Una raccolta di 30 miliardi in un anno difficile come il 2018 testimonia la salute del sistema delle reti di consulenti finanziari. E il fatto che sia aumentato il portafoglio medio di un consulente, e anche il numero dei clienti seguiti, conferma la fiducia dei risparmiatori. Marco Tofanelli, segretario generale di Assoreti, che rappresenta le principali reti di distribuzione di prodotti finanziari in Italia, valuta in questa intervista l'impatto della MifidII: in Italia il modello di “consulenza evoluta” agli investimenti – cioè non solo finanziaria ma patrimoniale in senso più ampio - era già stato adottato, dice. Adesso la flessibilità propria delle reti può riuscire a controbilanciare alcuni irrigidimenti introdotti dalla direttiva e a difendere i propri margini di guadagno. Quanto alla famigerata product governance non è sempre nel miglior interesse del cliente...
Che impatto ha avuto la MifidII sulla distribuzione dei prodotti finanziari? Sono stati semplificati, è aumentato il ventaglio delle opzioni, sono più chiari?
I dati del 2018 non evidenziano nuove dinamiche in termini di distribuzione di prodotti, quantomeno dovuti alla normativa. Diversa, ovviamente, la risposta all’andamento dei mercati che deve trovare sempre nuove soluzioni. In realtà, per quanto riguarda il sistema degli intermediari che si avvalgono dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, la MifidII non ha avuto un effetto di disruptive innovation, ma sostanzialmente di sustaining innovation: il modello normativo attuale, evoluzione di quello già introdotto con la MifidI, è già, in buona sostanza, integrato da tempo nel modello di servizio delle reti. Un servizio nell’interesse del cliente, di consulenza evoluta agli investimenti. Di più: non solo consulenza agli investimenti, ma offerta finanziaria e patrimoniale in senso ampio, segmentazione della clientela con attenzione all’impresa, modelli flessibili in funzione degli effettivi bisogni.
C’è stata una riduzione dei costi per il cliente? In che percentuale?
È prematuro dare una risposta. In generale, ci attendiamo una contrazione dei costi non effettivamente correlati alla prestazione di un servizio che dia valore al cliente. Al tempo stesso, l’offerta dell’intermediario da un lato, e la comprensione da parte del cliente dall’altro, di un valore insito nel servizio, saranno le discriminanti per mantenere margini utili, anzi necessari, allo sviluppo dei servizi.
Per il consulente c’è stato qualche segnale di un minore “giro d’affari”?
Al momento, non si riscontrano impatti in questi termini. Basti pensare che il portafoglio medio del consulente è aumentato del 2% passando dai 23,4 milioni di euro di dicembre 2017 ai 23,9 milioni di settembre 2018. Dinamica questa confermata anche in termini di clienti mediamente seguiti da un consulente finanziario: erano 183 a dicembre 2017, per arrivare a chiudere il 2018 a 191.
L’ampliamento dell’offerta da parte dei consulenti, sul terreno di un servizio finanziario globale, sta già trovando consensi e mercato?
Come anticipato, il modello delle reti è particolarmente flessibile: si osservano implementazioni diverse e concorrenziali, a tutto vantaggio della clientela, di diversificazione dell’offerta. Ciò che importa, è che la riperimetrazione, dal lending al ricambio generazionale, è supportata da strategie chiare, forte ricorso alla tecnologia, formazione di livello elevato. In ogni caso, nel 2018 la raccolta è stata pari a 30 miliardi. In un anno come quello passato, è un indice di grande salute.
È opinione diffusa che la Mifid2 abbia complicato, più che regolato il mercato. Anzi, che abbia per ora fallito la sua missione. Qual è la sua posizione?
La MifidII è stata la reazione dell’ordinamento comunitario, paternalistica, a fenomeni di cosiddetta retailisation, che in Italia non è stata una pratica diffusa, anche grazie agli interventi della Consob. È chiaro quindi che ciò ha comportato un irrigidimento del modello normativo. Basti pensare alla product governance, che può non essere sempre nel miglior interesse del cliente. Questo specie a fronte di azioni di mitigazione del rischio per portafogli diversificati, in cui il ruolo del consulente viene mortificato (peraltro, si danno già ampie azioni correttive).
Vedo maggiori difficoltà, a livello di sistema complessivo, nell’offerta di prodotti ad architettura aperta. Tuttavia altri aspetti, basti pensare all’adeguatezzanell’evoluzione oggi codificata, sono di sicuro vantaggio per il cliente. Credo che, come sempre, assisteremo ad un bilanciamento selettivo.
Il fronte dei risparmiatori come ha reagito? Ha approfittato della maggiore trasparenza? Ha preteso di avere più dettagli?
È presto per dirlo. Più che la rendicontazione ex ante, rileverà quella ex post. Per quanto riguarda il cliente della banca-rete, da sempre abituato ad un rapporto consapevole e di fiducia, non credo ci saranno grandi sorprese e, di conseguenza, grandi reazioni.
Dal mondo degli intermediari si registra un certo ritardo nel provvedere alla prima relazione di sintesi ex post. Ma sul fronte di fuoco ci sono i consulenti. Come pensate di “tamponare” il ritardo?
In realtà, non vi è ritardo. La normativa non individua un termine. Si limita a stabilire che le imprese forniscano annualmente al cliente informazioni ex post su tutti i costi e gli oneri relativi sia agli strumenti finanziari che ai servizi di investimento e servizi accessori. Gli intermediari hanno implementato le procedure necessarie per poter fornire il rendiconto ex post ma occorre tenere presente che tale rendiconto potrà essere fornito dal distributore solo dopo aver ricevuto tutte le informazioni dai diversi produttori e aver effettuato le necessarie elaborazioni. Che ovviamente richiedono tempi tecnici.
Allo stato attuale, peraltro, non esiste neppure una tempistica univoca con cui i diversi produttori comunicano i dati di costo ex post degli strumenti.
Si è registrata una qualche emigrazione dei risparmiatori per effetto della MifidII? Per esempio una qualche tendenza a preferire la consulenza allo sportello bancario piuttosto che quella indipendente? Oppure verso il fai da te?
A fine 2018 il numero di clienti seguiti dalle reti erano 4,2 milioni, con un aumento del 4,2% rispetto all’anno precedente. In termini patrimoniali i dati a settembre evidenziano una crescita complessiva del 2,5% passando dai 518 miliardi di fine 2017 a 531 miliardi. È presumibile che questo dato vedrà una contrazione a fine 2018, riconducibile però esclusivamente alle dinamiche dei mercati finanziari nell’ultimo trimestre dell’anno ed in particolare nel mese di dicembre.
Non vedo quindi contrazioni. Anzi, sono convinto che questo modello sarà sempre più un punto di riferimento essenziale per accompagnare i clienti nei loro bisogni di consulenza.