In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Il risparmio tra pandemia, stagflazione e rischio bellico

Una guida razionale - non dei consigli per gli investimenti - per far navigare i propri risparmi nella situazione attuale. Distinguendo tra classi di risparmiatori, proteggendo quelli più deboli e controllando i rischi di chi può esporsi in virtù della dimensione della propria ricchezza, la continuità dei redditi non consumati e la capacità nell’astrarsi dal vincolo dei tempi di attesa dei risultati

Giuseppe Guglielmo Santorsola
santorsola

INTELLETTURA DELLO SCENARIO

La condizione dell’attuale congiuntura è invero particolare ed inusuale nell’esperienza anche degli operatori più esperti ed anziani. Negli ultimi settantacinque anni tutte le condizioni critiche avevano radici determinanti nel sistema economico e/o in quello finanziario. La situazione attuale evidenzia due fattori esogeni, quello sanitario e quello bellico, che si sono congiunti quando il primo non era ancora evidentemente risolto e il secondo appare proseguire su tempi assai pericolosi e con scenari possibili non leggibili, nemmeno in termini probabilistici.

Tutti gli operatori, istituzionali, dedicati ai risparmiatori ed individuali si chiedono come affrontare la navigazione tra guerra, tassi, inflazione, diversità delle condizioni nelle diverse aree del mondo. Non intendo, per non competenza, proporre alcuna ipotesi specifica, quanto cercare di leggere alcuni comportamenti da evitare per minimizzare esiti negativi (o danni) piuttosto che inseguire opportunità speculative (che richiedono altre skills e differente presenza sui mercati operativi.

È opportuno distinguere le classi di risparmiatori/investitori, proteggendo quelli più deboli e controllando i rischi di chi può esporsi in virtù della dimensione della propria ricchezza, la continuità dei redditi non consumati e la capacità nell’astrarsi dal vincolo dei tempi di attesa dei risultati.

Partiamo dalla considerazione che pandemia o endemia e incertezza geo-politica continueranno almeno per diversi trimestri, mentre si addensano conseguenze di ampia incertezza, soprattutto dovute al cambio di scenario tra inflazione e tassi e all’impatto differenziato sui molteplici settori dell’attività economica.

Il primo suggerimento è quello di non effettuare scelte dettate solo dall’impulso (il panico), il secondo è quello di analizzare invece la propria paura (il fattore ineliminabile in tutti noi) studiandone gli effetti che sono palesemente individuali. L’herding effect (l’effetto gregge, ndr.) è certamente l’errore più facile da compiere pagandone nel tempo le conseguenze. Un terzo criterio da approfondire è quello legato alle inevitabili necessità nel tempo di recuperare liquidità per coloro che avessero difficoltà a gestire il proprio stile di vita di fronte alla crescita dei prezzi e alla caduta del reddito disponibile.

Il quarto profilo di analisi è invece – ancora del tutto individuale – un fattore di forza laddove si registrino plusvalenze ancora largamente presenti in ragione del lungo ciclo positivo nel comparto azionario e, con maggiori difficoltà, nel comparto obbligazionario per coloro che disponessero di portafogli costruiti nel decennio precedente con i tassi fissi. Solo per completezza ricordo anche l’importanza di valutare con cura lo stato dei propri debiti (mutui e prestiti personali) per evitare difficoltà nel mantenere l’equilibrio della propria struttura finanziaria. Invito anche a considerare che, con un’inflazione comunque significativa anche se non alta, il valore reale di questi tenderà a diminuire attutendo l’effetto sulle schede di utilizzo del reddito e delle risorse di tutti noi, ulteriore evento al quale le generazioni al di sotto dei sessanta anni non sono abituate.

