolto dalle multinazionali, sia italiane sia estere, per la competitività e la performance economica del sistema produttivo. Questa evidenza conferma l’utilità, da un lato di politiche di attrazione e retention relativamente alle multinazionali a controllo estero, e di consolidamento e sviluppo di robusti legami produttivi tra le affiliate italiane ed estere per le multinazionali a controllo italiano.