UNIONE EUROPEA
Il pragmatico Draghi indica la strada

Realizzare prima di tutto l'unione fiscale, cioè di bilancio, tra i paesi Ue. Aggirando gli ostacoli della riforma del patto di stabilità e dell'unione politica. Una lettura della strategia suggerita dal banchiere centrale

Stefania Tamburello

La chiamata in campo di Mario Draghi da parte della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, per elaborare una strategia a difesa della competitività europea segue di pochi giorni e accende un nuovo riflettore sulla intervista rilasciata dall’ex presidente della Bce e del Consiglio italiano a The Economist.

L’intervento di Mario Draghi sul settimanale britannico del resto suggerisce più gradi di lettura. E più spunti di dibattito. Oltre ad indicazioni che assumono maggiore forza alla luce dei nuovi compiti assegnati da Bruxelles.

Ad emergere, prima fra tutte, è la forte preoccupazione sul futuro dell’Europa. Quell’Europa che attraverso le fasi della sua costruzione dal mercato unico all’euro ha finora garantito pur con fatica il progresso più o meno contestuale dei diversi paesi. Draghi ne aveva parlato già al Mit di Boston, in giugno, nel corso della cerimonia della consegna del premio Miriam Pozen, evidenziando da una parte come non siano mancati nel passato timori e ostacoli al cammino dell’Unione e dall’altra però come l’attuale momento sia più minaccioso dei precedenti.

Il secondo elemento di riflessione offerto dall’intervento del banchiere centrale italiano è la sollecitazione ad individuare fin da subito un percorso per salvare l’Europa dal rischio di dispersione, cogliendo l’occasione del dibattito sulle nuove norme allo studio della Commissione di Bruxelles. L’elemento più interessante del percorso indicato da Draghi è forse costituito dal fatto che toglie dal centro della strada – indicandone una soluzione, per così dire, collaterale – i due principali ostacoli alla prosecuzione di un cammino condiviso dai paesi dell’Unione. E cioè la riforma del patto di stabilità e l’obiettivo dell’Unione politica.

E ciò perché, come è sua consuetudine, Draghi è innanzitutto un pragmatico e – sia che ci si trovi o meno d’accordo con lui – indica itinerari percorribili.

La sua idea è di iniziare il percorso di salvataggio del Vecchio Continente, realizzando l’unione fiscale, cioè di bilancio, tra i paesi Ue. La drammatica lezione della pandemia Covid ha insegnato che per affrontare grossi e condivisi problemi e programmi di spesa, il singolo paese non può farcela da solo e deve poter contare sulla messa a disposizione di risorse comuni per vincere le sfide. Draghi ne indica tre – difesa, transizione verde e transizione digitale – che necessitano grossi investimenti, possibili quindi solo a livello federale se si vuole che qualche paese non resti indietro.

Ed ecco che, con la formula dell’unione fiscale federale, che – sostiene – non limita ma anzi rafforza le sovranità nazionali, si potrebbe togliere dal dibattito l’obiettivo-macigno dell’unione politica dell’Europa che imbarazza i governi da quando è stato indicato con la costituzione dell’Unione monetaria e dell’Euro, nata come diceva Carlo Azeglio Ciampi con una “zoppia” da eliminare. Quell’obiettivo che, per dirla con l’ex ministro e attuale presidente dell’Unicredit, Gian Carlo Padoan, è possibile realizzare “per gli scienziati che sono ottimisti” e impossibile “per gli economisti che sono invece pessimisti”.

La riforma in senso federale della più circoscritta politica fiscale dovrebbe, secondo l’esponente italiano, indicare anche la strada della revisione dei patti europei che la Commissione sta cercando con grande fatica di elaborare tra veti e rinvii. I governi nazionali, infatti, avrebbero più risorse per gestire, in piena sovranità, i bilanci nazionali e gli indebitamenti e le nuove regole del patto di stabilità a quel punto potrebbero essere anche automatiche e accettate da tutti, con l’unico avvertimento di non risultare procicliche, accomodanti o rigide nelle fasi sbagliate.

Un elemento che nelle parole di Draghi invece non si legge è l’assist al governo Meloni come ha scritto qualche commentatore. Semmai, come ha dimostrato la chiamata in campo di Von der Leyen, l’assist l’ha fatto al governo europeo.