Tutte queste valutazioni suggeriscono di ricorrere all’aiuto costante della consulenza finanziaria nelle sue diverse forme, un fattore certamente consolidatosi negli ultimi anni, ma non ancora del tutto acquisito nelle classi più fragili dei risparmiatori, ancora legati alla ritrosia nel riconsiderare la struttura e la composizione delle proprie scelte passate. Potendo scegliere, meglio confrontarsi con consulenti che abbiano una visione non del tutto in linea con la nostra al fine di disporre di un punto di vista “differente”; ciò vale qualora il cliente disponga di una anche minima financial literacy e sia guidato dalla paura e non da panico come in precedenza delineato. 

CHE FARE?

Il lungo parcheggio di alte disponibilità nel campo dei depositi bancari (in conto corrente o a tempo) è probabilmente giunto al termine, sia per le pressioni derivanti dallo sviluppo disarmonico dell’inflazione sui diversi campi del consumo, sia per l’inversione di convenienza verso altre asset class.

Con ovvie semplificazioni, possiamo considerare (in generale): 

  • l’alto valore di molte azioni (rispetto al reale valore dei sottostanti spesso prevalentemente intangibili o fortemente volatili; la selezione all’interno è lavoro complesso da affidare a specialisti costantemente dotati di informazioni utili per le decisioni e la ricomposizione sempre più celere degli indici di Borsa ne è la dimostrazione più semplice ed efficace.
  • la naturale caduta (per quanto ammorbidita e spalmata nel tempo in ragione delle scelte attendiste (corrette o meno secondo le diverse valutazioni degli analisti) delle banche centrali; molti portafogli hanno già registrato accorciamenti della duration, realizzazione di plusvalenze e ricomposizione con rendimenti cedolari più in linea con il nuovo quadro della curva dei tassi, notoriamente in via di appiattimento, soprattutto nell’area fra i due e i dieci anni;
  • le asset class abitualmente classificate come decorrelate non sono più tali proprio per l’effetto combinato della pandemia e dell’evento bellico che impatta su materie prime sia soft che hard; anche alcune correlazione negative tradizionali sono poste attualmente in discussione;
  • il mercato immobiliare è illeggibile nella sua unitarietà, risultando composto a bilanciere fra valori molto elevati, ma resistenti alla dinamica domanda/offerta negli immobili più densi di valore e valori già da tempo in discesa per quelli di minor pregio, che costituiscono però la componente preponderante del patrimonio della maggior parte dei proprietari utilizzatori in proprio dell’unità di cui dispongono (con effetti di asimmetria fra domanda e offerta); 
  • resta la tradizionale opzione della sottoscrizione di piani di accumulo in fondi o in altri piani di risparmio, generalmente da proseguire, salvo eventuali modifiche nella composizione delle scelte, ma non del loro ritmo; 
  • infine, la scelta del segmento SRI con le sue connotazioni ESG rappresenta indubbiamente una soluzione interessante nel lungo termine, restando più rischiosa nel breve in termine di conseguimento dei rendimenti attesi; una scelta da valutare in sé, ma non una soluzione alternativa allo scenario di crisi endogena;
  • tralascio la valutazione di alcune più recenti innovazioni nelle asset class (le cryptoasset ad esempio) la cui dimensione è consistente nel loro volume (qualche trilione di $ o €), ma poco incidente rispetto ad un volume complessivo di asset finanziari o para-finanziari superiore nella media della loro volatilità al centinaio di trilioni.

Una considerazione, ormai solo da “professore”, ci ricorda che l’attesa di inversione nei diversi cicli era già latente da tempo, benché poco condivisa nei comportamenti di tutti gli operatori che hanno costantemente puntato sulla attesa di ulteriori risultati nel breve periodo che davano immagine positiva ai rendimenti di molte gestioni. I due cigni neri (o quanto meno non del tutto bianchi) degli anni ’20 hanno determinato effetti che ormai non possono essere diversamente modificati. Paradossalmente, tuttavia, questa condizione ha allargato lo spazio di caduta più morbida, qualora questi profitti non siano stati spesi o investiti in modo non coerente con le capacità di resistenza al rischio di ciascuno di noi e cioè seguendo la tentazione di vivere stabilmente al di sopra delle proprie capacità con impatti anche nel proprio futuro.

