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Il rischio climatico alla prova dello stress test Bce

Per ora solo un limitato numero di istituti ha incluso i fattori climatici e ambientali nel framework ICAAP, RAF o Recovery plan, mentre in prospettiva le considerazioni relative al rischio climatico dovrebbero diventare parte integrante del quadro di gestione dei rischi

Federico Giovanni Rega
Federico-G.-Rega

In ambito stress test, le aspettative della Banca Centrale Europea (2020) sottolineano come “gli enti che presentano rischi climatici e ambientali (C&E) rilevanti dovrebbero valutare l’adeguatezza delle proprie prove di stress nella prospettiva di integrare tali rischi negli scenari di base e avversi“.

Il primo stress test climatico della BCE è stato presentato nel 2021, con lo scopo di essere un esercizio preparatorio per le banche. Le caratteristiche sono di seguito sintetizzate:

  • si tratta di un esercizio di tipo top-down, quindi centralizzato;
  • è costruito su specifici scenari climatici che permettono di verificare le interazioni tra rischio di transizione e rischio fisico su un arco temporale di 30 anni;
  • è un’analisi a livello di controparte;
  • valuta le implicazioni dei rischi climatici per imprese e banche applicando specifici modelli che considerano gli specifici canali di trasmissione per i rischi di transizione e fisici.

Dallo stress test emerge la rilevanza delle politiche climatiche: infatti, i costi per fronteggiare gli effetti degli eventi climatici estremi risultano significativamente più elevati rispetto a quelli da sostenere per procedere verso una transizione adeguata. Le politiche comportano costi di adeguamento nel breve termine che, in ogni caso, risultano inferiori rispetto ai costi da sostenere in assenza di tali politiche e per effetto di un aumento degli eventi climatici estremi.

La BCE ha replicato l’esercizio di Climate Stress Test (CST) nel 2022. La valutazione dei fattori di rischio climatici e ambientali viene considerata per valutare il loro impatto rispetto ai rischi tradizionali (credito, mercato, operativo e reputazionale). Per poter adempiere alle richieste, le banche vigilate BCE dovevano poter disporre di informazioni granulari sulle esposizioni verso clienti più esposti a rischi climatici, con rilevanti difficoltà di costruzione del data set inziale adeguato, soprattutto nei casi in cui tali dati non fossero rientrati nelle valutazioni di controparte. Inoltre, dai risultati e survey di BCE e Banca d’Italia, emergono ancora ritardi a livello organizzativo. Solo un limitato numero di istituti ha sviluppato un approccio quantitativo funzionale alla definizione di indicatori, includendo i fattori climatici e ambientali nel framework ICAAP, RAF o Recovery plan.

L’esercizio, che ha interessato 104 banche significant, è stato articolato in tre moduli distinti:

  1. un questionario qualitativo;
  2. un’analisi di benchmarking effettuata su metriche per valutare la sostenibilità dei modelli di business e l’esposizione delle banche verso i settori più esposti;
  3. una prova di stress di tipo bottom-up focalizzato sui rischi fisici e di transizione, volto a verificare gli impatti nel breve e lungo termine degli scenari climatici sugli asset della banca verso i settori industriali maggiormente vulnerabili (ad es. carbon-intensive).  

A valle dell’esercizio emerge la necessità di intensificare gli sforzi per misurare e gestire il rischio climatico. La BCE ne fornisce evidenza attribuendo uno score complessivo alle banche raggruppandole in 4 classi di adeguatezza dei propri framework:

Valutazione qualitativa della dell’adeguatezza del Climate Stress Test framework – Fonte: BCE, 2021

Come evidenzia il grafico, la gran parte delle banche si colloca nei due score intermedi, riportando un framework di climate stress test “accettabile”. Non trascurabile la presenza di banche con un framework inadeguato (Score 4).

Alcuni ulteriori elementi di attenzione sono di seguito riportati:

  • gli esiti mostrano come gran parte della redditività delle banche derivi dai 22 settori ad alta intensità emissiva (circa il 65.2% del margine di interesse);
  • la metà delle 43 banche che hanno una metodologia interna di CST ha evidenziato la mancanza di dati interni. In particolare, vi è assenza di dati sulle strategie di transizione del cliente e sulla geolocalizzazione dei suoi asset;
  • tale mancanza di dati viene colmata da stime interne e dall’utilizzo di proxy per le emissioni GHG scope 1, 2, 3, che però risultano diverse tra banca e banca, compromettendone la comparabilità.

In conclusione, la BCE afferma che le banche hanno fornito alcune utili informazioni per dare indicazioni sulle loro conoscenze/capacità di stress test climatico. Tuttavia, data la natura pioneristica e innovativa di questo esercizio, permangono sfide significative. Emerge pertanto una necessità, da parte delle autorità di vigilanza, di aiutare le banche a superare le sfide legate alla disponibilità di dati, fornendo una guida sulle best practice. 

Infatti, come confermato dagli ultimi Bollettini Economici della BCE, in futuro si prevede che le prove di stress sul rischio climatico siano effettuate su base regolare. Questi esercizi futuri dovrebbero offrire l’opportunità di migliorare ulteriormente la metodologia e ampliare il perimetro delle esposizioni finanziarie coperte. In prospettiva, anche le considerazioni relative al rischio climatico dovrebbero diventare parte integrante dell’attuale quadro di gestione dei rischi, che prevede un’analisi del rischio finanziario complessivo per l’Eurosistema rispetto alle riserve finanziarie esistenti.

Tuttavia, per consentire quanto sopra, la relazione con i clienti rimarrà fondamentale per colmare le lacune nei dati nei prossimi anni. È importante che le banche si impegnino con i loro clienti e la valutazione dei piani di transizione delle controparti è fondamentale per poter gestire i rischi climatici e ambientali.