approfondimenti/politica economica
Il ruolo chiave delle istituzioni finanziarie non bancarie nell'area euro

Il peso crescente delle istituzioni finanziarie non bancarie può rendere necessarie politiche macroprudenziali "su misura" per incentivare il controllo del rischio di liquidità

Federico Guerra
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La dimensione complessiva del comparto delle istituzioni finanziarie non bancarie, che include fondi di investimento, compagnie di assicurazione, fondi pensione e altre istituzioni finanziarie, è cresciuta sensibilmente a partire dalla crisi finanziaria globale del 2008. All’interno di questo segmento, i fondi di investimento hanno fatto registrare il maggior tasso di crescita, raddoppiando il valore degli asset che gestiscono.

Nell’area dell’euro l’espansione di questo settore ha determinato effetti significativi sulla struttura dei finanziamenti offerte alle imprese, favorendo in particolare il ricorso all’approvvigionamento di fondi da parte di queste ultime direttamente sul mercato mediante l’emissione di titoli obbligazionari.

Queste evidenze potrebbero aver avuto implicazioni rilevanti anche sul meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Prima dello scoppio della crisi finanziaria globale, il sistema finanziario era sostanzialmente bancocentrico e le misure di politica monetaria si traducevano in variazioni dei tassi ufficiali che esercitavano i loro effetti sull’economia reale prevalentemente attraverso il canale bancario, in particolare tramite l’offerta di prestiti a imprese e famiglie.

Dal 2008 la BCE ha adottato sia misure convenzionali, riducendo ad esempio i tassi di interesse fino allo Zero Lower Bound, sia non convenzionali, con l’introduzione dei programmi di acquisto di titoli di Stato e del settore privato con l’Asset Purchase Program e condizionando le aspettative dei mercati sui futuri livelli dei tassi di interesse attraverso la propria comunicazione (c.d. forward guidance). In tale contesto, un argomento di dibattito tra i policymaker è stato proprio l’accresciuto ruolo delle istituzioni finanziarie non bancarie nell’economia e le sue potenziali implicazioni per la trasmissione della politica monetaria. La letteratura empirica ha iniziato ad analizzare questi aspetti, senza tuttavia offrire ad oggi evidenze circa il nesso causale tra le misure di politica monetaria e i comportamenti di questi intermediari all’interno dell’eurozona.

Nel recente studio pubblicato sul n. 4/2023 di Rivista Bancaria – Minerva Bancaria  www.rivistabancaria.it, ho analizzato gli effetti di shock espansivi di politica monetaria di tipo sia convenzionale sia non convenzionale sui bilanci degli intermediari finanziari non bancari. In un contesto di bassi tassi di interesse, i gestori dei portafogli tendono a indirizzare i propri investimenti verso asset class caratterizzate da un maggior grado di rischiosità e da minore liquidità, comportamento noto con il termine di search for yield. Tale comportamento da parte di questi intermediari porta a un aumento della domanda di asset più rischiosi e a un conseguente miglioramento delle condizioni finali di finanziamento per l’economia reale (c.d. risk-taking channel).

I risultati mostrano la rilevanza dell’operare di questo meccanismo di trasmissione della politica monetaria, soprattutto nel caso dei fondi di investimento. La risposta degli operatori è stata più forte per gli shock di politica monetaria non convenzionale, e si è associata ad una riduzione della quota più liquida (cash asset) dei portafogli, a fronte di un incremento delle quote di asset class più rischiose (azioni, quote di altri fondi e investimenti alternativi), in grado di offrire maggiori rendimenti.

Il maggior rischio assunto da questi intermediari in risposta alle politiche monetarie espansive ha rappresentato una conseguenza intenzionale per la BCE, poiché finora ha stimolato la domanda di non-cash asset, producendo un effetto finale sull’economia reale grazie a un miglioramento delle condizioni di finanziamento a medio e lungo termine per le imprese.

Queste dinamiche potrebbero tuttavia portare anche a delle conseguenze indesiderate, come un aumento del rischio sistemico di liquidità, che, in caso di shock avversi, potrebbe costringere questi intermediari a forzare la liquidazione di parte dei propri asset.

Un esempio è rappresentato dallo scoppio della crisi pandemica a marzo 2020, che ha costretto molti fondi di investimento a grosse vendite di asset (tra queste le vendite hanno colpito soprattutto l’equity europeo, i titoli corporate e i titoli governativi periferici) sul mercato, senza le quali essi non sarebbero stati in grado di far fronte al ritiro dei fondi da parte degli investitori. In un clima di forte risk aversion, quindi, è verosimile che una composizione dei bilanci di questi intermediari sempre più rischiosa, possa rivelarsi fortemente pro-ciclica e aggravare ulteriormente le condizioni finanziarie prevalenti sul mercato durante periodi di congiuntura negativa.

Questi rischi possono essere attenuati mediante l’implementazione di politiche macroprudenziali “su misura” per le istituzioni non bancarie, con la finalità di incentivare il controllo del rischio di liquidità. Data la accresciuta rilevanza di questi intermediari nel panorama finanziario, politiche di questo genere potrebbero preservare in modo sufficientemente mirato la stabilità del sistema finanziario, aumentandone la capacità di assorbire shock esogeni e quindi la resilienza.  

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