Dopo la conclusione dello stress test sul patrimonio, di cui conosceremo alcuni risultati ad inizio novembre, le banche vigilate dalla Bce devono predisporsi ad effettuare un nuovo esercizio di stress nel 2019, questa volta sulla liquidità. Si intensifica pertanto l’attività di vigilanza per il tramite di esercizi di stress, non sempre apprezzati, anzi talvolta criticati dai soggetti vigilati, peraltro ormai incorporati in alcune procedure interne delle banche.
Come nasce questo nuovo esercizio?
Danièle Nouy, presidente del Consiglio del meccanismo di vigilanza unico presso la Bce fino al prossimo dicembre, in un intervento pubblico il 4 ottobre scorso (https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/speeches/date/2018/html/ssm.sp181004.en.html) si è soffermata sulla supervisione europea sulle banche nell’ambito del c.d. villaggio globale, espressione coniata negli anni ’60 dal filosofo Marshall McLuhan. Un intervento che ha ripreso temi cari all’azione di vigilanza bancaria della Bce nel suo primo quinquennio di operatività e che ha illustrato le priorità per il futuro.
Un bilancio
Quinquennio caratterizzato innanzitutto dal compito, certamente non agevole, di far dialogare 19 paesi con regole e operatività tipicamente locali con una nuova autorità operativa a livello globale, che rappresenta la maggiore autorità di vigilanza bancaria nel mondo.
Tra i principali risultati dell’azione della Bce viene segnalato un aumento della resilienza delle banche europee, grazie al rafforzamento patrimoniale ed alla riduzione dei rischi. L’indicatore più usato per dare conto della maggiore solidità patrimoniale, il CET1 ratio, ha fatto registrare un incremento di circa 2 punti percentuali nel solo ultimo triennio, raggiungendo per le banche vigilate da Bce il 13,8 per cento a giugno 2018. Miglioramento conseguito, in misura prevalente, grazie alla riduzione dei rischi (il denominatore), anche se è stato registrato un apprezzabile rafforzamento del patrimonio (il numeratore).
Tuttavia la solidità patrimoniale non è tutto. Almeno altre due tematiche sono determinanti per poter disporre di banche sempre più solide e sicure: la redditività e la liquidità.
Al riguardo, i dati delle banche europee hanno fatto osservare importanti recuperi di redditività, anche se ancora non ai livelli auspicati dalla vigilanza. Quindi, certamente un punto di attenzione, ma non un aspetto critico.
I nuovi rischi
Più incisive sono state le affermazioni della Nouy relative alla liquidità: “… il capitale non è tutto. Anche una banca ben capitalizzata può mettersi nei guai se manca di liquidità.”
Con un linguaggio assai esplicito, la vigilanza ci informa che, nonostante l’abbondanza di liquidità degli ultimi anni, ci sono state situazioni critiche per la liquidità di alcune banche.
Inoltre, non sempre la governance delle procedure relative alla liquidità, le c.d. auto valutazioni delle banche sulla loro liquidità sono risultate soddisfacenti. Al riguardo, il processo interno di valutazione dell’adeguatezza della liquidità (internal liquidity adequacy assessment process, ILAAP) riveste un ruolo fondamentale nella gestione dei rischi degli enti creditizi ed, evidentemente, non sempre viene sviluppato con sufficiente attenzione ai rischi, ad ipotesi prudenti e ad efficace sistema di limiti.
Emerge la necessità di prestare costante e forte attenzione ad una tematica della gestione bancaria certamente nota, ma spesso sottovalutata, i cui effetti sono potenzialmente dirompenti in situazioni di mercato avverse. Ad esempio, nella crisi finanziaria del 2007-2008 anche istituzioni ben patrimonializzate non sono riuscite a ottenere fondi per il rifinanziamento delle loro attività a seguito del collasso del mercato interbancario. Tra gli insegnamenti ribaditi dalla crisi finanziaria vi è quindi quello che la gestione del rischio di liquidità deve assicurare la capacità delle banche di adempiere gli obblighi di pagamento in ogni momento, in quanto la sua carenza pone rischi immediati per la loro continuità.
Su tale tema ha operato a livello internazionale innanzitutto il Comitato di Basilea che nel settembre 2008 ha pubblicato il testo fondamentale per la regolamentazione internazionale in tema di liquidità: Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision. Ad integrazione di questi principi il Comitato ha ulteriormente rafforzato la regolamentazione della liquidità elaborando due requisiti quantitativi minimi (LCR e NSFR) per il rischio di liquidità. Questo nuovo schema per il rischio di liquidità è integrato da un insieme di strumenti di monitoraggio (come non ricordare il c.d. survival period) volti a migliorare la coerenza dell’attività di vigilanza a livello internazionale. Anche l’Eba ha pubblicato documenti riguardo alle linee guida per la gestione della liquidità e gli stress test che sono stati alla base della normativa della UE in materia.