Personalmente, avendola studiata nei primi anni di attività, temo la stagflazione, un fenomeno economico nel quale si registra contemporaneamente elevata inflazione e crescita economica bassa o nulla. Negli anni ’70, a seguito dell’abbandono del gold standard e dello shock petrolifero (dal lato della offerta), con la stagflazione i tassi di interesse superarono il 15% e l’inflazione superò in Italia il 20%. Dal 1979 l’evoluzione dei tassi d’interesse nominali a breve termine (controllati dalla banca centrale) eccedette in modo persistente l’andamento dell’inflazione (tassi reali positivi) spostando il vantaggio dal debitore al creditore. Alla fine degli anni Settanta, fu necessario alzare di nuovo i tassi d’interesse nominali, perché la Fed dell’epoca non aveva applicato la “forward guidance” sul sentiero atteso dei tassi.

La Fed, per contrastare l’alta inflazione, intervenne infatti in ritardo, mantenendo tassi reali positivi con una inversione di tendenza dovuta solo alla recessione che ne conseguì. Il rischio fu di perdere la fiducia dei mercati per mancata comunicazione chiara e tempestiva delle mosse future da mettere per contrastare l’inflazione. Quella condizione però non appare lezione idonea per il contesto attuale, laddove gli attori dominanti non sono più solo due (FED e oggi BCE), quanto più numerosi ed in crescita, nonché dotati della possibilità di incidere con i loro capitali in perenne potenziale movimento sull’equilibrio del duopolio tradizionale. Anche solo sotto un profilo econometrico, lo studio delle possibili soluzioni quando sono in gioco più variabili è enormemente più complesso. Sarebbero necessarie una nuova Yalta politica ed una Bretton Woods non tanto monetaria quanto finanziaria che tenesse conto della diversità intensità e fluidità di molte variabili finanziarie che sono in grado di incidere sull’efficacia di un eventuale controllo della solo quantità della moneta. Tutto ciò comunque potrebbe dare risultati nel tempo, mentre le esigenze dell’asset management e, soprattutto dei loro clienti, hanno orizzonti temporali molto più brevi. Ciò non significa non lavorare in tale prospettiva, quanto riconoscere che quella esigenza ora descritta è estranea agli obiettivi di questa nota.

ULTIME VALUTAZIONI FORSE PROVOCATORIE 

Gli attori che operarono 70/80 anni fa avevano uno standing ed un carisma oggi non individuabile in nessuno dei loro successori (Roosevelt, Eisenhower, Adenauer, De Gaulle, Churchill e nel suo contesto Stalin). Si ragiona di finanza e di economia, ma le soluzioni sono sempre determinate dall’intesa e dalle scelte dei soggetti che negoziano le decisioni in merito.

Nei tempi attuali e nel contesto dei mercati dobbiamo considerare che gli indicatori suggeriscono una tendenza controllata con reazioni finanziarie certamente non guidate dal panico. I mercati non hanno voglia di cadere ed hanno iniziato (senza ancora lasciarne percepire il trend) una fase laterale, certamente non parallela rispetto al rischio bellico e al movimento di molti prezzi condizionanti dell’attività economica.

Per quanto contestabile sotto altri profili, l’attendismo e la assenza di scelte marcate da parte delle Banche Centrali (soprattutto la BCE) possono contribuire a moderare le reazioni degli operatori; l’attendismo non appassiona, ma stempera i comportamenti più istintivi; una peacemaker che ispira un più corretto pacemaking. Si tratterebbe di un’interessante lettura del ruolo delle Banche Centrali laddove la dimensione dei loro bilanci è invero assai rilevante: non partecipano agli eventi, ma continuano ad operare nel contesto dei loro mandati istituzionali con un comportamento utilmente glaciale, l’una independent (BCE) e l’altra “independent within the Government” (la FED).

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