Un approccio alla gestione del rischio di liquidità basato quindi su due capisaldi: a) il rispetto di standard minimi di liquidità omogenei per tutti gli intermediari; b) esercizi di stress test e solide pratiche di gestione.
I sette principi della liquidità
La crucialità del tema viene messa in particolare evidenza dalla modalità tramite la quale la Bce ha deciso di intervenire su tutte le banche vigilate: uno stress test sulla liquidità (LiST) da realizzarsi nel 2019, con l’obiettivo dichiarato di preparare le banche a gestire qualsiasi potenziale crisi di liquidità. Esercizio che fa seguito ad una Guida, pubblicata nel marzo scorso dalla Bce, riferita al processo interno di valutazione dell’adeguatezza della liquidità, individuando sette principi ai quali ciascuna banca deve ispirarsi. E l’ultimo dei sette riguarda proprio lo svolgimento di prove di stress periodiche teso ad assicurare l’adeguatezza della liquidità in condizioni avverse.
Quindi un nuovo stress test, probabilmente significativo quanto quello sul capitale concluso in questi giorni, destinato ad essere un esercizio impegnativo per numerosi intermediari.
L’aver richiamato la liquidità quale aspetto cruciale dell’attività bancaria, in vista di un esercizio di stress, cade in una situazione di mercato non favorevole per le banche del nostro paese, che nel corso del secondo e terzo trimestre 2018 hanno fatto registrare un repentino cambio di prospettiva, con forte discesa dei valori di Borsa, il riemergere di criticità nella gestione degli attivi finanziari, timori per nuovi aumenti di capitale. Criticità che, ove perdurassero, potrebbero rendere non agevole a tutti gli intermediari l’esito positivo dell’esercizio.
Proviamo quindi ad evidenziare alcuni aspetti rilevanti per il LiST, che riguardano due tra i principali rischi connessi alla liquidità: la liquidità a breve termine e la sostenibilità della provvista.
Raccolta e rischi sovrani
Il punto di partenza è quello della struttura del passivo delle banche, aspetto attualmente ritenuto di media criticità a livello europeo che, negli ultimi anni, ha beneficiato di un accesso assai ampio ed a buon mercato sia al finanziamento della Bce, sia alla raccolta retail quasi esclusivamente a breve termine. Carente è stata invece la raccolta a medio termine, sia retail che istituzionale; in situazioni di stress la tematica interesserebbe non solo il costo dell’accesso al funding di medio termine, ma addirittura la disponibilità di tale canale di finanziamento. In tale ambito, particolare importanza assumono gli strumenti computabili MREL (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities) requisito introdotto dalla direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD), il cui obiettivo è assicurare il buon funzionamento del meccanismo del bail-in, aumentando la capacità di assorbimento delle perdite della banca, in modo da consentirne la liquidazione senza pregiudicare la stabilità finanziaria e senza necessità di ricorrere a fondi pubblici.
Un secondo aspetto concerne gli investimenti in rischi sovrani (per le banche italiane sostanzialmente titoli pubblici a medio e lungo termine) per gli impatti sulla redditività, sul patrimonio di vigilanza e sulla possibilità di finanziare tali posizioni in termini di costo e di ammontare. La volatilità dei tassi d’interesse oltre che dei mercati del debito e dei capitali possono infatti incidere in misura significativa sia sul costo che sulla disponibilità delle fonti di finanziamento. Tutti elementi che possono aggravare un sempre incombente rischio connesso al prosciugamento della liquidità.
Un aiuto alle piccole banche
Sul tema della liquidità occorre, infine, segnalare una recente modifica regolamentare, importante per il mercato italiano, che fornisce un importante strumento operativo alle banche di minori dimensioni. A partire da questo mese di ottobre anche le banche con un patrimonio inferiore a 250 milioni di euro potranno emettere covered bond (titoli non soggetti al bail-in), recuperando uno svantaggio competitivo rispetto a quelli di maggiori dimensioni e, in generale, agli intermediari di altri paesi della UE. Tale strumento è ampiamente utilizzato dalle banche italiane dal momento che risulta utile, anche in momenti di estrema tensione dei mercati, per assicurare alle banche capacità di ottenere provvista a medio e lungo termine da controparti istituzionali, contribuendo alla stabilità della raccolta. Nella prospettiva della banca essi offrono un significativo contributo al miglioramento del profilo di funding della banca e alla gestione della liquidità, in quanto estendono la vita media della raccolta, rendono più stabile il funding, mobilizzano attivi altrimenti poco liquidi. D’altro canto, un utilizzo eccessivo dei covered bond non è esente da aspetti critici, riconducibili essenzialmente al fenomeno dell’asset encumbrance, cioè all’aumento delle attività di bilancio vincolate; operatività che, da un lato, riduce il grado di protezione dei creditori non garantiti e, dall’altro, può avere implicazioni per la stabilità finanziaria dal momento che quanto più è elevata la quota delle attività impegnate, tanto più è vulnerabile la banca alle richieste di margini addizionali in caso di deprezzamento delle garanzie.